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Il premier Mario Draghi

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Abbiamo assoluto bisogno di ritrovare quello spirito dove intelligenza tecnica, riformismo cattolico e cultura laica trasformarono un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata poi in una potenza economica mondiale. Quel miracolo fu possibile perché uomini di valore alla guida della macchina amministrativa e delle grandi società pubbliche agirono con il massimo di efficienza e di condivisione all’interno di un disegno strategico di sviluppo. Molta discontinuità serve anche alla Rai in direzione opposta a quella seguita nella ultima tornata con l’innesto di professionalità esterne alla azienda che hanno ovviamente deluso da tutti i punti di vista

Se il Paese deve cambiare, la discontinuità è la regola necessaria. Se per una volta Presidenza del Consiglio e Ministero dell’Economia non sono la buca delle lettere delle indicazione dei partiti questo Paese ha di sicuro da guadagnarci. Vogliamo dirlo con chiarezza. Noi delle scelte di Mario Draghi e di Daniele Franco ci fidiamo. Perché ne conosciamo il metodo di lavoro e perché questa breve stagione di governo di unità nazionale potrà favorire la Nuova Ricostruzione e avere effetti di lungo termine se loro, non altri, compiranno le scelte che a loro istituzionalmente competono.

Perché questa regola, quasi mai rispettata, appartiene alle buone pratiche abbandonate da quasi tutti i governi italiani di quasi tutte le stagioni politiche degli ultimi venti anni. Sono le stesse, identiche, ragioni che ci spingono a chiedere con forza che si evitino pasticci e mediazioni al ribasso sul decreto unico di semplificazioni, sulla nuova governance e sui reclutamenti di personale di qualità per la pubblica amministrazione. Bisogna rifondare le modalità autorizzative e esecutive che riguardano gli investimenti pubblici perché la paralisi italiana è un fatto conclamato e gli impegni assunti in Europa non sono onorabili con le procedure e gli uomini del passato.

Siamo dentro il nuovo ’29 mondiale che ha prodotto danni superiori a quelli della Prima e della Seconda Grande Crisi internazionale cumulati. Abbiamo assoluto bisogno di ritrovare lo spirito del Dopoguerra dove intelligenza tecnica, riformismo cattolico e cultura laica trasformarono un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata poi in una potenza economica mondiale. Quel miracolo fu possibile perché uomini di valore alla guida della macchina amministrativa e delle grandi società pubbliche agirono con il massimo di efficienza e di condivisione all’interno di un disegno strategico di sviluppo.

Chi legge questo giornale sa che da tempi non sospetti abbiamo invocato un gabinetto di guerra che riunisca le migliori competenze del Paese e le collochi nei gangli vitali della sua amministrazione e delle sue grandi imprese che sono rimaste solo quelle pubbliche. Perché l’attuazione del Progetto Italia del Recovery Plan esige una macchina pubblica che ragioni e operi con una testa nuova e migliaia di assunzioni qualificate e, parallelamente, che le società di gestione delle grandi reti e, ancora più su, della Cassa Depositi e Prestiti siano affidate in mani sicure di provata sperimentazione nella competenza in casa e fuori.

Se come si è fatto alle Ferrovie, con la scelta del duo Luigi Ferraris e Nicoletta Giadrossi, si procederà alla nomina del vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco, per guidare la Cassa Depositi e Prestiti, si è imboccata nel modo migliore la strada giusta.

Abbiamo chiesto più volte al governo Conte di coinvolgere Scannapieco pedina fissa del nostro gabinetto di guerra perché sa fare le cose, investe sul capitale umano, conosce l’amministrazione dello Stato. Insomma: sa benissimo che cosa serve all’Italia per ripartire e, soprattutto, sa dove mettere le mani. Di questo il Paese ha bisogno.

Aspettiamo domani. Quello che deve essere chiaro a tutti è che se vogliamo che si realizzino le grandi reti veloci nel Mezzogiorno e si recuperino una dimensione industriale e una capacità realizzativa infrastrutturale queste nomine non possono essere sbagliate. Molta discontinuità serve anche alla Rai in direzione opposta a quella seguita nella ultima tornata con l’innesto di professionalità esterne alla azienda che hanno ovviamente deluso da tutti i punti di vista. Vengono allevati all’interno dei network in tutto il mondo i capi di questo tipo di aziende. Se prendi uno e lo metti lì a fare un altro mestiere, completamente diverso da quello che ha fatto fino ad allora, ci mette solo un anno per capire dove sta. La Rai è un’azienda di contenuti editoriali, il resto è supporto. Lasciamo fare la Rai a chi la sa fare e non dimentichiamo quanto può essere importante un’azienda culturale capace di sottrarsi al chiacchiericcio per produrre qualità. Probabilmente Fanfani non avrebbe fatto quello che ha fatto se non ci fosse stato un Bernabei alla Rai. Questo ci insegna la lezione della storia. Facciamone tesoro.


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