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La Conferenza Stato Regioni

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Sono in arrivo altri sette miliardi e mezzo per treni locali, bus e porti e state certi che le Regioni troveranno il modo di svegliarsi in autunno per dire che alla sicurezza su autobus e metropolitane ci deve pensare il governo perché i capi delle Regioni sanno solo assumere, spendere e spandere con i soldi dello Stato. La facilità con la quale è avvenuta la piratesca incursione nei cervelloni della Regione Lazio mette a nudo una falla costitutiva dell’assetto strutturale del Paese: ogni singola piattaforma regionale non comunica con il sistema. La Cybersicurezza non può ruotare intorno a 20 piattaforme diverse, serve un unico interlocutore, la nuova Agenzia nazionale. E sul Ponte dello Stretto si continua a perdere altro tempo e a buttare altri soldi in studi di fattibilità quando è già stato studiato e approvato tutto e, se solo si volesse, si potrebbero aprire i cantieri oggi stesso

Ricostruire un Paese dopo i venti anni e passa di dissoluzione regionalista. Questa è la priorità che i giorni difficili del nuovo ’29 mondiale ci consegna quotidianamente con l’eloquenza dei fatti.

Sono in arrivo altri sette miliardi e mezzo per treni locali, bus e porti e state certi che le Regioni troveranno il modo di svegliarsi in autunno per dire che alla sicurezza su autobus e metropolitane ci deve pensare il governo. Troveranno il modo per dire che non hanno capito, che di più di quello che hanno fatto e, cioè, niente, non si può fare.

Perché, diciamocela tutta, questi capi di stato ombra sanno solo assumere, spendere e spandere con i soldi dello Stato, ma se poi chiedi loro di fare loro qualcosa perché il virus non si diffonda in autobus e le scuole restino aperte in presenza allora il problema non è più loro.

Hanno evidentemente capacità di persuasione politiche inimmaginabili se riuscirono a far dire alla ex ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, ancorché di sicuro la più inadeguata della storia repubblicana italiana, che il trasporto pubblico locale era il mezzo più sicuro. Così sicuro che dovettero richiudere le scuole a stretto giro benché le Regioni avessero incassato il lauto assegno e, grazie alla De Micheli, avessero continuato a riempire i bus arrivando di fatto a lucrare sulla pandemia.

Meno male che ora la musica è cambiata, perché la testa e le lunghe braccia del governo Draghi si fanno finalmente sentire. Per cui tra Green pass e regole chiare per tutti, lo spazio delle manovrette di potere contabile e clientelare dei Capi delle Regioni fuori dalla realtà si è ovviamente ristretto, ma abbiamo comunque il dovere di avvertire che sanno svicolare come pochi questi signori con alleanze di volta in volta a geometria variabile e che rappresentano costitutivamente, di fatto, un contro potere pericoloso.

Ma vi rendete conto che la sicurezza del sistema sanitario affidata alle Regioni rischia di finire sotto scacco informatico? Ma che ha fatto di male questo piccolo Paese con scarsi 60 milioni di abitanti per trovarsi alle prese anche con il federalismo cibernetico dei venti staterelli? Non bastava il federalismo sanitario dei diritti di cittadinanza negati a venti milioni di persone? Ma davvero davvero possiamo consentire ai Capi delle Regioni di gestire in autonomia il Green pass che da domani sarà operativo in tutto il territorio nazionale magari consentendo a un’altra banda di hacker di impadronirsi dei dati sensibili del Molise o della Campania dopo quelli del Lazio?

Servono o non servono codici di difesa più efficaci e, soprattutto, finalmente nazionali?

La facilità con la quale è avvenuta la piratesca incursione nei cervelloni della Regione Lazio mette a nudo una falla costitutiva dell’assetto strutturale del Paese in modo disarmante. Ogni singola piattaforma regionale non comunica con il sistema. Anagrafe sanitaria unica regionale, anagrafe vaccinale regionale. La Cybersicurezza non può ruotare intorno a 20 piattaforme diverse, serve un unico interlocutore, la nuova Agenzia nazionale, e servono più risorse e una nuova mentalità.

Diciamocela davvero tutta. Bisogna ritornare a ragionare con una logica di sistema Paese. Quella che ha spinto il governo Draghi a dare per la prima volta dopo trent’anni oltre il 50% delle risorse per il trasporto pubblico locale alle regioni meridionali tra gli strepitii imbarazzanti dei Capi delle Regioni del CentroNord, di destra e di sinistra, che soffrono di bulimia da spesa storica a livelli incompatibili con la rinascita civile e la ripartenza economica del Paese con effetti duraturi sulla sua crescita complessiva.

L’esatto opposto, cioè, di quella cultura di micro interessi afflitta da miopia acutissima che spinge un altro ministro dei Trasporti, Enrico Giovannini, dopo la De Micheli, a perdere altro tempo e a buttare altri soldi in studi di fattibilità per il Ponte sullo Stretto di cui certamente gli chiederà conto la magistratura contabile.

Stiamo parlando di un piccolissimo ponte al confronto con i grandi ponti del mondo che darebbe un senso compiuto all’alta velocità e capacità ferroviaria fino in Sicilia e che aprirebbe all’Italia intera le porte di quella leadership del Mediterraneo di cui l’Europa, prima di noi, ha vitale bisogno. Stiamo parlando di un piccolissimo ponte di cui è stato studiato e approvato tutto e che, se solo lo si volesse, potrebbe aprire i suoi cantieri oggi stesso.

Cerchiamo di essere un po’ più seri perché continuare a prendere in giro i cittadini meridionali non è mai bello, ma in questo caso diventa ridicolo se si vuole, come si vuole e come si sta facendo, ricucire le due Italie. Tutte le rivoluzioni destinate a produrre effetti di portata duratura ha avuto bisogno dei suoi simboli. Il Ponte sullo Stretto lo è di sicuro e ha il vantaggio che il cantiere si può aprire domani. Perché tutto, ma proprio tutto, come già detto, è stato studiato e calcolato nei minimi dettagli. Facciamola finita con i giochetti della politica. Abbiamo bisogno di fatti, non di narrazioni.


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