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Stare zitti sui bandi di gara non è più possibile. Rischiamo di avere pochi progetti buoni e di non saperli attuare e dimostriamo di non avere neppure la consapevolezza che non potremo più fare i soliti giochetti con i progetti sponda. Nell’utilizzo dei fondi comunitari 2014/2020 di coesione e sviluppo le Regioni del Nord hanno dimostrato una debolissima capacità di impiego delle risorse disponibili pari al 12% del totale, ma quelle del Sud si sono addirittura fermate al 3%. Se il Paese non attua il Pnrr non ha l’aumento strutturale della crescita e si ritrova a essere il Paese stagnante di prima, ma con un debito pubblico al 150% del prodotto interno lordo causa pandemia e,quindi, con il rischio default del Paese intero che torna ad essere reale
SE RIUSCIRETE a rompere la cortina fumogena di quota 100, 102, 104 e così via per le nuove pensioni e a percepire nel frastuono generale del nulla politico-mediatico (no vax) che il governo Draghi ha fatto meglio di tutti nella campagna di vaccinazione e nella ripartenza della sua economia, potreste avere anche la fortuna di imbattervi nel muro (reale) dove può infrangersi per davvero il disegno di lungo termine di trasformare il rimbalzone in una crescita strutturale sostenibile.
Qui, non altrove, la rinascita italiana può rimanere un sogno o diventare realtà. Ci sono alcuni punti fermi che sono pietre e cemento armato del muro italiano da abbattere. Non ne parla nessuno perché il dibattito della pubblica opinione continua ad essere dominato dal nulla e dai loro maestri vecchi e nuovi, ma noi qui di seguito vogliamo elencarveli con dovizia e anche qualche pedanteria tecnica perché riteniamo che la gravità della situazione lo imponga.
Ci assiste per i primi primi due punti Alberto Zanardi, consigliere dell’ufficio parlamentare del Bilancio (Upb), che della materia si intende come pochi e che si è espresso con il consueto rigore davanti alla commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.
Punto uno. Siamo davanti al rischio concreto che le amministrazioni meridionali non siano in grado di fare buoni progetti per l’utilizzo dei fondi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Perché non hanno risorse professionali adeguate e il reclutamento di quelle necessarie procede troppo lentamente.
Punto secondo. Ammesso e non concesso che si facciano non si sa come buoni progetti, c’è il rischio ancora più concreto di non essere capaci di attuarli nei tempi e nelle modalità concordati con l’Europa. Perché vi è una carenza strutturale disarmante di soggetti attuatori provvisti di reali capacità realizzative.
Punto terzo. C’è un Sud nel Sud che si chiama Regione Calabria che non è in grado neppure di fare fronte alle rendicontazioni che essa stessa esibisce per cui si è vista recapitare da Bruxelles la comunicazione che la Commissione ha deciso l’interruzione dei pagamenti come misura precauzionale. Allo stato non c’è in questa struttura pubblica regionale nessuna possibilità di fare buoni progetti perché scarseggiano vibratamente le capacità tecniche e perché tutte le strutture saranno impegnate a scrivere le controdeduzioni a Bruxelles. Aveva ragione il neo presidente Occhiuto quando ha detto: il mio problema non è fare la giunta, ma trovare i manager per cambiare tutto e cominciare a fare le cose.
Punto quarto. Dai monitoraggi della Ragioneria generale dello Stato emerge che nell’utilizzo dei fondi comunitari 2014/2020 di coesione e sviluppo le Regioni del Nord hanno dimostrato una debolissima capacità di impiego delle risorse disponibili pari al 12% del totale, ma quelle del Sud si sono addirittura fermate al 3% e hanno perso ai nostri occhi ogni diritto di parola perché sprovvisti dei requisiti minimi di legittimazione a disquisire sulla materia.
Questo è lo stato reale dell’arte. Il combinato disposto dei punti uno e due ci dice che è fortemente a rischio che la quota del 40% riservata al Sud nella parte relativa ai bandi di gara e gestita dalle amministrazioni territoriali. I punti tre e quattro ci raccontano in modo impietoso di una strutturale incapacità di gestire proficuamente risorse europee che impone ad horas la possibilità di usufruire di un “supporto tecnico” centralizzato che assista in modo particolare i Comuni del Mezzogiorno. Altrimenti a catena salta tutto.
Abbiamo girato il Mezzogiorno passo passo per incitare le amministrazioni a smetterla di parlare di tavoli di confronto e/o di organizzare convegni. Sbrigatevi piuttosto, abbiamo detto ovunque, a circondarvi di consulenti tecnici, magari attinti dalla banca dati messa a disposizione dal ministero della Pubblica amministrazione. Abbiamo invitato in modo ossessivo sindaci e capi delle amministrazioni a non nascondere ritardi e insufficienze e a chiedere pubblicamente aiuto alle donne e agli uomini della Cassa Depositi e Prestiti. Succede poco o niente.
Abbiamo apprezzato lo sforzo assoluto, e anche inedito, del governo Draghi di rompere il lungo letargo italiano per tornare a rinforzare in modo competente gli organici di queste amministrazioni di frontiera. Tutto giusto e sacrosanto, ma succede poco o niente di nuovo. Succede molto invece di lamentativo vecchio e conosciuto.
C’è da avere paura. Lo stato reale dell’arte è quello descritto da Zanardi e stare zitti non è più possibile. Rischiamo di avere pochi progetti buoni e di non saperli attuare e dimostriamo di non avere neppure la consapevolezza che non potremo più fare i soliti giochetti con i progetti sponda. Perché i progetti non buoni, le marchette dei progetti sponda che sbucano dai cassetti all’ultimo momento, non servono al Sud e l’Europa non li finanzia né gratuitamente né a tassi di favore. Dobbiamo prendere atto che il tasso di utilizzo dei fondi europei imbarazzante delle Regioni del Nord è quattro volte superiore a quello delle Regioni del Sud. Per cui in queste condizioni la complessità generale del problema italiano di essere capaci di attuare il Piano nazionale di ripresa e di resilienza rischia di raggiungere livelli incompatibili con il conseguimento del risultato finale.
Questa è la realtà. Punto. E questa realtà è il problema italiano, prima di essere il problema del Mezzogiorno. Perché se il Paese non attua il Pnrr non ha l’aumento strutturale della crescita e si ritrova a essere il Paese stagnante di prima, ma con un debito pubblico al 150% del prodotto interno lordo causa pandemia e, quindi, con il rischio default del Paese intero, non del Mezzogiorno, che torna ad essere reale. In questi passaggi operativi e nella messa a punto di tutta la macchina pubblica italiana c’è il riassunto concentrato del problema strutturale del Paese. Che ha varie gradualità tra ministero e ministero, tra regione e regione, tra comune e comune, ma che riguarda tutti unitariamente perché si parte sempre ovunque da una inadempienza. Anche perché i burocrati sono quelli di prima a livello centrale e locale e impediscono non solo di attuare i progetti del futuro, ma anche a un privato di fare una fermata in più nelle corse dei suoi autobus.
Sono fatti così. Sono fatti molto male. Essendo questo il riassunto concentrato del problema del Paese o ci si concentra sulla soluzione effettiva del nodo strutturale o qualsiasi altro dibattito è un vano agitarsi del nulla. Così è se vi pare direbbe Pirandello, ma così è anche se non vi pare.
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Tutto prevedibile, non ci voleva Einstein. Io l’ho scritto dieci mesi fa (https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/gli-editoriali/politica/2021/02/14/leditoriale-di-roberto-napoletano-laltravoce-dellitalia-come-disinnescare-la-bomba-sociale/). Perché il fuoriclasse Draghi non ha provveduto? Perché non si è centralizzata la fase della progettazione e della realizzazione? Perché il 60% delle mille nuove unità che debbono fare i progetti sono stati assegnati al Nord?
TRE PASSI PRIORITARI
Chi è dotato di un minimo di capacità di analisi, di logica e di onestà intellettuale non può non concordare sul fatto che la priorità deve essere il Mezzogiorno, per lo sviluppo dell’Italia intera.
Conte e Gualtieri erano inesperti. L’unica loro decisione giusta (che però forse l’avevano adottata per avere il monopolio sui 200 mld e più), la tecnostruttura di gestione dedicata che faceva capo alla Presidenza del Consiglio, è stata affossata da Renzi, che ora pare fuori gioco.
Draghi e Franco sono di ben altro livello e possono anche contare sulla tecnostruttura della Banca d’Italia.
La burocrazia riesce a spendere neppure 2 miliardi all’anno di fondi europei, ora dovrebbe riuscire a spenderne oltre 15 volte tanto per 6 anni. Vi sembra possibile?
Occorrevano dunque questi TRE passi prioritari.
1. Il primo passo è la RIPARTIZIONE territoriale delle risorse: sia per gli obiettivi stabiliti dall’UE, oltre che dalla nostra Costituzione (riduzione dei divari territoriali), sia in base ai moltiplicatori di spesa (al Sud oltre 4, al Nord meno di 1), la quota maggioritaria deve essere assegnata al Mezzogiorno (non a caso l’UE ha assegnato al Sud il 66% del contributo a fondo perduto).
2. Il secondo passo è una logica conseguenza del primo passo: i progetti devono essere pochi e grandi, a partire dall’unificazione ferroviaria nazionale, obiettivo strategico indicato da Cavour 175 anni fa, alle strade, ai porti, agli acquedotti, alle case popolari.
3. Il terzo passo è la creazione di una tecnostruttura dedicata altamente competente (CDP, BEI, Banca d’Italia, Accademia, ecc.), svincolata dalle pastoie della inefficientissima burocrazia nazionale e regionale, in particolare dagli arroganti Mandarini ministeriali, che deve solo fornire le persone più adatte e competenti; regolata da norme europee.
Il PdC, i ministri e il Parlamento, definita la strategia, le quote territoriali e i progetti, devono limitarsi a controllare severamente l’attuazione del PNRR, apportando, in caso di ritardi, le modifiche del caso ai soggetti e alle modalità di gestione e di controllo operativo.