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Un abbraccio tra Mario Draghi e Carlo Azeglio Ciampi

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I governi non si misurano dalla durata, ma dalle decisioni che prendono e dagli effetti di quelle decisioni. Il governo Ciampi fu tra i più brevi, ma con l’accordo sulla politica dei redditi del luglio del ’93 fece uscire l’Italia dalla spirale perversa della inflazione a doppia cifra e dalla sua prima grande crisi interna. Il governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi sta ponendo le basi per fare uscire l’Italia dal ventennio della crescita zero e dalle sue mille diseguaglianze. Fare ciò che abbiamo sempre avuto difficoltà a fare, il decreto unico semplificazioni, la nuova governance per l’attuazione del Pnrr, i nuovi reclutamenti di qualità per la pubblica amministrazione, fare approvare in consiglio dei ministri all’unanimità la riforma della giustizia. Fare tutto ciò nei tempi dovuti, sempre, perché in casa e in Europa si deve capire che il metodo è cambiato e che l’Italia non è più il Paese che non decide mai

I GOVERNI non si misurano dalla durata, ma dalle decisioni che prendono e dalla qualità e dalla durata degli effetti di quelle decisioni. Il governo Ciampi fu tra i più brevi, ma con l’accordo sulla politica dei redditi del luglio del ’93 fece uscire l’Italia dalla spirale perversa delle indicizzazioni dell’inflazione  e dalla sua prima grande crisi interna. Il governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi sta ponendo le basi per fare uscire l’Italia dal ventennio della crescita zero e dal cumulo nefasto delle sue mille diseguaglianze.

Il segno più evidente del cambio di passo è la capacità di mantenere fede agli impegni in termini di riforme assunti in sede di sottoscrizione del Recovery Plan italiano. Che vuol dire non parlare di soldi ma imparare il mestiere di spenderli che abbiamo smarrito da tempo. Vuol dire fare ciò che abbiamo sempre avuto difficoltà a fare. Significa fare il decreto unico semplificazioni e nuova governance per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Fare i nuovi reclutamenti di qualità per la pubblica amministrazione con gli inevitabili aggiustamenti di percorso dovendo agire con una gamba nel mondo vecchio e un’altra nel mondo nuovo. Fare approvare in consiglio dei ministri all’unanimità la riforma della giustizia partendo per la prima volta dalla testa dei problemi che riguarda il processo penale italiano con le sue evidentissime distorsioni dal lato della accusa che sono quelle che spaventano gli investitori globali più ancora dei tempi infiniti della giustizia civile. Mettere in mani sicure la guida della Cassa Depositi e Prestiti e delle grandi aziende pubbliche di mercato e culturali italiane.

Significa fare tutto ciò nei tempi dovuti, sempre, perché in casa e in Europa si deve capire che il metodo è cambiato e che l’Italia non è più il Paese che non decide mai. Fare tutto ciò dopo avere superato il primo difficilissimo banco di prova che è la campagna di vaccinazione dimostrando dal colpo iniziale come ci si sarebbe mossi e, cioè,  chiedendo all’esercito non un nome o magari un amico per guidare la campagna italiana, ma il più bravo nella logistica e sorvoliamo sulla ironia della vecchia Italia che vuole continuare a non decidere e a lamentarsi sulle medagliette del generale. Dimostrando a ogni difficoltà successiva il massimo del pragmatismo che spazia dal calcolo ragionato alla stroncatura del solito dibattito mediatico italiano sulla eterologa del secondo vaccino AstraZeneca. Pragmatismo che si esprime sempre con un’assunzione di responsabilità personale.

Non piace soffermarci qui sulla ripresa in atto oltre il 5% che è un buon segnale ma non va sopravvalutato perché siamo entrati in acque inesplorate e dobbiamo fronteggiare nuove onde e nuovi marosi.

Quello che piace sottolineare piuttosto è il lavoro di metodo e di azioni decise già svolto per fare in modo che l’Italia che esce dal nuovo ’29 mondiale non sia più quella che è entrata nella pandemia globale. Perché l’Italia possa avere stabilmente ritmi di crescita da miracolo economico nonostante le inevitabili nuove avversità e possa così ridurre il peso del suo debito. La reputazione di Draghi nel mondo per le cose fatte in Europa ha bisogno di nutrirsi oggi di questi risultati italiani. Sono indispensabili per dare all’uomo che ha salvato l’euro e avrà oggi e, auspichiamo domani, in posizioni differenti per un lungo periodo il potere di guida, indirizzo e rappresentanza dell’Italia, la forza necessaria per determinare il processo di cambiamento federale e solidale dell’Europa.

Ancora prima, per dare forza alla presidenza italiana del G20 e portare a casa il risultato storico della nuova Bretton Woods di cui il mondo ha vitale bisogno. Che avrà il suo profilo riscontrabile nel nuovo multilateralismo con la frontiera globale delle emissioni zero e nei nuovi poteri della Organizzazione mondiale del commercio (Wto), della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. Pensate per un attimo quanto potrà valere per la piccola grande Italia la foto della storia (vera) di Draghi al centro con ai suoi lati Biden e Xi Jinping.  


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