Antonio Decaro, sindaco di Bari
7 minuti per la letturaNon possiamo vincere nessuna guerra se le strutture tecniche delle nostre amministrazioni non vengono adeguatamente rimpolpate e uomini del valore di Manfredi o del sindaco di Bari Decaro non sono messi nelle condizioni di guidare il processo di cambiamento delle loro amministrazioni e di tutte le amministrazioni meridionali. Bisogna ricostituire la filiera tecnica che qualcuno ha deciso di abolire perfino nella amministrazione territoriale più importante
del Mezzogiorno, non in un piccolo Comune della più sperduta delle zone interne. Per cambiare il rapporto tra le amministrazioni e le intelligenze universitarie. Per mobilitare correttamente sinergie tra capitale pubblico e privato. Per fare finalmente rete tutti insieme
I GATTOPARDI dei partiti italiani o cambiano o non cambiano. Non esistono vie di mezzo. Non esistono i cambiamenti della mattina annunciati a destra e a manca smentiti puntualmente dai comportamenti reali della sera. I Gattopardi dei partiti italiani debbono fare le cose per il Paese e per la serenità delle loro coscienze. Non devono più difendere gli amici degli amici nella macchina della amministrazione centrale e, ancora di più, in quella territoriale perché con questi signori i progetti buoni non si fanno, non si è in grado neppure di gestire i progetti fatti dagli altri, semplicemente si perdono i soldi. Con questi comportamenti il Mezzogiorno non riparte e l’Italia non riesce a trasformare il rimbalzone di quest’anno in una crescita strutturale, sostenibile, inclusiva.
La Ricostruzione nazionale o si fa riunendo le due Italie nelle infrastrutture immateriali e materiali e ponendo al centro l’investimento in capitale umano o semplicemente non si fa. Se esiste un prototipo che è il contrario dell’amministratore meridionale lamentoso questo è il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi. Non a caso con lui ha trovato terreno fertile la denuncia inascoltata di questo giornale. Prendere atto che l’amministrazione comunale di Napoli guidata dall’ex sindaco, Luigi de Magistris, non ha presentato nemmeno un progetto per il bando di gara sulla ristrutturazione delle scuole significa prendere atto a quali abissi sudamericani è stato condotto il nostro Mezzogiorno da una classe politica sul territorio popolata da viceré regionali e sindaci populisti.
Significa prendere atto che il cuore del problema della nuova questione meridionale non sono i soldi da chiedere come ennesima mancia dal cielo o come giusto risarcimento di un taglio miope subìto nella spesa sociale sotto la spinta di un federalismo della irresponsabilità tanto predone quanto poco lungimirante.
Significa prendere atto che il cuore del problema è dotare le amministrazioni meridionali di un personale finalmente qualificato e di un’organizzazione del lavoro strutturata che duri nel tempo.
Per cambiare praticamente tutto. Devono cambiare le teste. Bisogna ricostituire la filiera tecnica che qualcuno ha deciso di abolire perfino nella amministrazione territoriale più importante del Mezzogiorno, non in un piccolo Comune della più sperduta delle zone interne. Per cambiare il rapporto tra le amministrazioni e le intelligenze universitarie. Per mobilitare correttamente sinergie tra capitale pubblico e privato. Per fare finalmente rete tutti insieme. Per queste ragioni abbiamo aperto ieri il nostro giornale con “il grido di Napoli: ora o mai più” del sindaco, Gaetano Manfredi, e lo rifacciamo oggi con una sua lettera al nostro giornale che mostra piena consapevolezza della prova di maturità che è richiesta alla nuova classe dirigente meridionale in questo momento particolarissimo.
È tempo di Draghi, non più di Gattopardi, abbiamo scritto qualche giorno fa. Lo ripetiamo oggi con ancora maggiore forza. Bisogna che si assumano impegni pubblici reciproci perché sia chiaro a tutti che la stagione delle clientele e della quota zero nell’utilizzo dei fondi comunitari è finita per sempre. Bisogna capire una volta per tutte che una cosa è chiedere risorse per fare la digitalizzazione della amministrazione comunale più importante da Roma in giù, per assumere esperti di amministrazione e di territorio che insieme a quelli informatici cambiano per l’oggi e per il domani l’organizzazione e l’efficienza della macchina pubblica di Napoli e una cosa è chiedere soldi, sempre più soldi, per fare nuovo debito e socializzare perdite all’infinito. Senza vedere, cioè, la luce dello sviluppo che è fuori dal tunnel dell’assistenzialismo in cui il circuito perverso di miopia nordista e lamentazione sudista trova il suo ambiente naturale.
Questo è il punto decisivo della nuova questione meridionale che è costitutivamente il punto decisivo della nuova questione italiana e europea allo stesso tempo. Perché, diciamocela tutta, il programma di Next Generation Eu, frutto per la prima volta di debito europeo comune, è di sicuro il banco di prova della nuova Europa della coesione sociale che ha in Mario Draghi il suo leader naturale e nella soluzione del suo unico grande squilibrio territoriale, che è il Mezzogiorno d’Italia, il perimetro di un terreno da gioco che definisce il successo o l’insuccesso del programma europeo. Per questo continuiamo a dire e a ripetere che non è più tempo di Gattopardi ma di Draghi. La stagione “datemi i soldi e io ne faccio quello che voglio” è finita per sempre. Quella che deve iniziare ha come soggetti attuatori di prima fila del Recovery Plan italiano ministeri e Comuni.
Non possiamo vincere nessuna guerra se le strutture tecniche delle nostre amministrazioni non vengono adeguatamente rimpolpate e uomini del valore di Manfredi o del sindaco di Bari Decaro, che è anche il presidente dei sindaci italiani, non sono messi nelle condizioni di guidare il processo di cambiamento delle loro amministrazioni e, a seguire, di tutte le amministrazioni meridionali. Chiedono soldi per immettere competenze come scrive Alberto Losacco, parlamentare illuminato del Pd pugliese, che invita lucidamente a fare il lavoro che si deve fare in Parlamento perché dalla legge di stabilità arrivi e bene quello che deve arrivare. Ignorare questo problema tecnico-esecutivo che è allo stesso tempo un problema di risorse umane e di organizzazione nascondendosi sotto la foglia di fico della programmazione attribuita ai viceré regionali e volendo così comprimere per ragioni di mero potere un programma nazionale finanziato da fondi europei significa avere messo nel conto il fallimento del piano italiano.
Questo non è possibile. Non lo vuole il governo Draghi che fa i conti con la realtà e mette a disposizione dei piccoli comuni grandi architetti per fare progetti unici a livello centrale per scuole e asili nido. Che mette a disposizione, come fa bene a ricordare sempre la ministra per il Mezzogiorno, Mara Carfagna, le strutture tecniche centrali di Cassa depositi e prestiti e altre ancora per affiancare dalla progettazione alla esecuzione nella gestione dei singoli interventi tutte le amministrazioni che ne fanno richiesta. Non si va oltre, per ora, perché dall’attuazione di questo piano europeo deve uscire un Paese nuovo che continua a fare investimenti pubblici e a mobilitarne di privati anche quando finisce tale programma europeo. Questo è il più nobile degli obiettivi e non può essere abolito ab origine senza avere almeno provato a perseguirlo con il massimo di determinazione.
Bisogna ricostituire amministrazioni territoriali e centrali che dialoghino in inglese economico con la Commissione europea, che sappiano fare e rendicontare step dopo step sui singoli progetti, bisogna che la regia torni ad essere centrale e che l’obiettivo strategico di lungo termine condiviso e effettivamente perseguito sia quello di risolvere una volta per tutte lo squilibrio territoriale italiano. Non ha futuro un Paese con venti milioni di persone che hanno un reddito pro capite pari alla metà degli altri quaranta milioni. Perché significa rinunciare in partenza ad avere un mercato interno di dimensioni quantitative e qualitative indispensabile per sostenere la crescita a tassi da miracolo economico di un Paese trasformatore e esportatore ma minato dalle fondamenta da un dualismo trasversale che mette insieme il ritardo del Mezzogiorno e dei Sud del Nord. Qualcosa di straordinariamente decisivo e di straordinariamente sottovalutato.
I Gattopardi dei partiti italiani possono continuare a fare i loro giochetti sul Quirinale e a chiedere strumentalmente che Draghi resti lì un altro anno a fare poco e niente ma loro verrebbero travolti per sempre se questo scenario si avverasse. Se l’Italia ha ritmi di crescita da miracolo economico che non si conoscevano da mezzo secolo lo si deve alla mano fermissima di Draghi sul green pass che è un modello che l’intera Europa seguirà. Se il Recovery Plan è bene incardinato e se riforme che non si facevano da decenni sono legge lo si deve alla mano ferma di Draghi. I Gattopardi dei partiti italiani impegnino le loro energie per chiedere tutti insieme di votare il salvatore dell’euro alla presidenza della Repubblica e dimostrino in Parlamento di volere cambiare davvero il Paese dando ancora più forza al Mezzogiorno nella legge di stabilità, accentuando la riduzione dei prelievi su lavoratori e imprese nell’attuazione della delega fiscale e spingendo, non frenando, sulle aperture di mercato della legge delega della concorrenza.
Draghi non ha la bacchetta magica e un uomo da solo non può salvare il Paese. Almeno questo i Gattopardi dovrebbero capirlo. Trarne le conseguenze è obbligato.
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Giustissimo. Ma al Sud è un problema anche e forse soprattutto di capitale sociale. Partendo dall’agenzia educativa fondamentale: la famiglia.
E’ superfluo che io dica che concordo perfettamente con le considerazioni che il direttore Napoletano fa sulle risorse adeguate per gestire i progetti del PNRR, avendone scritto più volte da 10 mesi a questa parte.
Traggo dal capitolo 10-Mezzogiorno del mio saggio sulla XVI legislatura (Governi Berlusconi e Monti):
Paragrafo 3 – Aspetto culturale-antropologico-educativo
Ma due, non uno soltanto: quello economico, sono gli aspetti cruciali di qualunque strategia che voglia perseguire lo sviluppo del Sud. Essi sono la riforma culturale e lo sviluppo economico, i quali, soltanto se affrontati congiuntamente, potranno consentire finalmente al nostro Mezzogiorno, gradualmente e definitivamente, di colmare il divario con il resto del Paese e con il resto d’Europa.
[…]
PROGETTO EDUCATIVO. La mia proposta è questa: in Italia ogni anno nascono ormai circa 420.000 bambini (nel 2019 sono stati 420.084 (-20mila sul 2018); 1,27 in media i figli per donna), quindi ci sono circa 420.000 madri in gravidanza, occorre e conviene investire su di loro, attraverso un programma strategico pluriennale di assistenza a domicilio alle mamme in gravidanza e nei primi 3 anni di vita dei figli (e ovviamente ai padri), che poi, su questa solida base, si svilupperà – ma solo dopo – attraverso la scuola e gli altri organismi sociali.
A tale scopo, verrebbe selezionato e formato rigorosamente (con stage anche all’estero), attingendo tra gli psicologi, i pedagoghi, gli assistenti sociali, ecc., un piccolo esercito di 25.000-50.000 Assistenti-educatori a domicilio (sulla falsariga degli Health Visitor finlandesi, metodo poi applicato in vari altri Paesi europei), diretti secondo standard elevati di efficacia-efficienza-qualità e basandosi sul concetto di prevenzione, più semplice ed efficace e meno costoso degli interventi ex post.
Per la copertura finanziaria (un miliardo?), si potrebbero sia utilizzare risorse nuove, sia riorientare i fondi attualmente spesi in progetti educativi inefficaci, mirati a bambini e bambine dai 6 anni in su (quando è già troppo tardi), gestiti da Regioni, Province, Comuni, organismi terzo settore, laici e religiosi, in tutte le Regioni italiane (!).
Che cosa dovrebbero fare gli Assistenti-educatori? A mio avviso, principalmente, tre cose:
1. Educare che è l’amore della madre e del padre il «mattone» fondamentale della personalità di un bambino, la materia prima per farne un individuo «forte». Qualcuno obietterà: ma è necessario farli andare a domicilio? Io rispondo: sì, perché – come ha scritto Michele Serra su la Repubblica e come l’esperienza insegna – «l’amore non è obbligatorio mai, nemmeno tra genitori e figli». Solo un rapporto diretto, empatico è capace di «sciogliere» le non rare resistenze.
2. Educare ad impartire ai figli una disciplina congrua: né poca né troppa, a cui va aggiunta la trattazione di temi come: il rispetto delle regole, il senso civico, la propensione al rischio e l’abitudine negativa alla lamentela (la lamentela è peccato!).
3. Educare a dare un’informazione sessuale adeguata, o almeno, secondo Freud, in particolare per le bambine, una non repressione delle curiosità sessuali (ovviamente quando queste saranno esplicitate).
Il resto, lo lascio decidere agli esperti. Aggiungo soltanto l’educazione alla lettura (cominciando da quella delle fiabe, fin dalla gravidanza, con animo positivo e voce sorridente), che è – non tutti lo sanno – una passione che si prende da piccoli, dopo è molto difficile. Ci sono libri ed articoli che spiegano bene le modalità ed i vantaggi di un’educazione precocissima alla lettura, la quale, sviluppando aree del cervello diverse da quelle attivate dagli strumenti digitali, determina un ‘plus’, una marcia in più, un – come si direbbe nel linguaggio del marketing – vantaggio competitivo dei bambini educati, fin da piccoli, a toccare e leggere anche e soprattutto i libri cartacei, rispetto a quelli che usano soltanto mezzi di lettura digitali.
Insomma, sono le donne (madri) le artefici del loro destino di cittadine a tutto tondo e di quello dei figli.
In definitiva, io penso che, in questo mondo competitivo in cui noi Italiani, avendo pochissime risorse materiali, possiamo/dobbiamo contare soprattutto sul cosiddetto capitale umano e, al Sud, ancor di più sul capitale sociale, dovremmo elevare il nostro livello medio intellettivo e culturale-antropologico. Per far ciò è necessario poter contare sulla gran parte dei cittadini, facendosi carico anche – soprattutto – dei milioni di bambini delle fasce povere, marginali, esclusi totalmente o parzialmente dal circuito educativo-scolastico, e del 10 per cento di bambini problematici, per dare al maggior numero possibile di individui le fondamenta su cui erigere più agevolmente la costruzione educativa – che è, in primo luogo, la giusta miscela fin da piccoli di amore e di disciplina) -, che ha un duplice effetto positivo: sulla personalità individuale e sul livello intellettivo/culturale generale. Questo obiettivo può essere molto più facilmente perseguito e raggiunto se il progetto educativo ha come protagonista la famiglia, cioè in primo luogo la madre (e il padre), nella fascia d’età critica del bambino, cioè dalla gravidanza a tre anni (vedi la puntata di RAI3-Ulisse di sabato 30.4.2010, che ne ha trattato180). Su questa solida base, poi potrà essere sviluppato il lavoro della scuola e delle altre cosiddette agenzie educative, allo scopo di accrescere – grazie alle famiglie soprattutto, alla scuola e agli organismi vari – sia il cosiddetto capitale umano che il cosiddetto capitale sociale,181 per il buon funzionamento della intera collettività nazionale, in tutte le sue componenti, Magistratura inclusa,182 in particolare nel Mezzogiorno.
Ps: va da sé che la premessa indispensabile è la volontà del potere politico pro tempore di avere, anziché braccia da sfruttare e menti da manipolare e dominare, funzionali allo sfruttamento capitalistico in salsa spietata neo-liberista (che ardisco pensare sarebbe aborrita dal padre del liberismo e filosofo morale Adam Smith), cittadini congruamente intelligenti, istruiti e sicuri di sé.
[181] Capitale sociale Insieme di aspetti della vita sociale, quali le reti relazionali, le norme e la fiducia reciproca, che consentono ai membri di una comunità di agire assieme in modo più efficace nel raggiungimento di obiettivi condivisi, come chiarito, per primo, da R. Putnam (Making democracy work: civic traditions in modern Italy, 1993). https://www.treccani.it/enciclopedia/capitale-sociale_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/ https://it.wikipedia.org/wiki/Capitale_sociale_(sociologia)
PS:
In una nota precedente, la [167] ho scritto (riportando un articolo del Sole 24 Ore):
Alcune cose che si possono leggere nel secondo articolo, de Il Sole-24 ore, richiamano gli stessi miei concetti. L’impostazione generale dell’analisi è quasi quella che io ho indicato essere la sola veramente efficace per l’intero Sud nel thread Questione meridionale, Questione femminile, Rivoluzione culturale e Progetto educativo (manca, come è ovvio, qualunque riferimento al progetto educativo). Sono anch’io scettico – l’ho già scritto – che possa essere realizzata per iniziativa delle sole forze endogene. Occorre che sia lo Stato, uno Stato rinnovato, a promuovere con determinazione le condizioni perché un modo nuovo di governare il Mezzogiorno sia possibile, nell’interesse dell’intero Paese.
Il Sole – 24 ore
QUESTIONE MERIDIONALE / Il Sud nel triangolo del non fare
di Carlo Carboni – 18 Novembre 2009
(…). Mentre l’Est della Germania ha in vent’anni dimezzato le distanze dall’Ovest in termini di Pil procapite (per non citare la qualità della vita di una grande capitale come Berlino), il Mezzogiorno, in 150 anni di unità d’Italia, ha faticato a mantenere inalterato il gap che lo separa dal Centro-Nord.
Le scienze economiche e sociali, con amarezza, diagnosticano infatti la diffusione di capitale sociale negativo (soprattutto nelle regioni e città più popolate del Sud), il quale rende elevati i costi di transazione, di scambio. In altre parole, sono carenti le economie esterne, le infrastrutture e i servizi, ma soprattutto sono certi tipi di relazionalità, come il clientelismo politico e le reti mafiose, a rendere alcune aree chiave meridionali allergiche al mercato economico.
In primo luogo, le mafie sono i principali responsabili dei drammatici ritardi delle quattro grandi e popolose regioni meridionali. Campania, Calabria, Puglia e Sicilia oggi sono tra le regioni più povere e statiche in Europa. Le reti di relazioni di tipo mafioso entrano in circolo nelle arterie istituzionali e soprattutto fluiscono, infettandoli, nei capillari familiari, parentali, di comunità locale. In secondo luogo, i ceti ristretti politico-istituzionali locali, con le loro promesse mancate e i loro deprecabili sprechi, appaiono i demiurghi di un’immagine del Mezzogiorno che ha tradito le aspettative degli italiani, dopo anni di ingenti investimenti pubblici.
Il terzo giocatore avverso è diffuso nella società stessa. Questa, infatti, vive e subisce il pan politicismo e usufruisce a volte delle scorciatoie mafiose. Ne sono esempi l’abusivismo edilizio endemico che ferisce per sempre il paesaggio, la leva delle raccomandazioni per ottenere un impiego nella PA periferica o strappare un sussidio immeritato, l’evasione fiscale, il lavoro nero, lo scempio dei rifiuti.
Come prescrivere una ricetta per il Sud? In primo luogo, un possibile antidoto per ribaltare il capitale sociale negativo meridionale è costruire un cartello di soggetti istituzionali, parti datoriali e sociali, banche, forze ambientali e culturali che esprimano una governance del territorio e dello sviluppo locale meridionali in funzione della programmazione e del controllo dei finanziamenti pubblici e privati. In secondo luogo, servirebbe non il Partito del Sud, ma un patto nazionale per lo sviluppo del Mezzogiorno. (…).
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/18-novembre-2009/mezzogiorno-capitale-sociale-negativo.shtml
PPS: Del PROGETTO EDUCATIVO ho scritto anche alla Ministra per il Sud, Mara Carfagna
Lettera alla Ministra Mara Carfagna: PNRR, due proposte per il Mezzogiorno e l’Italia
https://vincesko.blogspot.com/2021/03/lettera-alla-ministra-mara-carfagna.html