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Il premier Mario Draghi

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Oggi o al massimo domani si può fare la doppia scelta giusta che è Draghi al Quirinale e una figura tecnico-politica super partes europeista e atlantista a Palazzo Chigi con il governo di unità nazionale che agisce in piena continuità. Oppure una figura istituzionale alla presidenza della Repubblica che continui nell’opera di Mattarella di sostegno alla formula Draghi. Altrimenti diventa reale il rischio di andare nel caos e di perdere subito i soldi europei. Nei radar dei mercati oggi ci sono la Federal Reserve e i venti di guerra in Ucraina che possono consegnare l’Europa orfana di leadership politiche alla recessione se Putin maltrattato dagli USA chiude i rubinetti del gas. Aggiungerci l’instabilità italiana significa rendere concreto il rischio che i mercati la prendano ancora peggio. Se ti tiro un calcio sulla gamba mentre stai bene ti fa male un po’, se hai già la gamba rotta ti fa male tre volte. Questo insegna la lezione del 2010/2011

Se andiamo a sbattere ce la siamo cercata. Se non manteniamo la credibilità internazionale che abbiamo in pochi mesi clamorosamente riconquistato è colpa nostra. Soprattutto se hai la possibilità concreta di schierare il campione d’Europa e decidi di perdere tempo con buone riserve o con nomi autorevolissimi come quello di Cassese, di cui ammiriamo capacita e libertà, vuol dire però che l’istinto suicida della politica è incontenibile. Il vizio italiano è l’instabilità e la breve ma intensa stagione del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi ha liberato il Paese da questo male endemico. Non capirlo o fare finta di non capirlo significa non guardare la realtà, tornare ai giochetti di prima e ipotecare il futuro della nazione.

Non capire che i dieci mesi buoni dell’esecutivo Draghi quando tutti i partiti giravano nella stessa direzione dietro una guida ferma ma collegiale hanno regalato al Paese una crescita da miracolo economico del 6,5% facendo scendere il debito pubblico rispetto al prodotto interno lordo nell’anno peggiore che è quello del nuovo ’29 mondiale, significa rifiutarsi  di prendere atto delle difficoltà enormi del momento e dell’unica possibilità concreta che abbiamo di fronteggiarle attraverso una regia dal Colle più alto che garantisce al Paese un lungo periodo di stabilità e di disciplina. Che consente, diciamocelo, di unire la credibilità internazionale di un uomo che ha salvato l’euro e che tutti rispettano all’azione comune delle forze politiche impegnate a realizzare la Nuova Ricostruzione in un clima di Unità Nazionale voluto da un Capo di stato lungimirante con i piedi ben piantati nella prima repubblica che si chiama Sergio Mattarella. Obama ha detto: mi servirebbe un Draghi. Trump ha detto: ci servirebbe un Draghi.  Si può consentire un Paese come l’Italia, che esce da venti anni di crescita zero sempre più diseguale e spaccato in due, di fare a meno dello stesso Draghi che avrebbero voluto i due inquilini della Casa Bianca più distanti tra di loro?

Ritenere che in momenti simili si può continuare con la logica delle tribù politiche familiari per cui è importante che al Quirinale ci sia un amico mio e che io possa lucrare su questo rapporto significa non solo ripetere un errore storico ma essere fuori dal mondo di oggi. Significa giocare con il titolo Italia. Significa non rendersi conto che i venti di guerra dell’Ucraina trovano un’Europa senza leadership politiche oltre quella di Mario Draghi perché il successore della Merkel ancora non si sente e Macron è impegnato sul fronte elettorale interno. Per cui tutto ci possiamo permettere meno che indebolire Draghi. Perché significa fare sparire l’Europa dal tavolo che conta sui fronti di guerra con un rischio reale di recessione per Paesi dipendenti dal gas russo come il nostro.

Perché significa privare l’Italia di un ruolo di guida nella cabina di comando dell’Europa che sceglierà per tutti il nuovo patto di stabilità. Pensino a questo i parlamentari che sono titolari della sovranità popolare. C’è una bella differenza tra influenzare le decisioni e subirle soprattutto quando si ha il debito pubblico che ha l’Italia. 

Enrico Letta ha tenuto il pallino ben fisso su Draghi al Colle come carta ultima giocata da Mattarella che il Paese non può sprecare. Proprio perché è l’ultima. Salvini, come capo della Lega, e Giorgia Meloni, che punta con Fratelli d’Italia a essere il primo partito, hanno solo da guadagnarci dall’ombrello Draghi in caso di loro vittoria elettorale alle politiche. Forza Italia ha un fondatore, Silvio Berlusconi, che nei momenti topici della Repubblica, penso al novembre del 2011 nei giorni terribili della grande crisi dei debiti sovrani, ha sempre scelto l’interesse generale.

Questo interesse è quello che la vecchia guardia e la nuova classe giovanile che guidano i partiti della coalizione di governo e dell’unica opposizione devono avere ben evidente. Perché la formula Draghi che parte con Mattarella e ne incorpora regole che devono durare non può essere sacrificata sull’altare di giochetti che ricordano quelli di quando nacque il governo giallo verde del Conte 1. Il Paese ha bisogno dell’intelligenza politica di Draghi, non di tecnici importanti ma di seconda fila e la classe politica di governo e di opposizione non tradisca la trama istituzionale che ha fatto molto bene al Paese e molto ancora può farne. In casi estremi di cupio dissolvi partitocratico si richiami anche Mattarella sul Colle non prima di avere esplorato la carta Amato che ha standing e esperienze all’altezza, ma sarebbe davvero molto bello che fossero i partiti a scegliere Draghi come nuovo Capo dello Stato e a trovare insieme la soluzione della guida del governo in assoluta continuità.  Loro lo facciano per gli italiani, ma di sicuro farà molto bene anche a loro. Guai se ciò non avvenisse.


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