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Mario Draghi e Sergio Mattarella

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Agli occhi dei cantori del nulla italiano che vivono nel loro piccolo mondo autoreferenziale dell’irrealtà, figure come Einaudi, Carli, Ciampi, Draghi non hanno la “sensibilità” della politica che coincide con l’unico copione che conoscono, quello del retrobottega. Questi uomini loro li chiamano sbrigativamente “tecnici” senza capire che appartengono invece alla Politica con la P maiuscola, nata e cresciuta nella scuola dell’interesse generale della Banca d’Italia. Nel caso di Draghi, poi, la scuola dell’interesse generale è diventata addirittura europea, dove l’autonomia coraggiosa della funzione monetaria, la americanizzazione della Banca centrale europea e le ragioni più nobili della politica si sono saldate in una sola persona

Mario Draghi ha una qualità che viene prima di tutte. Guarda al sodo. Che vuol dire la sostanza delle cose sfrondata dai dettagli. Non usa mai frasi ampollose o termini che non si capiscono.

Se lo senti, sai cosa pensa. Ha l’ammirazione dei professori e dei premi Nobel ma è diverso da loro perché a lui quella stessa formazione culturale che molto spesso è analisi empirica serve per fare le cose, non per guardarsi l’ombelico e dirsi “quanto sono bello”.

A lui serve per decidere. A volte sbaglia, solo chi non fa non sbaglia, molto più spesso la indovina, ma il metodo è sempre lo stesso. Quello della competenza tecnica utilizzata per decidere, non fine a sé stessa.

Gli italiani stanno cominciando a conoscerlo e fa un certo effetto sentire Mario Draghi parlare di euro e di dollaro.

Ti restano dentro delle cose che ti permettono di dire: “Ho capito.” Qui in Europa c’è un’Unione bancaria a metà, non c’è il mercato dei capitali, non c’è l’Unione fiscale, sia- mo ancora dei piccoli stati che stanno insieme senza un ministro del tesoro europeo. Lì in America c’è il Tesoro di tutti e tutti se ne avvantaggiano perché quando c’è un afflusso di capitali vanno tutti sul bond americano che vale per i californiani come per i newyorkesi.

Quando c’è largo uso dell’euro, i capitali invece defluiscono verso la Germania, non avendo l’Europa un mercato del bond unico; insomma, l’afflusso favorisce il bund tedesco e cioè il paese più forte a discapito degli altri, perché è inevitabile che a causa di ciò si allarghi lo spread con i paesi del Sud Europa e che questi soffrano invece di gioire.

Ho sorriso molto nei primi giorni del governo Draghi. Mi veniva naturale quando sentivo le comparse a gettone della compagnia di giro del talk italiano e i soliti analisti politici che si occupano di tutto ciò che non interessa le persone ripetere una sera sì e l’altra pure che Draghi prima o poi avrebbe dovuto parlare e ne avremmo viste delle belle. Perché una cosa è fare il banchiere centrale un’altra è governare, pontificavano. Perché una cosa è comunicare da banchiere centrale una cosa farlo da capo del governo, strapontificavano.

Non vi preoccupate, conosco i miei polli! Sono i cantori del nulla italiano e vivono nel loro piccolo mondo autoreferenziale dell’irrealtà, ai loro occhi figure come Einaudi, Carli, Ciampi, Draghi non hanno la “sensibilità” della politica che coincide con l’unico copione che conoscono, che è quello del retrobottega.

Questi uomini loro li chiamano sbrigativamente “tecnici” senza capire che appartengono invece alla Politica con la P maiuscola, nata e cresciuta nella grande scuola dell’interesse generale che è stata da sempre la Banca d’Italia. Fucina di capi di stato, presidenti del consiglio, ministri dell’economia che hanno lasciato il segno nella storia del paese.

Ciampi è riuscito a ricoprire tutti e tre i ruoli e ha saputo parlare al cuore degli italiani. Nel caso di Draghi, poi, la scuola dell’interesse generale è diventata addirittura europea, dove l’autonomia coraggiosa della funzione monetaria, la americanizzazione della Banca centrale europea e le ragioni più nobili della politica si sono saldate in una sola persona.

Commentavo questi giudizi sommari del talk italiano del nulla su Draghi con un banchiere che lo conosce molto bene e mi è rimasta impressa una frase: “Non hanno capito niente, in dieci minuti di colloquio Draghi può sfilarti i calzini senza toglierti le scarpe chiunque sia il suo interlocutore.” Come dire: se vuole è un ammaliatore, può troncare con garbo dopo pochi minuti perché non si sente in sintonia ma può anche farti sentire importantissimo.

Di sicuro ascolta sempre, trattenendo la sostanza con velocità, e conosce come pochi le regole della comunicazione. Ho chiesto a Claudia Ferrari, che ne è stata l’assistente in otto anni di presidenza della BCE, un aggettivo per definirlo, ha risposto all’istante: “Integerrimo.” Che è un modo per dire che sceglie sempre per il meglio, non tra gli amici degli amici. Che ha rispetto delle regole e non lascia le cose non dico a metà, ma neppure a tre quarti o a quattro quinti. “Onorato, non disponibile,” così Draghi ha detto no alla guida del Fondo monetario e alla presidenza della Commissione europea. Ha voluto portare a termine il suo mandato alla BCE con la stessa attenzione con cui lo ha iniziato.

Posso aggiungere io che, avendolo sentito nei passaggi chiave delle Grandi Crisi, mi è rimasta dentro una essenzialità espressiva che è esaustiva. Perché arriva subito al cuore del problema. Diciamo che toglie naturalmente la fuffa ed evidenzia naturalmente la sostanza. Non so come fa, ma gli bastano sempre poche parole, una o due frasi. “Ricorda il novembre del 2011, presidente Draghi? I tassi alle stelle, nessuno al mondo vuole comprare un titolo Italia, i BOT a sei mesi scambiati sul secondario all’8% con quelli a dieci anni sopra il 7.

Che cosa le viene in mente, oggi?” gli chiedo il 31 ottobre 2015 a metà del suo mandato della BCE nell’unica intervista rilasciata a un giornale italiano (Il Sole 24 Ore, con Alessandro Merli e me). Risposta secca: “Che è cambiato tutto, proprio tutto.” Stiamo parlando del novembre del 2011 e dell’esplosione della crisi dei debiti sovrani. Stiamo parlando di dieci anni fa. In quei giorni, Mario Draghi diventa presidente della Banca centrale europea. Il Sole 24 Ore titola “FATE PRESTO” a caratteri cubitali, perché sono a rischio il risparmio e il lavoro degli italiani. Se oggi quel risparmio è salvo e i tassi d’interesse sono scesi verticalmente, a volte sottozero, il merito è della “sua” BCE e di altre sue tre parole: Whatever it takes, “Faremo tutto il necessario”, “Qualunque cosa serva”, “Costi quel che costi”. Una frase che i mercati finanziari di tutto il mondo hanno imparato a rispettare.

Il pericolo più grande che corre oggi Draghi è che lo si carichi così tanto di aspettative da ritenere che possa risolvere tutti i problemi in un battibaleno. In realtà lui, anche questa volta, sta guardando al sodo. Sa che deve fare bene due cose, Piano vaccini e Recovery Plan, e lì è tutta la sua concentrazione. Nel primo caso ha messo sotto pressione tutti in casa e in Europa.

Al posto delle Primule c’è l’esercito, le regioni hanno capito che la musica è cambiata, le regole ora ci sono e la rottura non ci sarà perché si bada alla sostanza e bisogna correre. In Europa ha fatto emergere il doppio gioco delle case farmaceutiche e gli errori della commissione, sono venuti fuori i ritardi tedeschi e francesi che sono, come quelli italiani, sulla logistica e sulle quantità dei vaccini, si è vista una leadership concreta che incide sulle cose.

Questo è Mario Draghi. Sul Recovery Plan non ha messo la sua cricca, esattamente come in BCE e prima in Banca d’Italia punta sulle risorse umane che ha trovato. Ci sono centinaia di persone che lavorano, che riportano al ministero dell’economia e delle finanze (MEF), che a sua volta riferisce a lui. Sulla pubblica amministrazione si è già intervenuti con serietà.

Sulla giustizia si farà quello che si deve fare. Il metodo è giusto. Le priorità sono chiare, il Mezzogiorno, a partire dalla scuola, è lì in bella evidenza, le competenze dei ministri pure. Il compito sarà svolto al meglio, il governo avrà adempiuto alla sua ragione sociale, e Draghi avrà sprovincializzato l’Italia. Che diventerà giorno dopo giorno un interlocutore importante a livello europeo. Se Draghi resta su piazza per un po’ diventerà un riferimento internazionale per l’Italia come lo è stato per l’Europa con la battaglia vinta dell’euro. Ogni italiano in buona fede non può che augurarselo e metterci del suo perché ciò avvenga.

Per capire perché siamo arrivati a giocare in Italia la carta estrema del salvatore dell’euro, il Cavaliere bianco che è il cittadino europeo più stimato nel mondo, vi devo chiedere di seguirmi in questa cronaca ragionata di un anno terribile che riassumerei nell’espressione Titanic Italia e che intendo restituirvi con un racconto immediato e un linguaggio comprensibile volutamente diretto.

Prima vi dirò qualcosina in più su chi è il Cavaliere bianco. Alla fine della lettura, almeno spero, vi sarà anche chiaro perché la carta estrema messa sul tavolo con intelligenza politica dal capo dello stato, Sergio Mattarella, non può fallire e quanto sia interesse di tutti che ciò non avvenga. Perché è necessario che scatti la mobilitazione delle persone intorno alla nuova ricostruzione e al nuovo De Gasperi. Si chiama Mario Draghi ed è l’asso calato da Mattarella. Appunto, la carta estrema. Che, per definizione, è anche l’ultima carta.

(*) Questo testo è l’Introduzione del libro “Mario Draghi il ritorno del Cavaliere Bianco”, edito da La Nave di Teseo in libreria


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