I leader del centrodestra
5 minuti per la letturaI partiti devono superare l’esame di maturità che continuano a rinviare. Perché ciò avvenga devono fare l’esatto contrario delle terne di parte con profili in sé più che rispettabili, ma misurarsi prima di fare nomi con l’esigenza ineludibile di trovare insieme chi è capace di esprimere al meglio quella figura super partes di garante dell’unità nazionale di cui il Paese ha vitale bisogno. Senza Mario Draghi né alla Presidenza della Repubblica né alla Presidenza del Consiglio la soluzione di sistema non esiste. Il quadro geopolitico globale a partire dai venti di guerra in Ucraina e dalla maxi crescita dei prezzi energetici, ciò che ha fatto Draghi ridando credibilità all’Italia e quello che ancora si deve fare, non consentono distrazioni che mettono a rischio la stabilità italiana. Nessuno può continuare a scherzare con il fuoco
La politica con la P maiuscola ha la sua ultima grande occasione storica. Per coglierla i partiti devono superare l’esame di maturità che continuano a rinviare. Perché ciò avvenga devono fare l’esatto contrario delle terne di parte con profili in sé più che rispettabili, ma misurarsi prima di fare nomi con l’esigenza ineludibile di trovare insieme chi è capace di esprimere al meglio quella figura super partes di garante dell’unità nazionale di cui il Paese ha vitale bisogno.
Se si continua di questo passo con il massimo della leggerezza si può arrivare al doppio risultato negativo non solo di rifiutare la carta Draghi per il Colle più alto che oggettivamente è quella che può tutelare al meglio in una prospettiva di lungo termine la credibilità italiana, ma addirittura di indebolire alla luce del sole la stessa permanenza di Draghi alla guida di palazzo Chigi privando del tutto il Paese di chi per storia personale, credito internazionale, cose fatte fuori e in casa, è visto nel mondo come il massimo garante del cambiamento effettivo del Paese.
Questi sono i fatti, il resto sono chiacchiere interessate. Fermatevi tutti finché siamo in tempo. Serve al Paese una soluzione di sistema che tuteli le due posizioni chiave del Paese che sono Presidenza della Repubblica e Presidenza del Consiglio. Serve, soprattutto, rendersi conto che gli investitori globali e gli uomini di Stato più importanti del mondo giudicano l’esperienza del governo di unità nazionale guidato da Draghi come l’inizio di una nuova stagione di stabilità dell’Italia e attribuiscono al Paese aspettative crescenti. Tutte le agenzie internazionali hanno migliorato il giudizio sull’Italia.
Serve, soprattutto, rendersi conto che dopo mezzo secolo l’Italia ha avuto tassi di crescita da miracolo economico e ha riconquistato il rango di Paese Fondatore con un ruolo di guida della nuova Europa riconosciuto al suo Presidente del Consiglio, Mario Draghi. Dopo oltre mezzo secolo si è definito un nuovo Piano Marshall questa volta europeo che ha messo al primo posto l’obiettivo di ridurre le disparità territoriali perseguendo nell’allocazione delle risorse la coerenza meridionalista degasperiana. Anche questi sono fatti.
Purtroppo, tutto ciò è completamente fuori dal dibattito dei parlamentari che pure dovrebbero avere come priorità assoluta il benessere della comunità nazionale che esprime attraverso di loro la sovranità popolare. Purtroppo, tutto ciò è completamente fuori dalla consapevolezza dei capi partito che pure sono azionisti di maggioranza della grande coalizione che sostiene il governo Draghi e che vivono la prova della nomina del successore di Mattarella come un’esibizione di competizione elettorale tra schieramenti di centrodestra e di mezzo centrosinistra ancorché dentro un tardivo galateo istituzionale.
L’unico capo partito che si è sottratto a questo pericoloso gioco muscolare è stato il segretario del Pd, Enrico Letta. È un atteggiamento che denota consapevolezza e responsabilità.
Fermatevi tutti, finché siete in tempo. Perché gli esami che la politica dovrà superare non sono finiti. Potremmo dire che sono appena iniziati. Perché il quadro geopolitico globale a partire dai venti di guerra in Ucraina e dalla minaccia dell’inflazione e della crescita dei prezzi energetici, non consente distrazioni che mettono a rischio la stabilità italiana. Perché il cammino di riforme previsto dal Piano nazionale di ripresa e di resilienza fa parte degli obblighi assunti dalla Repubblica italiana nei confronti della Commissione europea, ma prima ancora sono il sentiero obbligato da percorrere per riunire le due Italie dimostrando di sapere finalmente aprire i cantieri e offrire ai nostri giovani un futuro di qualità in casa con i fatti, non a parole.
Se i partiti vogliono davvero fare la Nuova Ricostruzione devono almeno avere chiaro quello che accadde con la prima nel Dopoguerra. Quando intelligenza tecnica, cultura cattolica, riformismo laico lavorarono insieme unendo tutte le forze politiche di massa in un disegno unitario di rinascita. Rifacciano oggi la stessa cosa e si rendano conto che senza Mario Draghi né di qui né di là la soluzione di sistema non esiste. La cosiddetta vittoria dei partiti sarebbe la vittoria di Pirro. Conquistino piuttosto i partiti il trofeo della politica con la P maiuscola che vuol dire o mandato pieno pubblico a Draghi come presidente del consiglio con impegno effettivo a sostenerne collegialmente l’azione e al Quirinale una figura come Giuliano Amato che in questo Paese ha fatto tutto e è rispettato nel mondo oppure si promuova come sarebbe naturale Draghi alla presidenza della Repubblica e si garantisca continuità al suo governo di unità nazionale con un’operazione lampo di innesti politici che lo rafforzino.
Tutto deve avvenire alla luce del sole anche se si vuole sostituire Amato con Casini al Quirinale perché mai come questa volta le due posizioni chiave sono intrecciate e il risultato di questo delicatissimo passaggio istituzionale non può essere la perdita assoluta della carta Draghi. Che è la carta estrema del Paese e, quindi, anche l’ultima per mantenere la credibilità riconquistata. Perché chi ha attribuito con convinzione questa fiducia all’Italia legandola all’esperienza di unità nazionale voluta da Mattarella e attuata da Draghi ritirerebbe all’istante quella stessa fiducia. Questo prezzo gli italiani non lo possono pagare sull’altare dei giochetti della politica. A quel punto, anche il richiamo di Mattarella segnerebbe certo una sconfitta della politica e, in particolare, di questo Parlamento, ma nemmeno lui potrebbe sottrarsi. Perché non si gioca con il titolo Italia.
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