Il governo Draghi
7 minuti per la letturaNon ti danno 209 miliardi se non si accompagnano a cambiamenti che durano nel tempo, riscontrabili e verificabili. Assieme ai progetti c’è un sottostante che l’Europa guarderà con molta più attenzione di quella riservata al sovrastante. Sono le riforme di struttura della pubblica amministrazione, della giustizia civile, della concorrenza e delle “rendite concessorie”. I ministri del governo Draghi devono capire che si devono mettere di buzzo buono e devono lavorarci come se stessero lì per i prossimi cinque anni. Devono operare scelte che permettono a chi resterà di loro e a chi subentrerà di agire in continuità. Ma purtroppo spesso si ragiona con la logica del voto, non si vogliono prendere decisioni impopolari. Non c’è tempo per fare lobby o ragionamenti
Non è passato giorno senza che qualcuno ci ricordasse che avevamo 200 e passa miliardi di euro da spendere. Siccome nessuno parlava mai dei debiti che sono una certezza algebrica e pesano come un macigno, gli italiani hanno fatto finta di convincersi che dopo i lutti della pandemia e le morti in economia sarebbe arrivata la bella stagione e che era tutto facile.
In questo clima di allegra, irresponsabile rissosità, perché litigavamo sempre a voce, a volte urlando, sempre in piazza che è la nuova agorà pubblica televisiva, abbiamo fatto passare mesi a discutere su come dividerci, con chi e perché ciò che non abbiamo e rischiamo di non avere mai. Questa è l’unica storia vera che si può raccontare fino a oggi del Recovery Plan italiano.
Le amministrazioni sono rimaste tutte inerti. Abbiamo perso sei mesi del governo Conte 2. Poi abbiamo perso un altro mese e mezzo con la crisi di governo. Gli altri Paesi sono al secondo giro di verifiche con la Commissione europea, noi nonostante l’innegabile lavoro tecnico dell’ex ministro Amendola (confermato come sottosegretario del dossier) e del suo staff, siamo spaventosamente indietro.
Perché le amministrazioni fanno fatica a lavorarci con la determinazione necessaria e anche i nuovi ministri (non tutti) cercano ogni scusa per sottrarsi al confronto con la realtà di un capitolo decisivo di riforme strutturali senza le quali i progetti che ancora nemmeno abbiamo elaborato e scelto in modo definitivo resterebbero comunque all’asciutto senza vedere un euro.
Qualcosa ovviamente si sta muovendo, la regia dell’Economia si fa sentire, le consultazioni si succedono, ma i contributi compiuti tardano a venire, si prendono ancora le misure su quello che si deve fare. Rifaccio le ferrovie veloci (qui i progetti ci sono ma che cosa si sceglie? Dove? Come? C’è mezza Italia a terra: ce ne ricorderemo?), scuole, asili nido, idrogeno verde, quale innovazione e dove, e per la banda larga ultra veloce non sarebbe bello partire dal Mezzogiorno? Quanto si investe sui porti commerciali non turistici, anche qui al Nord o al Sud? Al Nord e al Sud e in che proporzione? Si può dire o no che il Sud ha ancora bisogno di strade e di treni veloci come il Nord produttivo ha bisogno degli incentivi alle imprese? Ovviamente si discute di questo e anche di molto altro.
Il punto, però, è che tanti ministri sono nuovi e anche quelli di peso, Cingolani e Colao, che hanno in mano il core business del piano (transizione ecologica e digitale), chiedono tempo, vogliono vedere meglio i dossier, devono prendere confidenza con le amministrazioni. Tutti i ministri, diciamo la verità, stanno comprando tempo. Soprattutto, chi con una scusa chi con un’altra, si sottraggono al confronto sul tema decisivo delle riforme per la parte che li riguarda.
Insieme ai progetti, fanno tutti finta di non capire, c’è un sottostante che giustamente l’Europa guarderà con molta più attenzione di quella riservata al sovrastante. Sono le riforme di struttura della pubblica amministrazione, della giustizia civile, della concorrenza e delle “rendite concessorie”, e poi anche quella fiscale complessiva.
Non ti danno 200 e passa miliardi, 209 per la precisione, se non si accompagnano a cambiamenti che durano nel tempo, riscontrabili e verificabili. Diciamoci la verità: i ministri del governo Draghi devono capire che si devono mettere di buzzo buono e devono lavorarci come se stessero lì per i prossimi cinque anni e, cioè, devono operare scelte che permettono a chi di loro resterà e a chi a loro subentrerà di agire in continuità.
La dimensione strategica del Recovery Plan italiano è l’obiettivo di un Paese competitivo che non assomiglia a quello ricevuto in eredità perché deve essere finalmente capace di fare gli investimenti pubblici e di mobilitare quelli privati. Deve essere un Paese più ecologico e meno diseguale, deve ricucire le due Italie vincendo la doppia sfida del lavoro giovanile e della parità di genere. Purtroppo, al momento, non è così.
Tutti ragionano con la logica del voto, non vogliono prendere decisioni impopolari. Tutti prendono tempo. Il ministro Garavaglia, ad esempio, sta partendo adesso con il dicastero nuovo di zecca del Turismo. Deve ancora capire quanto prendere dei progetti di Franceschini, deve ancora avere tutte le competenze, sa che avrà un pacchetto cospicuo di risorse per compensare chi ha giustamente perso molto, ma guai a parlargli di riformare per esempio le concessioni balneari. No, questo dopo, ma l’Europa lo vuole sapere prima non dopo e non si pone il problema delle elezioni e di quanti voti prenderà la Lega.
Al ministero per la Pubblica amministrazione si fabbricano comitati di esperti, ma non c’è tempo per fare lobby o ragionamenti perché sul tema si è già studiato tutto lo studiabile. Bisogna invece misurarsi con la pesantezza di un carico mastodontico di leggi e di regolamenti che va semplificato per l’oggi e per il domani e, soprattutto, bisogna farlo bene e presto. Si spera che Brunetta che ha tutti i numeri per fare bene non si faccia prendere la mano da collaboratori che non hanno capito dove sono e che cosa serve.
Per il Mezzogiorno, la Carfagna ponga il problema di chi fa i progetti per gli asili nido, le scuole, la ricerca, il green, gli investimenti nella sanità e nel digitale nel Mezzogiorno. Il problema deve essere chiaro subito altrimenti non scattano i necessari poteri speciali a livello centrale e si faranno tante chiacchiere ma non si vedrà nulla. Nemmeno le solite micro clientele regionali perché questa volta per fortuna non passano.
Per il Sud bisogna inventarsi qualcosa di nuovo che resta, una macchina che sa fare il progetto buono – piccolo e grande – e sa portarlo all’esecuzione: non ci sono alternative, se si vogliono fare le cose e se si vogliono attrarre le risorse migliori che lo stesso Mezzogiorno forma e che prima regalava al Nord del Paese, ora invece sempre più spesso al mondo. Per la giustizia il silenzio operoso può aiutare ma servono scelte coraggiose, non i soliti compromessi. Anche il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che è una persona seria, deve dare le risposte giuste ma rapide su cassa integrazione e blocco licenziamenti perché il capitolo sociale è quello più esplosivo.
Bisogna fare terribilmente presto perché siamo terribilmente indietro. Bisogna avere il tempo di fare almeno un paio di confronti operativi con i commissari europei perché così si capisce prima che cosa va e che cosa non va: correggi qui, correggi là, è un aiuto obiettivo farlo prima, cercare insieme gli indicatori di programmazione e di verifica. Come misurare insieme i risultati: quanto sei riuscito a smaltire dei processi civili? Quanto ti impegni a smaltire ancora e in quanto tempo? Quanti nuovi posti di lavoro hai creato? Qual è il ritmo di espansione futuro?
Fermiamoci qui. Noi abbiamo fiducia in Mario Draghi perché ne conosciamo le qualità che appartengono alla storia e siamo certi che al dunque l’uomo trova sempre la soluzione. Perché la sua caratteristica è fare la mossa giusta al momento giusto e questa è la stoffa che serve alla leadership politica per potersi esprimere al meglio. Ci permettiamo di invitarlo a usare questa leadership anche per accendere gli occhi della opinione pubblica, di farsene un obiettivo concreto dell’azione di governo e di non considerarlo solo il risultato dell’azione di governo.
Perché tutti i riformatori hanno vinto con l’opinione pubblica dalla loro parte, questo gradimento forte oggi c’è ma va sfruttato fino in fondo, fino al punto di fare scattare la mobilitazione che serve a togliere la sabbia dagli ingranaggi dei tanti frenatori manifesti e occulti. Ci sono i ministri che pensano solo al voto e c’è la loro compagnia di giro di riferimento dei talk. Vivono gli uni e gli altri su Marte, ma possono fare molto male sulla Terra. È bene non sottovalutarli perché un dibattito pubblico consapevole è indispensabile per cambiare il Paese.
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