L'amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, Dario Scannapieco
4 minuti per la letturaLe amministrazioni meridionali debbono cambiare completamente registro e dotarsi di quadri qualificati. Una centrale di progettazione può essere la mossa vincente per assistere chi non ce la fa, ma ancora di più per costruire una macchina pubblica di investimenti collaudata capace di garantire stabilmente risultati ben oltre l’attuazione del piano europeo. Bisogna ripetere, al passo coi tempi, un’esperienza ancora studiata nel mondo che fu la Cassa di Pescatore degli anni del Dopoguerra e dei suoi trecento ingegneri
ALBERTO Quadrio Curzio appartiene nello spirito pragmatico e nella coerenza delle analisi di sistema a quella schiatta di meridionalisti del Nord che ha dato un contributo decisivo al miracolo economico italiano del Dopoguerra e all’avvio su basi solide del processo di riunificazione economica e sociale delle due Italie poi in modo miope bruscamente interrotto dal federalismo regionale della irresponsabilità e dai suoi giochetti interessati sulla spesa storica. Penso ai Vanoni, ai Morandi e ai Saraceno di cui Quadro Curzio riproduce il connubio familiare siculo-valtellinese che ha in sé il segno della forza della unità nazionale e il timbro d’autore della speranza civile della rinascita dell’intero Paese.
In tanti anni di collaborazione quando ero alla guida del Sole24 Ore ho apprezzato di Alberto Quadro Curzio la solidità comparativa delle sue analisi e l’intuizione anticipatrice delle sue proposte che rivelano la tensione morale personale per un’Europa della coesione sociale. Che è quella degli Stati Uniti d’Europa e che ha nella attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza italiano nei tempi dovuti e con le giuste priorità il suo principale banco di prova.
Ricordo l’impegno e la precisione analitica con cui lui e Romano Prodi concepirono e posero sul tavolo la proposta degli eurobond come strumento di condivisione del debito, ma ancora prima di costruzione della nuova Europa capace di fare grandi investimenti pubblici, mobilitare capitali privati e valorizzare le sue intelligenze in un disegno federale che unifichi politica economica, difesa e esteri. Uno sforzo anticipatore per garantire al mondo un player globale di peso e affrontare con efficacia gli squilibri territoriali europei. C’era nella proposta degli eurobond proprio lo spirito fattivo di chi vede lungo e vuole attrezzarsi in tempo utile per restituire una prospettiva solidale e competitiva al sogno europeo.
Per tutte queste ragioni messe insieme la proposta di Quadro Curzio di una governance per la progettazione e l’esecuzione di grandi e piccoli progetti nel Mezzogiorno affidata alla Cassa depositi e prestiti e a due società snelle di Co-sviluppo da essa controllate, riflette lo spirito pragmatico dei grandi meridionalisti del Nord di ieri e di quelli di oggi che hanno nel ministro dell’Istruzione della bassa ferrarese, Patrizio Bianchi, la loro bandiera. Questo giornale è convinto che le amministrazioni meridionali debbano cambiare completamente registro e dotarsi di quadri qualificati. Ritiene altresì che una centrale di progettazione possa essere la mossa vincente per assistere chi non ce la fa, ma ancora di più per costruire una macchina pubblica di investimenti collaudata capace di garantire stabilmente risultati ben oltre l’attuazione del piano europeo.
Questo è il punto massimo della sfida che l’Italia e l’Europa debbono vincere insieme nel Mezzogiorno d’Italia che è rimasto di fatto l’unico grande squilibrio territoriale irrisolto a livello europeo. Lo abbiamo già scritto, ma ci piace ripetere qui con Quadrio Curzio che lo strumento giusto è la Cassa depositi e prestiti, che ha tra i suoi azionisti le Fondazioni di origine bancaria e lo Stato, che è fortemente connessa alla Bei e ad altre Casse depositi e prestiti europee, che ha partecipazioni in grandi imprese che sono a controllo pubblico ma anche con forti partecipazioni di azionisti privati.
Bisogna che il ruolo cruciale che Cdp avrà in tutto il PNRR, operando su più fronti da quello finanziario a quello manageriale/gestionale, venga organizzato e sistematizzato a favore delle amministrazioni meridionali. Venga reso pubblico moltiplicandone funzionalità e risultati. Avere messo alla testa di Cdp il migliore vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco, appartiene a quelle felici intuizioni frutto del metodo Draghi che è poi lo stesso che lo spinge a chiedere all’esercito chi è il più bravo nella logistica e consente alla fine del processo di dare all’Italia il primato globale nella campagna di vaccinazione ovviamente in proporzione alla popolazione.
Il Mezzogiorno oggi ha bisogno di una Cdp che diventi la Cassa 4.0 e, cioè, la ripetizione al passo con i tempi di un’esperienza ancora studiata nel mondo che fu la Cassa di Pescatore degli anni del Dopoguerra e dei suoi trecento ingegneri. Questo serve e questo si deve fare. Perché il governo di unità nazionale guidato da Draghi è nato per fare quello che serve per salvare il Paese. Il bello è che lo sta pure facendo.
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C’è, oltre a quello infra-UE (v. il blog del 17.9.21 di Carlo Clericetti su Repubblica), anche un grossissimo problema di solidarietà infranazionale. Traggo dal capitolo 10 dedicato al Mezzogiorno del volume 1 della mia trilogia-pamphlet sulle tre più grandi bufale del XXI Secolo, pubblicato l’1.9.2021, e che in parte riprende considerazioni che ho già scritto nei miei numerosi commenti qui:
Paragrafo 4 – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in rapporto al Mezzogiorno
Uno degli effetti della pandemia da Covid-19 è stato il cambiamento del paradigma dell’Unione Europea nel modo di affrontare la grave crisi economica che ne è conseguita. Tale cambiamento è rappresentato plasticamente dalla sospensione delle regole «stupide» del Patto di Stabilità e Crescita, come abbiamo visto nei capitoli precedenti applicate rigidamente all’Italia durante la Grande Recessione, e dal varo del Next Generation EU (NGEU).177 «È un programma di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale.» E dalla modalità di procacciamento delle risorse finanziarie: per la prima volta, titoli di debito dell’Unione Europea, e quindi debito comune, cosa che prima della pandemia era considerata una bestemmia.
La quantità di risorse messe in campo dal NGEU per rilanciare la crescita, gli investimenti e le riforme ammonta a 750 miliardi di euro, dei quali oltre la metà, 390 miliardi, è costituita da sovvenzioni, il resto da prestiti.
Corollario del NGEU, sono stati i vari Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza. L’Italia, con circa 200 miliardi (69 mld di sovvenzioni), è la prima beneficiaria in valore assoluto. Il Piano italiano si articola in sei Missioni e 16 Componenti. Le sei Missioni del Piano sono: Missione 1 – Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; Missione 2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica; Missione 3 – Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Missione 4 – Istruzione e ricerca; Missione 5 – Inclusione e coesione; Missione 6 – Salute. Il 40 per cento circa delle risorse territorializzabili del Piano sono destinate al Mezzogiorno.
Testi iniqui del PNRR. Anche per la redazione delle varie stesure del PNRR si sono messe all’opera le solite manine, invero maldestre, e si è vista la solita iniquità nel riparto delle risorse. La prima bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) aveva assegnato al Sud appena il 30 per cento del totale delle risorse, cioè un livello neppure proporzionale alla popolazione, quantunque – sebbene fosse già stato rilevato in passato – sia ormai venuto completamente alla luce del Sole da oltre un anno per merito in particolare del Quotidiano del Sud, diretto da Roberto Napoletano, e sia ora oggetto di disputa tra gli specialisti, l’iniquo riparto delle risorse fra le tre ripartizioni territoriali dell’Italia: Nord, Centro e Sud.
Sarebbe utile sapere i nomi e i cognomi di chi – regnante il PdC Conte, pugliese – ha (i) stilato e (ii) appoggiato la prima bozza del PNRR.
Sarebbe anche utile indagare se il 30 per cento è stato un errore non intenzionale di un funzionario o una mossa tattica per rendere digeribile il 34 per cento poi indicato a pag. 117 della seconda bozza del PNRR,178 che rappresenta la quota di popolazione del Sud, ma comunque è ben lontano dal 45 per cento della cosiddetta “clausola Ciampi” e ancor di più da una quota prossima al 66 per cento che rappresenta la quota maggioritaria auspicata, anzi prescritta dall’Unione Europea per il Mezzogiorno nel caso delle sovvenzioni, che sarebbe la misura minima congrua sia per cominciare seriamente a colmare i divari territoriali, sia per compensare il Sud dello ‘scippo’ dei fondi ordinari degli ultimi decenni determinato dal riparto iniquo e incostituzionale (art. 119) basato sulla spesa storica e contravvenendo a quanto stabilito dalla legge 42 del 2009 (cosiddetta Legge Calderoli sul federalismo fiscale).
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Tre passi prioritari. Chi è dotato di un minimo di capacità di analisi, di logica e di onestà intellettuale non può non concordare sul fatto che la priorità deve essere il Mezzogiorno, per lo sviluppo dell’Italia intera.
Conte e Gualtieri erano inesperti. L’unica loro decisione giusta (che però forse l’avevano adottata per avere il monopolio sui 200 mld e più), la tecnostruttura di gestione dedicata, è stata affossata da Renzi, che ora pare fuori gioco.
Draghi e Franco sono di ben altro livello e possono anche contare sulla tecnostruttura della Banca d’Italia.
La burocrazia riesce a spendere neppure 2 miliardi all’anno di fondi europei, ora dovrebbe riuscire a spenderne oltre 15 volte tanto per 6 anni. Vi sembra possibile?
Occorrevano dunque questi TRE passi prioritari.
1. Il primo passo è la RIPARTIZIONE territoriale delle risorse: sia per gli obiettivi stabiliti dall’UE, oltre che dalla nostra Costituzione (riduzione dei divari territoriali), sia in base ai moltiplicatori (al Sud oltre 4, al Nord meno di 1),182 la quota maggioritaria deve essere assegnata al Mezzogiorno (non a caso l’UE ha assegnato al Sud il 66% del contributo a fondo perduto).
2. Il secondo passo è una logica conseguenza del primo passo: i progetti devono essere pochi e grandi, a partire dall’unificazione ferroviaria nazionale, obiettivo strategico indicato da Cavour 175 anni fa,183 alle strade, ai porti, agli acquedotti, alle case popolari.
3. Il terzo passo è la creazione di una tecnostruttura dedicata altamente competente (CDP, BEI, Banca d’Italia, Accademia, ecc.), svincolata dalle pastoie della inefficientissima burocrazia nazionale e regionale, in particolare dagli arroganti Mandarini ministeriali, che deve solo fornire le persone più adatte e competenti; regolata da norme europee.
Il PdC, i ministri e il Parlamento, definita la strategia, le quote territoriali e i progetti, devono limitarsi a controllare severamente l’attuazione del PNRR, apportando, in caso di ritardi, le modifiche del caso ai soggetti e alle modalità di gestione e di controllo operativo.
Testo finale del PNRR. Poi Renzi ha fatto cadere il Governo Conte. Ed è subentrato il Governo Draghi. Deus ex machina del PNRR è diventato il nuovo ministro dell’Economia, Daniele Franco, proveniente da Bankitalia, in una compagine ministeriale a netta prevalenza centro-settentrionale, che, per far fronte alle critiche e soprattutto evitare il rischio di una bocciatura da parte dell’Unione Europea, nel testo finale,177 ha aumentato la quota di risorse destinate al Mezzogiorno dal 34 per cento, deciso dal precedente Governo Conte2 a trazione asseritamente meridionale, al 40 per cento, cioè appena il 6 per cento in più di quanto gli spetta in base alla popolazione.
Ma anche una quota del 40 per cento non rispetta i criteri stabiliti da Bruxelles ed è oggettivamente insufficiente per uno degli scopi principali previsti dal Piano, cioè la riduzione dei divari territoriali. Perché, come ho detto in precedenza, basta un piccolo calcolo economico per stabilire che questo si ottiene soltanto se il tasso di variazione medio annuo del PIL del Mezzogiorno è maggiore di quello del Nord e nella misura congrua e per un numero congruo di anni: non bastano certamente i 6 anni del PNRR a colmarlo, ma ci vogliono 52 anni se la differenza di tasso medio annuo è pari a +1 per cento, 26 anni se è pari al +2 per cento.
Neppure nell’ultima stesura del PNRR c’è traccia di un investimento corposo nel Piano Casa, per incrementare il misero 1,5 per cento di alloggi pubblici (ho scritto una lettera anche alla nuova ministra per il Sud, Mara Carfagna, per suggerirle di investire sia in case popolari, sia nel Progetto educativo184).
L’accentramento della gestione fa capo al Ministero dell’Economia e riguarda il coordinamento, la valutazione e il controllo, mentre «Per quanto riguarda l’attuazione dei singoli interventi, vi provvedono le Amministrazioni centrali, le Regioni e gli enti locali, sulla base delle competenze istituzionali, tenuto conto del settore di riferimento e della natura dell’intervento. L’attuazione degli interventi avviene con le strutture e le procedure già esistenti, ferme restando le misure di semplificazione e rafforzamento organizzativo che saranno introdotte.»
Auguriamoci che la scelta di una siffatta organizzazione, atteso il rispetto dei vincoli fissati dall’Unione Europea – erogazione dei fondi soltanto per i progetti realizzati nei tempi programmati – non pregiudichi la missione – l’obiettivo strategico – del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in particolare la riduzione dei rilevanti, scandalosi divari territoriali tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord dopo 160 anni dall’unità d’Italia.