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Il premier Mario Draghi

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Abbiamo bisogno di ritornare alla normalità che non è il superamento dell’emergenza ma la restituzione all’Italia delle tessere funzionanti del mosaico di un Paese Ricostruttore capace di generare sviluppo. In un Paese che ha frazionato tutte le competenze tra ministero e ministero, tra ministero e Regioni, su tutto, su Ferrovie come su Anas e concessioni, questa nuova governance è positiva perché esprime la forza dell’uomo al comando e perché quest’uomo si chiama Mario Draghi. Il lavoro silenzioso di Brunetta va lodato perché con la regia di Draghi e la forza rocciosa di Franco prova a restituire al Paese il “mosaico” del nuovo Stato dove tutte le componenti si muovono in armonia perché sanno finalmente dove andare e possono assumere le persone capaci di realizzare insieme l’obiettivo della Nuova Ricostruzione. Questa è la sfida, il resto è demagogia pelosa

Diamo a Cesare quel che è di Cesare. Diamo a Renato Brunetta il merito di avere asciugato i ministeri “mono-toni” che vanno tutti a senso unico, pensano e operano a senso unico, ognuno per i fatti suoi. Non hanno una capacità di integrarsi tra di loro, rompono l’armonia del fare. Privano l’Italia di ciò che la Spagna ha e, cioè, la capacità di fare investimenti pubblici e di farlo nei tempi prestabiliti.

La unificazione del Ministero del Tesoro, delle Finanze e della Programmazione in quello che è oggi (Mef) ne fa l’unico ministero che conta. In un Paese che fa le cose, come desideriamo, basterebbe affiancarlo con la competenza del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, non con un altro ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili.

Diciamo queste cose apparentemente eversive per la semplice, esclusiva ragione che noi abbiamo da tempo bandito ogni genere di ipocrisia e non rinunciamo a dire come stanno le cose. Siamo nella condizione che, senza decreto unico di semplificazioni e nuova governance, il motore inceppato della macchina pubblica italiana impedisce al nostro Paese di godere della cassa europea del Recovery Plan. Il rischio che l’Europa non approvi i nostri progetti tranne tre è assolutamente reale. Il rischio di non superare il blocco europeo è allo stato attuale assolutamente concreto. Lo stato dell’arte di oggi, non di ieri, è quello di un’Unione europea che chiede e noi che rispondiamo picche. Siamo ancora distanti dalla piena legittimità e dalla coerenza rispetto alle linee guida di settembre del Recovery illustrate per due ore e mezza dal commissario europeo Gentiloni in Parlamento l’anno scorso.

Rischiamo sulla qualità dei progetti di fattibilità e di pre-fattibilità. Rischiamo sul fatto che i singoli interventi devono essere parte di un progetto organico. Gli omini di Dombrovskis vogliono un lotto “funzionale” della Roma-Pescara, non solo il lotto di Pescara interporto se no di funzionale non c’è nulla e i lavori non partiranno mai. Ormai ci siamo, tutte le nazioni hanno dato l’ok finale al regolamento. A giugno l’Europa collocherà il suo “eurobond” anche se non lo chiama così. A luglio-agosto, per l’Italia, saranno disponibili 25 miliardi, ma sono utilizzabili? Si è detto: li usiamo per le opere in corso che sono l’alta velocità ferroviaria Brescia-Verona e Napoli-Bari e il terzo valico. E il resto? E tutti i grandi progetti per il Sud? Si attaccano se non cambia subito tutto ad horas. Questi soldi non sono caricati come cassa, diventano cassa solo a fronte di stati di avanzamento dei lavori verificati sul campo.

Un funzionario europeo della Commissione per le regioni periferiche e insulari, denuncia lo squilibrio di trasferimenti territoriali perché senza una legge come quella per il nuovo ponte Morandi di Genova non c’è un progetto finanziabile fino al 2024 e questo vale, ad esempio, per la Palermo-Catania-Messina come per la Salerno-Reggio Calabria. Questo è il film della realtà bloccata che vive oggi il Ministero dell’Economia nelle trattative in corso con i tecnici dell’Unione Europea. Questo è il film della realtà di tutte le ipocrisie italiane con il quale oggi fanno i conti Draghi, Franco e Brunetta se vogliono salvare l’Italia. Oggi chiunque sproloquia su questi temi ignorando la realtà che è quella di un codice dei non appalti che ha fermato il Paese, o è in malafede o è assolutamente incompetente. Senza lo snellimento delle procedure e la corsia preferenziale ad hoc non c’è nessuna possibilità di fare alcunché.

Perché si è spenta da tempo la luce dei ministeri che non è quella della pandemia, ma il buio voluto sei anni fa azzerando quella legge obiettivo che era l’unica che aveva un poco funzionato. Abbiamo bisogno di ritornare alla normalità che non è il superamento dell’emergenza ma la restituzione all’Italia delle tessere funzionanti del mosaico di un Paese Ricostruttore capace di generare sviluppo. In un Paese che ha frazionato tutte le competenze tra ministero e ministero, tra ministero e Regioni, su tutto, su Ferrovie come su Anas e concessioni, questa nuova governance è positiva perché esprime la forza dell’uomo al comando e perché quest’uomo si chiama Mario Draghi.

Siamo riusciti in sei anni a svilire la nostra Costituzione e a fare sparire il “mosaico” caro a Calamandrei che è quello di uno Stato che è la sommatoria di azioni che devono avere un’omogeneità che oggi è impossibile se perfino la gestione dei carceri compete al Ministero della Giustizia ma gli interventi sui carceri toccano al Ministero delle Infrastrutture e nella terza fase devono decidere le Regioni. Il lavoro silenzioso di Brunetta va lodato perché con la regia di Draghi e la forza rocciosa di Franco prova a restituire al Paese il “mosaico” del nuovo Stato dove tutte le componenti si muovono in armonia perché sanno finalmente dove andare e possono assumere le persone capaci di realizzare insieme l’obiettivo della Nuova Ricostruzione. Questa è la sfida, il resto è demagogia pelosa.


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