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Il pilastro dell’uguaglianza da conquistare tra territori e nella parità di genere effettiva. Il dovere di restituire ai nostri giovani la parità di diritti di cittadinanza a partire da quella digitale. La forza trainante del grande orizzonte europeo che porta a compimento il destino nazionale e lo spirito giovanile della riscossa del Paese.
Non sono solo, quelle di Mattarella, le parole del discorso più bello fino a oggi del suo Settennato. Sono per noi le pietre morali del palazzo della nuova Italia

Siamo all’incrocio della storia con la fine della lunga stagione della demagogia, ma dobbiamo fare i conti con lo stesso Parlamento. Siamo alla pedagogia dell’unità nazionale di Mattarella, Draghi e Visco perché la discontinuità di governo diventi metodo della Nuova Ricostruzione, ma bisogna rompere il coagulo di miopi interessi regionalisti e corporativi perché prevalga lo spirito di condivisione e ognuna delle parti sociali faccia la sua parte.

Siamo al “decidere, mediare e decidere” di Mario Draghi che fa le cose, dà fiducia e aiuta l’economia a ripartire, ma dobbiamo fare i conti con le solite venti “claque” televisive dove non esistono le persone ma le maschere del salotto dell’irrealtà che fa muro contro il dibattito della realtà della pubblica opinione.

C’è un’aria buona nel consiglio dei ministri perché si è capito che quando si arriva lì si decide. Si è capito che tutti i confronti di merito sono addirittura auspicati, ma quando arriva la sintesi indirizzata di Draghi quella è la decisone. Neppure i capi di gabinetto dei ministri si impuntano come prima a testimonianza che la macchina del governo ha capito l’importanza della discontinuità.

Si è capito che bisogna fare l’esatto opposto di quello che si è fatto negli ultimi venti anni. Che si deve ragionare sui progetti e che si deve essere capaci di attuarli. Che bisogna ridare all’Italia la capacità di fare investimenti, non di continuare a distribuire elemosina sociale e sussidi ai ricchi.

L’Europa vuole un soggetto unico di gestione, di monitoraggio e di rendicontazione e lo avrà nella Ragioneria generale dello Stato e nella sua unità di missione, ma ci sarà una struttura dedicata a specchio in ogni ministero che è la rete di riferimento del nuovo modo di lavorare sui singoli progetti.

Per fare, non per chiacchierare. Sopra c’è la cabina di regia di Palazzo Chigi che prende i dati, verifica lo stato dell’arte e se le cose non vanno va in consiglio dei ministri e attiva i poteri sostituitivi perché la differenza con il passato è che gli investimenti vanno fatti, non annunciati.

C’è un punto sottovalutato dove l’intera trama del Recovery Plan può saltare. Se ne è visto un assaggio in sede di resistenze al decreto unico delle semplificazioni e di nuova governance. Sono le autonomie speciali e le Regioni che pretendono che i soldi devono passare da loro mentre sono fondi nazionali, non quelli dello statuto speciale o delle funzioni delegate alle Regioni.

Il Paese ha un disperato bisogno di accorciare la catena di comando dando direttamente ai Comuni la spesa sociale che il Fondo del progetto Italia ha deciso di assegnare loro senza le intermediazioni delle Regioni che si muovono ognuna come se fosse uno Stato nuovo e vuole trattenere per sé quello che a loro non spetta.

I Comuni ovviamente chiedono che si salti questo passaggio. Se vogliamo evitare che la Corte dei Conti torni anche l’anno prossimo a parlare di “forte disomogeneità territoriale dei valori pro-capite” nella spesa sociale, bisogna cominciare ad abbattere queste intermediazioni parassitarie almeno con i soldi europei del Recovery Plan.

Perché non è più tollerabile che con una “spesa sociale” media dei Comuni in Italia di 124 euro per ogni cittadino, i sindaci dell’Emilia Romagna riescano a investire 173 euro pro-capite, quelli della Toscana 137, in Lombardia 134, in Piemonte 127, in Liguria 140 e in Friuli Venezia Giulia 277 euro, mentre nei Comuni del Mezzogiorno chi ha il primato – che è la Sicilia a statuto speciale – riesca a spendere in media 82 euro, meno della metà dell’Emilia-Romagna.

Ma c’è ovviamente chi sta peggio, molto peggio: in Calabria ci si ferma a 22 euro per ogni cittadino, in Campania a 56 euro, in Basilicata, Puglia e Molise rispettivamente a 59, 73 e 70 euro.

Questa vergogna va sanata se si vuole uscire con la coscienza a posto dalle due Grandi Crisi internazionali e dalla pandemia. Questo ai nostri occhi significa la Nuova Ricostruzione. Questo ci dice la lezione profonda della memoria delle parole di Mattarella nel settantacinquesimo della Repubblica italiana.

Raccontano il passato, ma parlano del presente e del futuro. Vibrano di dignità, libertà, partecipazione civile, solidarietà. Depositano nelle nostre coscienze il pilastro di cemento armato dell’uguaglianza da conquistare tra territori e nella parità di genere effettiva, il dovere di restituire ai nostri giovani la parità di diritti di cittadinanza a partire da quella digitale, la forza trainante del grande orizzonte europeo che porta a compimento il destino nazionale e lo spirito giovanile della riscossa del Paese.

Vorremmo che tutte insieme questo parole costituissero la cifra autentica della Nuova Ricostruzione. Non sono solo, quelle di Mattarella, le parole del discorso più bello fino a oggi del suo Settennato. Sono per noi le pietre morali del palazzo della nuova Italia.


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