Mario Draghi all’Adunanza solenne di chiusura dell’anno accademico dell’Accademia Nazionale dei Lincei
4 minuti per la letturaLa sua abolizione è una di quelle decisioni che misura meglio di molte enunciazioni teoriche il metodo Draghi e restituisce un’idea effettiva di politica economica che persegue la coesione sociale. Siamo davanti a una roba oscena che dava i soldi ai ricchi con i soldi pubblici e, quindi, aumentava le distanze tra ricchi e poveri facendo debito cattivo, ma che pochi avrebbero smontato perché piaceva il giochetto dei premi che valeva, avete capito bene, qualcosa come 4,7 miliardi di nuovo debito pubblico in un anno e mezzo
Pragmatismo contro propaganda. L’abolizione del cashback di Stato è una di quelle decisioni che misura meglio di molte enunciazioni teoriche il metodo Draghi e restituisce un’idea effettiva di politica economica che persegue la coesione sociale. Significa che il rigore e la serietà non possono essere scambiati con la propaganda. Significa che porsi il tema del riequilibrio territoriale vuol dire avere coscienza che le scelte non sono mai neutre. Siamo davanti a una roba oscena che dava i soldi ai ricchi con i soldi pubblici e, quindi, aumentava le distanze tra ricchi e poveri facendo debito cattivo, ma che pochi avrebbero smontato perché piaceva il giochetto dei premi ai ricchi che valeva, avete capito bene, qualcosa come 4,7 miliardi di nuovo debito pubblico in un anno e mezzo.
Draghi non ha avuto paura dell’impopolarità e ha bloccato il giochetto. Ha detto: questi soldi mettiamoli sugli ammortizzatori sociali e potenziamo i bonus fiscali per i negozianti che installano i Pos e aumentiamo così in modo sano la tracciabilità. Un credito di imposta che favorisce la modernizzazione reale del Paese e non lascia indietro il Mezzogiorno contro il regalo da capogiro ai ricchi che allarga le distanze, diseduca e gonfia il debito pubblico per motivi sbagliati. Pragmatismo, insomma, contro propaganda.
Vince alla prova dei fatti la serietà e perde la propaganda. Il cashback è regressivo perché dà a ricchi e poveri gli stessi soldi rispetto alla spesa e, quindi, ne dà infinitamente di più a chi spende molto di più e ne dà infinitamente di meno a chi spende e consuma molto di meno. Per i meridionalisti dei decimali e delle chiacchiere è una bella lezione. È paradossale che debba essere un ex banchiere centrale europeo a farlo presente alla sinistra che aveva fatto con il Conte due una cosa così assurda che costa ai contribuenti italiani, come detto, 4,7 miliardi in un anno e mezzo.
Ha fatto molto bene Draghi a sospenderlo perché così il cashback non funziona in quanto non esiste al mondo il premio collegato alla spesa. Magari si può pensare al modello portoghese dove il premio è limitato solo alle categorie a maggiore rischio di evasione, non di certo se vai a fare shopping con il portafoglio pieno alla Esselunga dove tutte le spese sono già tracciate con il massimo della serietà.
Ecco un modo efficace per perseguire il riequilibrio tra le due Italie misurandosi con la realtà. Perché non bisogna essere economisti da Nobel per capire che la dinamica dei consumi di Veneto e Lombardia non è nemmeno paragonabile a quella della Calabria e se si è voluto mettere al primo punto del Recovery Plan la riduzione delle disparità territoriali non si possono neppure concepire regaloni ai ricchi con debito poggiato sulle spalle di tutti gli italiani. Perché è evidente a tutti che gli strumenti regressivi sono incompatibili con questa strategia.
Sinceramente fa effetto la lezione impartita a quella Sinistra Padronale che chi legge questo giornale ben conosce. Ci è molto piaciuta a questo proposito la dichiarazione del sindaco di Bologna, Virginio Merola, che ha detto senza mezzi termini che “il centralismo delle Regioni si è aggiunto a quello dello Stato”. Come dargli torto! Questo Paese ha bisogno di smettere di fare debito cattivo regalando ai ricchi o finanziando le clientele dei viceré regionali e di cominciare a fare debito buono mettendo in moto la macchina degli investimenti pubblici a partire dal Mezzogiorno in un progetto Italia condiviso che dà risposte ai giovani e alle donne. Che sono le altre due disparità da colmare, oltre a quella generale territoriale, e che riproducono al loro interno le dimensioni percentuali della grande questione italiana irrisolta.
Ha ragione il ministro Brunetta a invocare una sorta di appropriazione collettiva del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) da parte dei territori attraverso open day in atenei sui singoli progetti del Pnrr coinvolgendo gli studenti, la società, le imprese, i sindaci, i professionisti e le intelligenze tecniche per raccontare la ricchezza di opportunità della nuova pubblica amministrazione e farla diventare cultura del Paese.
Per questo ci spaventa che si faccia così tanta fatica a attrarre nei ruoli della pubblica amministrazione locale del Mezzogiorno quelle figure di esperti tecnici e di esperti in rendicontazione, gestione e controllo che sono le più importanti per realizzare con successo il Recovery Plan italiano. La battaglia culturale condotta da Brunetta su questo terreno è decisiva. Ai nostri occhi è la più importante delle battaglie meridionalistiche se si vuole uscire vincitori dal nuovo ’29 mondiale. Invitiamo lui a non mollare mai e i giovani di talento del Mezzogiorno a scommettere sulla frontiera pubblica rinnovata. È interesse di tutti cambiare qui quasi tutto e fare terra bruciata intorno alla cultura dei finti corsi di formazione e del posto pubblico come merce di scambio di voto. Declinazione pericolosa, anche questa, del centralismo delle Regioni.
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