Il premier Mario Draghi durante un Consiglio dei Ministri
3 minuti per la letturaBisogna cogliere l’opportunità irripetibile del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi per fare quegli interventi strutturali che possono dare un futuro alle nostre nuove generazioni. Si mettano al lavoro per fare la riforma della pubblica amministrazione e della giustizia civile, in modo da cogliere non a parole l’occasione del Recovery Plan, e perfino per fare quella fiscale
Mi è tornata alla mente la scena dell’ex cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, che si rivolta nella poltroncina bianca e fa esplodere in una risata collettiva l’Aula Magna della Bocconi, a Milano, gremita per la giornata di inaugurazione del Salone del risparmio. Sono passati sei anni, ma la scena ancora mi diverte. Risento le sue due risposte identiche, con le guance rosse, a due mie domande. Cito a mente: “Lei ha fatto le riforme che hanno rimesso in carreggiata la Germania, ma non è stato rieletto e il dividendo politico lo ha incassato la signora Merkel. Le ha mai detto ‘grazie’?” Risposta, con piglio imperativo e guance rosse: “Nein.”
Cito, sempre a mente: “Dopo di lei sono arrivate altre riforme strutturali, la signora Merkel è andata avanti su questa strada?” Risposta, con piglio ancora più imperativo e guance ancora più rosse: “Nein.” Poi, in privato, l’ex cancelliere tedesco riconosce finalmente un merito a Angela Merkel: “Ha attuato bene le riforme che avevamo fatto noi, in questo è stata brava, non ha ricominciato daccapo.” Fa anche di più. Perché non rinuncia a dire che “le ragioni dei nostri giovani vengono prima di quelle della mia rielezione”. Perché, guardandomi fisso negli occhi, attribuisce alla Merkel la consapevolezza di quelle scelte e la capacità di cambiare la storia della Germania attuandole con metodo e pragmatismo. Un ritratto da statista.
Schröder ha ragione. L’ho già detto più volte e lo ripeto. Un Paese può provare a cambiare quando acquisisce questo abito mentale come qualcosa di costitutivo che viene prima della divisione ideologica e della contesa politica e sopravvive a entrambe. Qualcosa che appartiene alle radici fondanti di una comunità, la più solida garanzia di crescita ordinata o, perlomeno, di un’azione complessiva che dimostri di sapersi misurare con la gravità dei problemi che abbiamo davanti.
Siccome dobbiamo fare, purtroppo, ancora molta strada per acquisire questo abito mentale, suggerisco di cogliere almeno l’opportunità irripetibile del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi per fare quegli interventi strutturali che possono dare un futuro alle nostre nuove generazioni. Se gli azionisti della larghissima maggioranza di questo governo escono per una volta dal copione logoro della sondaggite e dal teatrino delle loro compagnie di giro, scopriranno che con la pandemia e il nuovo ’29 mondiale le famiglie italiane hanno avuto centomila lutti e che i morti in economia possono arrivare a essere cinquanta volte di più.
Si mettano al lavoro per fare la riforma della pubblica amministrazione e della giustizia civile, in modo da cogliere non a parole l’occasione del Recovery Plan, e perfino per fare quella fiscale. Se c’è una possibilità di fare le riforme di struttura è questa perché cofirmandole quasi tutti i partiti c’è anche la possibilità che non si cominci subito dopo a smontarle. Perché avranno tutti qualcosa da difendere. Perché la carta estrema che è quella di Draghi come tutti sanno non ha alternative in quanto il suo fallimento consegnerebbe l’Italia a un destino argentino, non a un nuovo governo. Certo, con tutto il rispetto, se il segretario del Pd Zingaretti scambia la D’Urso per Biagi e twitta a suo favore, qualche fremito sudamericano ci prende. Soprattutto se succede dopo la “Jugoslavia” dei Cinque Stelle e la crisi quotidiana da prestazione di Salvini.
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