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La Camera dei Deputati

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Via le bandierine, confronto duro sulla sostanza delle cose. Bisogna lodare il lavoro dei presidenti delle Commissioni Finanze della Camera, Marattin, e del Senato, D’Alfonso, che hanno guidato e indirizzato il tutto. Perché non abbiamo assistito, per ora, al solito spettacolino propagandistico: facciamo la Flat Tax, da un lato e colpiamo i ricchi dall’altro, anche quelli impoveriti, con la patrimoniale. Non sappiamo come andrà a finire. Nei colpi di coda ci può essere la solita insidia, ma qualcosa di diverso dal solito copione parlamentare è accaduto

Non sappiamo come andrà a finire. Nei colpi di coda ci può essere la solita insidia, ma qualcosa di diverso dal solito copione parlamentare è accaduto. Sul progetto di riforma fiscale siamo davanti a uno di quei casi in cui la politica sembra tornare a fare il suo. Via le bandierine, confronto duro sulla sostanza delle cose. Bisogna lodare il lavoro dei presidenti delle Commissioni Finanze della Camera, Marattin, e del Senato, D’Alfonso, che hanno guidato e indirizzato il tutto. Perché non abbiamo assistito, per ora, al solito spettacolino propagandistico: facciamo la Flat Tax, da un lato, e colpiamo i ricchi, dall’altro, anche quelli impoveriti, con la patrimoniale. Si sono percepiti viceversa un livello di dibattito analitico e la volontà di entrare nel merito in modo approfondito. Tutti i singoli partiti si sono mostrati disponibili a rinunciare a qualcosa di ideologico pur di andare avanti con la definizione di quel disegno complessivo che può portare finalmente alla riforma organica cui ha fatto riferimento il Presidente del Consiglio e di cui ha vitale bisogno il Paese.

Se davvero riesce, l’operazione rappresenta un dato importante perché il Parlamento con questo lavoro duro sul merito si riprende la centralità che ha perso fino a oggi riducendosi a passacarte di Draghi che fa il suo con la determinazione di chi è consapevole che il cronoprogramma delle riforme e la qualità delle stesse sono il punto più qualificante del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e, soprattutto, l’unico spartiacque possibile tra vecchio e nuovo mondo. Tra un’Italia che è incapace di darsi un progetto Paese di lungo termine e di attuare il cambio di paradigma culturale e gli investimenti pubblici e privati effettivi che servono per realizzarlo e un’Italia che invece finalmente ci riesce smentendo tutto e tutti.

Si mette positivamente in crisi lo scenario fino a oggi ricorrente di un governo che pensa a fare le cose che servono e di partiti suoi azionisti e suoi oppositori e di un Parlamento che è il luogo dove questi soggetti politici esprimono la sovranità popolare che passano viceversa il tempo a occuparsi dei calciatori che non si inginocchiano, di schieramenti e sondaggi. Insomma, di tutto ciò che è terribilmente lontano dalle sensibilità di un Paese alle prese con il nuovo ’29 mondiale da crisi pandemica che mette a rischio certezze di vita e di lavoro seduto come è su un cratere sociale che non deve assolutamente esplodere.

Parliamoci chiaro. Lo abbiamo detto ieri, lo ripetiamo oggi. Non è affatto vero che il governo di unità a nazionale a guida Draghi ha fatto solo annunci, perché il trio integrato di interventi su semplificazioni, nuova governance tecnica e politica e reclutamenti di qualità rappresentano il più compiuto disegno di riforma della pubblica amministrazione centrale e regionale italiana da qualche decennio in qua.

Richiederà di certo ancora molte messe a punto, ma di sicuro comincia a fare uscire la nostra amministrazione pubblica dai binari morti della paralisi italiana. Il punto è che questo tipo di risultati appartiene al nuovo metodo Draghi che significa “decidere, mediare, decidere”, non “decidere di non decidere mai”. Significa che il governo si fa carico della responsabilità di mettere le basi perché la macchina inceppata degli investimenti pubblici si sblocchi e l’Italia non perda la sua ultima grande occasione per cambiare se stessa per l’oggi e per il domani. Acquisendo strutturalmente nuove buone pratiche e, di conseguenza, cominciando a cambiare in profondità il paradigma di un’Europa che esce dall’austerità per entrare nel mondo della crescita e della coesione sociale.

Se, però, succede che l’appello del governo di fare dentro i tempi del cronoprogramma concordato con l’Europa un lavoro serio per definire una riforma fiscale finalmente organica viene accolto e ci si muove con competenza sul terreno di abbassare le tasse sul terzo scaglione Irpef che è quello che ha la massima progressività e esprime al meglio la sofferenza da sanare del ceto medio, allora vuol dire che la fiducia che si nutre di fatti e di comportamenti comincia a contagiare anche i partiti e il Parlamento. Questo è di sicuro la massima garanzia perché i cambiamenti apportati vengano condivisi e diventino strutturali.

Se i partiti lavorano insieme in Parlamento per annullare le distorsioni di una tassa (IRAP) che mette balzelli sui fattori produttivi e viene quindi pagata anche da chi continua a dare lavoro con un’attività che non produce utili ma vuole tornare in utile, significa che si sta operando con serietà visto che non si fa la solita propaganda (aboliamo l’IRAP: chi la paga?) ma la si vuole mettere sotto l’ombrello dell’Ires e si sana in modo realistico la distorsione di fare pagare tasse in più alle imprese in perdita. Che è una ben magra soddisfazione visto che alla lunga può solo portare alla chiusura delle stesse aziende che, oltre a non pagare più l’IRAP, non pagheranno nemmeno le altre tasse e avranno aumentato il monte complessivo dei senza lavoro. Questo significa farsi carico dei problemi con lo spirito del governo di unità nazionale che deve guidare e realizzare la Nuova Ricostruzione.

Facciamola breve. Il Parlamento abilmente guidato sta sorprendentemente facendo bene il suo mestiere sulla legge delega di riforma fiscale che dovrà essere pronta entro il 30 giugno secondo il cronoprogramma da Recovery Plan. Per capirci, dall’Ocse all’Istat, dal Fondo monetario internazionale all’ufficio parlamentare di bilancio (UPB) non c’è una sola istituzione economica accreditata che non sia stata interpellata e audita. Non sappiamo ovviamente, lo abbiamo detto in premessa, come andrà a finire. Quello che è stato fatto fino a oggi va nella giusta direzione, nulla va dato per scontato. Tuttavia se l’operazione si compie da qui al 30 giugno, rappresenterebbe un risultato inedito nella politica italiana. Perché in netta contraddizione con il quadretto che raccontiamo ogni giorno da quattro mesi in qua. Che è quello di Draghi e dei suoi ministri che vanno avanti sulla sostanza, i partiti e i politici che litigano su fesserie. Politicamente si tratta di un passaggio importante. Da non sottovalutare in entrambe le direzioni.


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