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Il ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco

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Siamo al solito frazionismo deteriore. Manca l’intelligenza strategica e manca un’idea condivisa. Passano tutti il tempo a scrivere documenti inutili perché ognuno si deve distinguere dall’altro e si deve attaccare la sua medaglietta. Ognuno vuole essere interlocutore di qualcuno per avere qualcosa. Questa è l’autoreferenzialità che fa più male al Mezzogiorno perché fa male al Paese. Si tiri dritto con la coerenza meridionalista del piano nazionale di ripresa e di resilienza rifacendo una struttura tecnica centrale con la stessa missione che fu della Cassa di Pescatore negli anni del prestito Marshall e del miracolo economico italiano e si assuma dal centro l’esercito di “soldati” del diritto, dell’informatica e dell’ingegneria che dovranno cambiare la faccia delle amministrazioni meridionali unendosi a quel che di buono già c’è

Ho davanti agli occhi il testo più meridionalista che mi sia capitato di leggere negli ultimi due anni. Lo ha firmato il ministro dell’Economia e delle Finanze in carica, il bellunese Daniele Franco. Coincide con la Proposta di piano nazionale di ripresa e resilienza illustrata in Parlamento lunedì otto marzo. C’è tutta la coerenza meridionalista del trentino De Gasperi nei governi centristi della Ricostruzione italiana del Dopoguerra. Di principi, di metodo, di dettaglio.

C’è lo spirito che ha ispirato tutte le battaglie di questo giornale, l’operazione verità sulla spesa pubblica e il ritardo della macchina amministrativa meridionale, la consapevolezza che il “nostro Paese soffre di forti eterogeneità lungo diverse direzioni: quella territoriale, generazionale e di genere”. Che sono in prima battuta Sud, giovani, parità di genere e, quindi, in seconda battuta quasi in toto Mezzogiorno.

La prima disparità indicata ha la sua sintesi algebrica in un tasso di occupazione di oltre 20 punti inferiore a quello delle regioni del Centro Nord. La seconda disparità si racconta con la quota più elevata dell’Unione di giovani che non studiano e non lavorano e con la quota predominante di questa quota del disonore interamente collocata nelle regioni meridionali.

La terza disparità è un tasso di occupazione femminile in Italia nella fascia 15-64 anni pari al 50% e, quindi, di 18 punti inferiore a quello degli uomini e di 8 punti inferiore alla media dell’Unione Europea. Domandina: dove ritenete che questa terza disparità sia smaccatamente più forte? Ve lo dico io: nel Mezzogiorno.

Poche righe più sotto si legge “i piani finanziati con il PNRR possono contribuire ad accrescere il potenziale di sviluppo del Paese e devono farlo muovendo lungo le direttrici strategiche indicate dalla Commissione che sono la digitalizzazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale”. Siamo sempre realisticamente alla coerenza meridionalista e lo siamo, soprattutto, quando si pone l’esigenza di “un deciso rafforzamento delle strutture tecniche ed operative deputate all’attuazione degli interventi”, quando si parla di “logica di competenza orizzontale per assicurare la coerenza complessiva del Piano con l’obiettivo di riduzione dei divari territoriali” e quando, infine, si scrive che “solo con il coinvolgimento dei territori è possibile selezionare progetti in grado di soddisfare i bisogni di cittadini e di imprese”. Precisando che ciò è particolarmente vero “per i progetti nel campo dell’istruzione, della sanità, del ciclo di rifiuti, di trasporti e di mobilità in genere”. Siamo, ancora di più, alla coerenza meridionalista con le riforme della pubblica amministrazione, della giustizia civile, della semplificazione normativa trasversale e con il “rafforzamento delle strutture tecniche”.

Basta, mi fermo qui. Di fronte a un’apertura di credito così lucida vi immaginate che le forze migliori del Mezzogiorno, il mondo intellettuale e dell’impresa, e i Capi delle Regioni si riuniscano tutti insieme? E che, per una volta, presentino un progetto Paese organico – questo vuol dire occuparsi del Mezzogiorno – e siano tutti insieme pronti a cogliere l’occasione irripetibile di fare progetti seri finalmente finanziabili e di potere assumere personale qualificato che inneschi il circolo virtuoso dell’efficienza per le pubbliche amministrazioni meridionali?

No, tutti si sono messi a scrivere manifesti da separati in casa, ex ministri, presidenti e direttori di associazione, chi a titolo personale e chi no. Prolificano le nuove associazioni e i nuovi movimenti per non parlare delle chat. Siamo al solito frazionismo deteriore. Manca l’intelligenza strategica e manca un’idea condivisa. Passano tutti il tempo a scrivere documenti inutili perché ognuno si deve distinguere dall’altro e si deve attaccare la sua medaglietta. Ognuno vuole essere interlocutore di qualcuno per avere qualcosa.

Questa è l’autoreferenzialità che fa più male al Mezzogiorno perché fa male al Paese. Si tiri dritto con la coerenza meridionalista del Piano nazionale di ripresa e di resilienza rifacendo una struttura tecnica centrale con la stessa missione che fu della Cassa di Pescatore negli anni del prestito Marshall e del miracolo economico italiano e si assuma dal centro l’esercito di “soldati” del diritto, dell’informatica e dell’ingegneria che dovranno cambiare la faccia delle amministrazioni meridionali unendosi a quel che di buono già c’è e uscendo per sempre dal labirinto delle divisioni e dei manifesti personali. Questa è la rivoluzione che serve al Paese intero. Al Nord come al Sud. Perché i diritti di cittadinanza negati delle popolazioni meridionali sono insieme la questione civile e la questione economica del Paese.

Riunire le due Italie con la banda larga, i porti, i treni veloci e il Ponte sullo Stretto significa realizzare il più strategico dei progetti di transizione ecologica e digitale dell’Italia, non del Mezzogiorno. Significa uscire da venti anni di crescita zero perché si attua finalmente l’inclusione sociale. Significa fare ciò che ci chiede l’Europa che è anche ciò che serve all’Italia. Non c’è bisogno di questo o quel Manifesto per capirlo.


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