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Il premier Draghi

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Il 6,5% di crescita del Pil italiano è pari a due volte e mezzo di più della Germania ed è un punto e mezzo sopra la media europea. Siamo a un taglio di circa 10 punti di rapporto debito/pil rispetto alle previsioni del governo Conte 2: dovevamo volare verso il 160 invece atterriamo verso il 150 nell’anno del nuovo ’29 mondiale. Il premier ha dato 48 ore ai ministri per presentarsi con un resoconto su tutte le criticità per conseguire i 45 obiettivi di investimenti e riforme nel primo semestre di quest’anno e incassare la rata europea di 24,1 miliardi. Il lunedì del Pil e del Pnrr contrasta in maniera plastica con il vaniloquio dei grandi strateghi della politica sulla “apolitica non più tollerabile” che si sono rivelati loro poco più che apprendisti stregoni. Chiudiamo questa pagina e torniamo invece alla politica reale

Se è possibile interrompere il fotoromanzo della politica e il cannoneggiamento mediatico del nulla vorremmo segnalare a tutti che il 6,5% di crescita del prodotto interno lordo italiano è pari a due volte e mezzo di più di quello conseguito dalla Germania ed è un punto e mezzo sopra la media europea. Vorremmo sommessamente segnalare che il taglio di circa 10 punti di rapporto debito/pil rispetto alle previsioni del governo Conte 2 (dovevamo volare verso il 160 invece atterriamo verso il 150) nell’anno del nuovo ’29 mondiale è un risultato storico. Non c’è nessuna enfasi in questa analisi tecnica dei risultati del 2021. Perché bisogna tornare al 1976 per avere una crescita economica così forte dopo decenni in cui abbiamo fatto sempre peggio degli altri e è chiaro a tutti che questo dato è il frutto del successo della campagna di vaccinazione e delle scelte azzeccate di politica economica. Perché la più clamorosa caduta del debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo avviene incredibilmente nel peggiore anno della storia repubblicana italiana.

Se è possibile interrompere il fotoromanzo della politica e il cannoneggiamento mediatico del nulla che continua a interrogarsi su che cosa farà Conte o che cosa farà Di Maio, vorremmo segnalare a tutti che la migliore notizia possibile per i mercati finanziari sull’Italia è stata la conferma di Mattarella come Capo dello Stato sia perché ha una grande credibilità internazionale personale sia perché rappresenta la maggiore speranza di stabilità del governo Draghi e, di conseguenza, della concreta possibilità di fare le riforme per adeguare l’Italia a tutto ciò che è richiesto dal Piano nazionale di ripresa e di resilienza.

La stabilità istituzionale italiana ritrovata toglie quella incertezza in più che si sarebbe andata ad aggiungere al fardello pesante delle incertezze internazionali legate alle nuove restrizioni monetarie globali, al rialzo dell’inflazione con il rincaro collegato della bolletta energetica e ai venti di guerra in Ucraina che incorporano un rischio recessione se l’Europa continua a non prendere palla rispetto alla Cina e se i sostegni americani continuano a non risolvere il problema. La discesa dello spread e il buon andamento della Borsa confermano che il tandem Mattarella-Draghi piace ai mercati anche se ovviamente non libera l’economia italiana dal peso del momento sfavorevole dei mercati a livello globale.

Nella giornata del +6,5% del Pil il premier ha dato 48 ore ai ministri per presentarsi al prossimo consiglio con un resoconto sullo stato dell’arte e su tutte le eventuali criticità per conseguire i 45 obiettivi di investimenti e riforme nel primo semestre di quest’anno e incassare la rata europea di 24,1 miliardi. Questi sono i fondamentali della politica con la P maiuscola che serve al Paese e che è anche l’unica, estrema occasione che hanno i partitini italiani e i loro capi e capetti di ridare legittimazione alla politica.

Altro che comizi sul nulla e nuove e vecchie volpi da inseguire o blandire in tv con trofei quirinalizi impossibili. L’operetta della politica italiana e dei loro cantori mediatici più colpevoli dei primi sarebbe bene che sparisse dal dibattito malato della pubblica opinione per restituire alla nostra democrazia un’informazione di contenuti dove sia chiara la differenza tra realtà e fantasia. Il lunedì del Pil e del Pnrr contrasta in maniera plastica con il vaniloquio dei grandi strateghi della politica sulla “apolitica non più tollerabile” che si sono rivelati loro poco più che apprendisti stregoni. Chiudiamo questa pagina e torniamo invece alla politica reale. Quella che ci obbliga a fare la revisione del codice degli appalti e ad aprire i cantieri o fare la riforma della carriera degli insegnanti.

Dobbiamo essere capaci di trarre vantaggio da quello che si è fatto fino a ora per non disperdere le nostre capacità di attrazione di investimenti che sono poi quelle che hanno spinto a più riprese i massimi vertici politici passati e presenti della Germania a lodare i risultati del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. Bisogna prendere atto che le moratorie non si possono prorogare all’infinito e che le cessioni di credito si possono fare una volta sola. Perché se si continuano a dare messaggi sbagliati del tipo che l’economia chiude se non si continua a fare tutto ciò che non si può fare, ci si ritrova con la più grande truffa della storia repubblicana e un circuito diffuso di finte fatture che riguarda ancora di più il bonus edilizio al 110% sempre e per tutti. Bisogna prendere atto che il 6,5% di crescita del Pil dato oggi per scontato non lo era affatto come non lo erano gli effetti del primo modulo di riforma fiscale di sette miliardi che non è niente ma il 4% su 170 miliardi di Irpef e che ora è in pagamento. Esattamente come l’assegno unico per chi ha figli in busta paga da marzo. 

Così come non era affatto scontato ciò che ora certifica Open Polis e, cioè, che ben oltre il 50% del capitolo infrastrutture del Pnrr è destinato al Mezzogiorno. Ai primi tre posti della graduatoria ci sono Sicilia, (3,5 miliardi), Campania (2,9) e Puglia (2,8). Non è mai accaduto che lo Stato investisse così tanto per i porti, le ferrovie, le autostrade del Sud, un cambio di rotta a 360 gradi deciso dal governo Draghi. Basti pensare che l’Emilia Romagna, sesta posizione, riceverà 1,47 miliardi, quasi il 50% in meno rispetto alla Puglia. La stessa Lombardia ha ottenuto 2,5 miliardi ma ha un numero di residenti doppio rispetto alla Campania, triplo se il paragone lo si fa con la Puglia. D’altronde questa è l’unica via per ridurre finalmente i divari infrastrutturali fra Nord e Sud del Paese e va perseguita senza sbandamenti.

Così come è un dato di fatto che sono impegnati tutti ventre a terra perché i soggetti attuatori siano messi nelle condizioni di aprire davvero i cantieri soprattutto nel Mezzogiorno. Bisogna lavorare con estrema attenzione sul tema energetico agendo in casa al massimo possibile e stanando gli americani fuori casa usando il petrolio come arma di difesa ma riuscendo a fare almeno una quota parte di quello che la Cina sta facendo con Russia e Ucraina. Bisogna fare un sacco di cose e farle bene. Bisogna tenere conto che si è chiuso l’anno con un livello di fiducia di famiglie e imprese a livelli eccezionalmente alti, che a gennaio è scesa un po’ rimanendo alta e che sarà, quindi, decisivo che a febbraio si tengano o si migliorino le posizioni bucando il banco della nebbia politico-mediatica pandemica e economica.

Bisogna avere il coraggio di evitare appiattimenti pericolosi sulla questione dei bonus perché se la propaganda dovesse imporre di andare avanti all’infinito con il bonus al 110% ci ritroveremmo con tutte le facciate delle case rifatte ma con la più grande truffa della storia e un debito gigantesco per pagare i rimborsi fiscali. La priorità devono essere la manifattura e la riunificazione infrastrutturale delle due Italie. Non possono essere gli immobili, ancorché importantissimi, la bandiera dell’Italia, ma esportazioni e investimenti. Altrimenti facciamo come la Spagna che ha avuto un ciclo edilizio enorme, ma dopo si sono ritrovati male, perché un Paese che ha solo l’edilizia poi si ferma. Ciò che può rendere grande l’Italia sono la manifattura, l’automotive, la chimica e la meccanica di precisione, il miracolo di fare investimenti infrastrutturali e in capitale umano nel Mezzogiorno, un debito pubblico tenuto sotto controllo per non essere troppo vulnerabili ai venti finanziari delle grandi crisi internazionali.

Per fare tutto questo ci vuole un’azione operativa eccezionale di un governo forte e, quindi, bisogna che il capo del governo non guardi in faccia nessuno e vada avanti anche se i partiti dovessero mettersi di traverso. Se Draghi riesce a fare questo in un anno pre-elettorale la sua azione di governo diventa qualcosa di importante paragonabile fino in fondo a quella dei governi degasperiani del Dopoguerra. Deve riuscirci per forza Draghi. Perché è bravo. Perché la squadra c’è e se necessario si ritocca. Perché Mattarella farà muro. Perché serve all’Italia. Anche perché il passaggio tra l’adorazione e l’odio in politica è rapidissimo e questo Paese è ancora pieno di troppi lestofanti che alimentano il motore dell’invidia sociale e il racconto dell’irrealtà. Non si può più permettere ai lestofanti di rubare il futuro ai nostri giovani e continuare a infamare le persone migliori e perbene.


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