Il sindaco di Catanzaro Sergio Abramo
6 minuti per la letturaSergio Abramo è il primo degli amministratori del Mezzogiorno che fa ciò che questo giornale chiede da più di due anni ai Presidenti delle Regioni meridionali che, a differenza del sindaco, potrebbero fare direttamente ricorso alla Corte Costituzionale. Abbiamo documentato voce per voce l’abnorme disparità nella spesa pubblica pro capite nei servizi sociali, nella scuola, nella sanità e nei trasporti tra un cittadino della Calabria e un cittadino dell’Emilia-Romagna. Questa vergogna assoluta è il frutto avvelenato del più miope dei federalismi mondiali che è quello italiano dell’irresponsabilità per cui il ricco diventa sempre più ricco e il povero sempre più povero. Il Mezzogiorno deve chiedere nelle sedi competenti il rispetto dei suoi diritti e deve sapere spendere bene ciò che è di sua competenza nel Recovery Plan
Il sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo, avvia le procedure per sollevare davanti alla Corte Costituzionale la questione dell’uguaglianza negata dei diritti di cittadinanza. È il primo degli amministratori del Mezzogiorno che fa quello che questo giornale chiede da più di due anni ai Presidenti delle Regioni meridionali che, a differenza del sindaco, potrebbero fare direttamente ricorso alla Consulta. Vogliamo rendergliene onore aprendo il Quotidiano del Sud-l’AltraVoce dell’Italia con la sua iniziativa, sperando che rossore e vergogna per l’ignavia complice si dipinga sui volti dei Capi delle Regioni del Sud, sceriffi o meno che siano, che dovranno rendere conto alla loro coscienza prima ancora che ai loro elettori del perché di questa prolungata latitanza dalle loro responsabilità.
Che cosa impedisce alla manina dello sceriffo De Luca, Capo della Regione Campania, di prendere una biro e di firmare il ricorso alla Corte Costituzionale in presenza per di più di un governo Draghi che per la prima volta da venti anni in qua ha dato alle Regioni del Sud il 50% delle risorse per il trasporto pubblico locale? Perché lui come Musumeci, Capo della Regione Sicilia, solo per fare qualche esempio, si sottraggono alle loro responsabilità e non chiedono alla massima magistratura del Paese di ristabilire in modo strutturale e per sempre il rispetto dell’uguaglianza dei diritti di cittadinanza tra abitanti del Sud e del Nord prevista dalla Costituzione?
Perché si nascondono? Perché dimostrano nei fatti di prendere ordini supinamente da chi comanda fuori dalla Costituzione e ipoteca in modo miope il futuro del Paese? Vogliamo continuare a prendere in giro le donne e gli uomini del Sud, come fa il meridionalismo della cattedra, incitando a chiedere di saldare questo conto dove non può essere saldato e, cioè, all’interno del Recovery Plan italiano? Che si propone, invece, di attuare la più colossale operazione meridionalista ma ovviamente nel campo degli investimenti infrastrutturali e immateriali che devono dare al Sud il contesto ambientale produttivo fino ad oggi negato? Che non può essere confuso con il riequilibrio dei trasferimenti della spesa sociale che deve, invece, avvenire all’interno del bilancio pubblico nel rispetto dei principi costituzionali e delle ragioni minime di solidarietà che tengono insieme un Paese?
Diciamo le cose come stanno. Abbiamo documentato voce per voce l’abnorme disparità nella spesa pubblica pro capite nei servizi sociali, nella scuola, nella sanità e nei trasporti tra un cittadino della Calabria e un cittadino dell’Emilia-Romagna. Sono numeri che fanno accapponare la pelle e che non abbiamo neppure voglia di ripetere. Abbiamo documentato voce per voce ogni dato sulla base dei rendiconti della Corte dei Conti, dell’Istat e della Ragioneria generale dello Stato.
Questa vergogna assoluta è il frutto avvelenato del più miope dei federalismi mondiali che è quello italiano dell’irresponsabilità dove le Regioni ricche, di Destra e di Sinistra, hanno imposto la legge incostituzionale della spesa storica per cui il ricco diventa sempre più ricco e il povero sempre più povero.
I venti anni di crescita zero e la divisione dell’Italia in due Paesi che hanno l’uno il doppio del reddito pro capite dell’altro sono il prodotto ignobile del “governo” fuori dalla Costituzione esercitato dalla Conferenza Stato-Regioni dove la Sinistra Padronale tosco-emiliana e la Destra lombardo-veneta a trazione leghista hanno violato i principi costituzionali e aggirato i vincoli di parificazione dei diritti. Lo hanno fatto non adempiendo alla legge Calderoli del federalismo fiscale e sottraendosi all’obbligo di definire i livelli essenziali di prestazione per ogni singolo cittadino. Non hanno nemmeno avviato le pratiche per varare i fondi di perequazione sociale e infrastrutturale espressamente previsti dalla legge Calderoli perché questa obbligata operazione di verità avrebbe messo in crisi il saccheggio di risorse impropriamente attuato dalle Regioni ricche nei confronti di quelle povere.
Tutto questo è ovviamente avvenuto nel silenzio complice dei Capi delle Regioni del Sud al guinzaglio dei potentati regionali del Nord che dominano nel centrodestra come nel Partito democratico. Nulla di concreto è mai seriamente pervenuto dal movimento dei Cinque stelle che pure ha nel Mezzogiorno il suo bacino elettorale e i cui maggiorenti un giorno si affacciarono dal balcone di palazzo Chigi e comunicarono di avere abolito la povertà.
Questa di sollevare la questione, anche se in tale caso nelle modalità indirette consentite, davanti alla Corte Costituzionale, è la strada maestra da percorrere sapendo che, al di là della demagogia che è la prima delle condanne del nostro Mezzogiorno, non si può chiedere a un Recovery Plan che opera in un arco di tempo definito e ha altri obiettivi di fare quello che deve valere per sempre e appartiene ai criteri di distribuzione della spesa decisi dal bilancio pubblico nazionale.
Siccome le somme in gioco sono davvero elevate per il livello davvero elevato di sperequazione perpetrato negli anni, appartengono alla stessa categoria della demagogia i semplicistici ragionamenti del meridionalismo della cattedra. Che dice con la leggerezza abituale che bisogna lasciare ai ricchi i loro privilegi e adeguare con altri soldi pubblici, magari europei, magari quelli che servono per fare la banda larga ultra veloce o l’alta velocità ferroviaria previsti dal Recovery Plan italiano, la spesa sociale diretta al Mezzogiorno.
Non funziona così. Con il debito pubblico che abbiamo non si può aggiungere, ma riequilibrare. Il Nord deve restituire una parte di ciò che riceve indebitamente in più e il Sud deve avere una parte in più di ciò che riceve indebitamente in meno. Siccome gli egoismi sono radicati e hanno fatto crescere radici profonde negli alberi del potere italiano, serve una pronuncia della Corte Costituzionale perché il riequilibrio avvenga. Quello che si poteva fare senza scassare i bilanci il governo Draghi lo ha già fatto per i servizi sociali e sono interventi che valgono per sempre.
Il Mezzogiorno deve chiedere nelle sedi competenti il rispetto dei suoi diritti e deve sapere spendere bene ciò che è di sua competenza nel Recovery Plan. Avere messo nelle mani delle grandi aziende pubbliche i grandi interventi infrastrutturali è la prova più evidente della coerenza meridionalista del governo Draghi, ma non basteranno nemmeno questi interventi se gli enti locali continueranno a non sapere fare buoni progetti per asili nido e riqualificazione territoriale o se continueranno a non compilare i moduli dove devono scrivere quanto spendono in potature delle piante, servizi sociali e così via. La rivoluzione ha bisogno delle nostre teste e delle nostre gambe.
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