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Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana

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Nell’interesse delle imprese e delle famiglie lombarde, ma prima ancora perché non si possono pregiudicare i tempi della ripresa del Paese. Con questi uomini e con queste strutture che hanno la responsabilità di guidare una comunità di undici milioni, si può vincere la guerra dei vaccini
in Europa, ma si perde drammaticamente in casa. Perché loro i vaccini non li sanno fare nei tempi che servono. Non sanno riconoscere le priorità e non hanno metodo

IL “CRIPTO leghista”, Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e della Conferenza Stato-Regioni, meno di dieci giorni fa: “Ha ragione Salvini, ristoranti aperti anche la sera”.

Non sappiamo se si riferiva a lui il professore bolognese, Pierluigi Viale, che definendo drammatica la situazione sanitaria del suo territorio, ha ripetuto ieri più volte in diretta Sky: “Siamo arrivati ballando sull’orlo del baratro”. Il professor Sebastiani sempre ieri in diretta Sky, stesso programma, deve commentare i suoi grafici sulla epidemia, ma prima sente il bisogno di dire: “Ho appena visto un servizio tv da Marte”.

Si riferiva all’interruzione del programma sulla pandemia per ascoltare in diretta le dichiarazioni della presidente del Pd di cui francamente non conosciamo il nome che confermava le dimissioni del segretario Zingaretti. Scene ordinarie di comicità amara da Titanic Italia. Purtroppo, siamo solo all’inizio. Il bello tragico dobbiamo ancora raccontarvelo. Perché nel nuovo ’29 mondiale italiano c’è spazio per un umoristico Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che dopo avere impartito senza cattedra dotti sermoni su un governo (Conte 2) che decide senza preavviso, chiude lui dalla sera alla mattina le scuole lombarde di ogni ordine e grado e nemmeno si vergogna.

D’altro canto, il Consiglio regionale della Lombardia, primo firmatario un nome una garanzia Giulio Gallera, ha votato a maggioranza una mozione anche qui meno di dieci giorni fa, che impegna il governo della Lombardia a chiedere al governo della Repubblica italiana di riaprire tutto giorno e notte: bar, ristoranti, palestre, piscine, cinema, teatri.

Qui, però, sulla Lombardia non c’è più nulla da ridire. Perché se è vero che siamo tornati a un anno fa con le stesse tre Regioni – appunto Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto – che vedono crescere in modo esponenziale le terapie intensive e che al gruppone di testa si è aggiunta anche la Regione Campania, il punto più dolente di tutti è che esiste un caso Lombardia che è, a sua volta, un caso nazionale e rischia di tarpare le ali all’intero Paese per la rilevanza della sua economia e per la sua insuperabile crisi organizzativa. I test antigienici sono arrivati nelle scuole a tempo scaduto. Nella campagna vaccinale restano inutilizzati novemila medici di famiglia.

Perfino Bertolaso non è riuscito a venire a capo di un sistema regionale così scassato da apparire incapace di reagire. Tre direttori generali cacciati in un anno e il flop dei test rapidi. Lasciamo perdere qui il capitolo delle inchieste a partire dalle residenze sanitarie per anziani perché su questo restiamo incurabilmente garantisti.

Il punto è, lo ripetiamo, che il sistema esecutivo-amministrativo cambia i responsabili politici regionali ma appare oggettivamente incapace di riconoscere le priorità, di dotarsi di meccanismi organizzativi che funzionano, di fare le cose. Stiamo parlando di una Regione che riceve 20 miliardi l’anno dal bilancio pubblico per il servizio sanitario. Stiamo parlando di una Regione che insieme alla consorella Emilia-Romagna ha potuto assumere medici, infermieri mentre le altre Regioni tiravano la cinghia e dovevano licenziare migliaia di dipendenti.

Per capirci il problema serissimo è che in Lombardia hanno deciso di vaccinare i docenti universitari che fanno lezione a distanza e nonostante che gli stessi docenti abbiano detto: fate prima i medici e i professori delle scuole medie che vanno, anzi andavano, in aula. Il Piemonte che segue a ruota la emula per cui privilegia i commercialisti che stanno dentro i collegi dei sindaci delle aziende sanitarie scambiandoli per quelli che passano il badge e fanno gli infermieri in terapia intensiva.

Per fortuna, bisogna riconoscerlo, che è arrivato il governo Draghi che sa quello che deve fare in Europa e in Italia. Condividiamo in toto la scelta di ricostituire la regia centrale e di investire sulla protezione civile e sul generale Figliuolo puntando a utilizzare tutto ciò che è disponibile come spazi e logistica per correre nella vaccinazione senza inseguire propagande e usando l’algoritmo di modo che tutti i cittadini italiani sono finalmente uguali. Però in Lombardia – e lo diciamo noi che non facciamo passare giorno senza ricordare che se non torna a correre il secondo motore (Mezzogiorno) anche il primo si ferma – sui tempi della vaccinazione si giocano i tempi della ripresa del Paese. Perché lì è strategico l’interesse nazionale per la rilevanza della sua economia produttiva, di servizi e di eventi che non ha a nulla a che vedere con il carrozzone regionale lombardo e l’interesse degli amici degli amici.

Se si vuole tutelare l’interesse nazionale la Regione Lombardia va commissariata perché è necessaria metterla sotto controllo in termini di funzionalità. Nell’interesse delle imprese e delle famiglie lombarde, ma prima ancora perché non si possono pregiudicare i tempi della ripresa del Paese. Con questi uomini e con queste strutture che hanno la responsabilità di guidare una comunità di oltre dieci milioni di persone, si può vincere la guerra dei vaccini in Europa, ma si perde drammaticamente in casa. Perché loro i vaccini non li sanno fare nei tempi che servono. Non sanno riconoscere le priorità e non hanno metodo. Questo, purtroppo, è un fatto.


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