Mario Draghi oggi alla cerimonia di apertura di “COP26 World Leaders Summit” a Glasgow
6 minuti per la letturaNoi crediamo che il treno del multilateralismo sia partito dalla stazione di Roma perché conosciamo la fermezza politica di Draghi sulle grandi cose, sulla capacità di indicare la rotta, di preparare il terreno e di coinvolgere gli alleati giusti. Questo è stato il G20 da lui presieduto. Mostrando capacità di ascolto delle ragioni altrui e portando questo doppio valore del pragmatismo e della comprensione nella copresidenza di Cop26 iniziata ieri in un tutt’uno con il G20. Sarà un caso, ma tra tanti proclami il pragmatismo politico di indicare la Banca mondiale come soggetto pubblico che aiuti i capitali privati a suddividere il rischio e mettere finalmente in gioco decine di trilioni di dollari è venuto proprio da Draghi. Tutto ciò va tenuto a mente anche per gli sviluppi di casa nostra. Draghi è un politico che ha la leadership perché è in grado di fissare la rotta, difendere il punto e fare lavorare gli altri affinché quel punto si rispetti coerentemente. Nella grande crisi dell’euro non si sarebbe fatto niente se Draghi non avesse gestito politicamente la situazione. Questo ha contato in Europa e conta oggi nel mondo. Speriamo che conti anche in Italia
Il Paese che ha ristabilito l’idea del multilateralismo come unica risposta possibile ai grandi problemi del mondo di oggi è l’Italia. Lo ha fatto in diversi campi con un gioco di squadra – dalla salute all’istruzione fino alla transizione ecologica, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco in prima linea raccordandosi con le più qualificate strutture tecniche internazionali – che non si vedeva da tempo.
Lo ha fatto imponendo il suo metodo di lavoro che ha consentito di misurarsi con la Pandemia conquistando primati globali nella campagna di vaccinazione e nella crescita economica. Lo ha fatto delineando un modello espansivo dell’economia coerente con le grandi sfide di investimenti pubblici e privati della nuova Europa della coesione sociale al passo con i tempi del nuovo multilateralismo. Che riguarda i grandi beni pubblici come la salute, il clima, la povertà, la pace, ma incide sulla vita quotidiana di ognuno di noi e rappresenta l’unico strumento di governance geopolitica in grado di ridurre le diseguaglianze e di impedire la catastrofe climatica. Provando a garantire, cioè, che si affermi un modello di economia capace di promuovere uno sviluppo ordinato e solidale all’uscita dal nuovo ’29 mondiale dopo la Pandemia. Che vorrebbe dire che la democrazia è in grado di produrre qualcosa che pone un argine al ritorno delle derive autoritarie.
Chi ha gestito politicamente questa partita così ambiziosa e ha portato a casa per l’Italia e per sé questo risultato politico è Mario Draghi. Si fa fatica a cogliere tale risultato in chi lo volesse leggere in impegni scritti e cogenti dentro un G20 che non ha neppure un segretariato generale, ma lo si può invece afferrare con chiarezza se si usano le categorie della politica internazionale e se si ha conoscenza delle capacità politiche di Draghi che appartengono alla storia dell’Europa e sono il motore della rinascita italiana di oggi.
Abbiamo detto e scritto che il G20 di Roma è un successo senza se e senza ma perché il dialogo tra sordi dei grandi tra di loro e quello fino a oggi impossibile tra grandi e piccoli è diventato realtà proprio grazie al ruolo della presidenza italiana del G20. Che ha mostrato capacità di ascolto delle ragioni altrui e porta questo doppio valore del pragmatismo e della comprensione nella copresidenza di Cop26 iniziata ieri in un tutt’uno con il G20 perché ne è dichiaratamente complementare. Sarà un caso, ma tra tanti proclami il pragmatismo politico di indicare la Banca mondiale come soggetto pubblico che aiuti i capitali privati a suddividere il rischio e mettere finalmente in gioco decine di trilioni di dollari è venuto proprio da Draghi.
Il viaggio del multilateralismo iniziato da Roma non significa che la Cina, l’India, la Russia rinunciano ai loro interessi, ma che accettano di percorrere un cammino condiviso di governance che eviti di dividersi sempre proprio perché il multilateralismo unendo le forze sarà in grado di mobilitare quelle risorse pubbliche e private gigantesche che servono per fare tutti insieme un deciso balzo in avanti. Questa è la sfida politica che è poi quella di non lasciare indietro nessuno. Il primo passo in questa direzione è avvenuto a Roma e va detto e ripetuto perché solo così la gente si convincerà che arriverà anche il secondo passo.
È un po’ come se in una situazione di fragilità comincio la riabilitazione di una gamba e zampetto, ma il medico mi dice che non tornerò mai come prima e che devo accettare la situazione. È chiaro che in questo caso probabilmente non ce la farò. Viceversa se mi si farà notare che prima ero bloccato e ora zampetto e quindi miglioro, allora probabilmente ce la farò. Terra terra se la politica si convince che ha fatto il primo passo al G20 di Roma farà anche il secondo al Cop26 di Glasgow e vince la sua partita. Se dice che è saltato tutto e che non c’è niente la politica si consegna ai sovranismi e ai populismi e noi tutti a non risolvere nulla di nulla perché prevarranno la povertà, la marginalità, le diseguaglianze e la catastrofe climatica.
Noi crediamo invece fermamente che il treno del multilateralismo è partito dalla stazione di Roma perché conosciamo la fermezza politica di Draghi sulle grandi cose, sulla capacità di indicare la rotta, di preparare il terreno e di coinvolgere gli alleati giusti. Qualcosa che va tenuto bene a mente anche per gli sviluppi di politica interna. Diciamocelo chiaro. Draghi è una persona da ordinaria amministrazione e quindi di gestione del dopo intervento sia dell’emergenza sanitaria sia del Piano di ripresa e di resilienza? È la persona che può gestire queste cose? O è piuttosto la persona che è in grado di fissare la rotta, difendere il punto e di fare lavorare gli altri perché quel punto si rispetti coerentemente sempre? Noi propendiamo per la seconda ipotesi. Che senso ha allora continuare a dire strumentalmente che solo lui può gestire all’infinito esecutività?
Il mondo ha un problema gigantesco che in Cina non si entra e non si esce sul piano istituzionale e questo riduce la capacità di ricostruzione di fiducia reciproca, ma nella situazione data il presidente del G20 tiene insieme i fili, costringe i grandi a dialogare, a partire dal Mao cinese a vita, e spinge perché si prenda atto che il problema non sono le risorse ma la volontà politica di misurarsi tutti insieme con i grandi problemi del clima e della salute altrimenti irrisolvibili. A Cop26 che copresiede questo è il ruolo di Draghi riconosciuto da tutti.
Per capirci ancora di più, a nostro avviso, Draghi a differenza di Ciampi, che ha avuto la caratteristica di “micromanager” straordinariamente attento ai particolari e alle singole situazioni in ogni ruolo, è abituato piuttosto a vedere lo spettro molto ampio e a indicare la rotta lungo la quale si possono ottenere risultati e a farlo spesso prima degli altri. Ha anche la capacità di farsi ascoltare e tendenzialmente di farsi seguire. Quindi è un politico che ha leadership. Lo abbiamo già detto, ma ci piace ripeterlo. Nella grande crisi dell’euro le cose che si sono fatte sono quelle che si dovevano fare, ma non si sarebbe fatto niente se lui non avesse gestito politicamente quelle cose. Questo ha contato in Europa e conta oggi nel mondo perché il multilateralismo fa parte di quel bagaglio personale che è lo spettro molto ampio. Speriamo che conti anche in Italia e porti a valutazioni istituzionali conseguenti.
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