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Non sono tollerabili 540 euro pro capite per un abitante di Bolzano e 22 euro per chi abita in Calabria. La prova del nove l’avremo quando andremo a verificare quanta quota del Recovery Plan andrà al Mezzogiorno per ogni singola missione. Attenzione, però, nella concertazione del fare di cui ha vitale bisogno questo Paese per combattere il virus e fare ripartire l’economia il punto delle distorsioni territoriali della spesa pubblica va chiarito. Perché non c’è futuro se prima non si fa l’operazione verità
FATE presto. Fate bene. Il Paese ha bisogno di tornare a sperare. Se non volete sprecare tempo per decidere bene cosa fare vi consiglio la lettura dell’ultimo rapporto dell’Istat sulla spesa dei Comuni per i servizi sociali. Gli abitanti della provincia di Bolzano ricevono pro capite 540 euro, gli abitanti della Calabria sempre pro capite hanno 22 euro. La spesa media nazionale per abitante è pari a 124 euro che diventano 58 di media per i cittadini del Mezzogiorno.
Che sempre come media percepiscono un terzo di quanto (177 euro) riceve pro capite ogni cittadino del Nord Est (Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto). Se non avete ancora capito qual è il quadro reale della situazione, allora rendetevi conto che la spesa sociale media dei Comuni più grandi del Mezzogiorno (96 euro) è inferiore a quella dei Comuni più piccoli del Nord (119 euro).
Quali sono le leggi dell’etica prima di quelle dell’economia che consentono una simile vergogna non è dato sapere. Quello che è certo è che parliamo di spesa pubblica di un Paese superindebitato che continua a regalare a chi sta meglio e taglia all’inverosimile la spesa per i servizi educativi, gli asili nido, l’assistenza domiciliare agli anziani proprio in quei territori meno ricchi che di questi servizi hanno maggiormente bisogno.
Che tipo di società e di sviluppo si può immaginare in quelle grandi e piccole periferie urbane del Mezzogiorno dove non esiste un asilo nido pubblico, una mensa scolastica pubblica e quasi sempre nemmeno un ospedale pubblico degno di questo nome? Come si può concepire lo sviluppo del turismo stanziale in luoghi bellissimi del nostro Mezzogiorno se il contesto ambientale è così drasticamente penalizzato alla voce servizi sociali per non parlare di scuola, banda larga ultra veloce, ospedali, treni veloci e così via?
Non credo che qualcuno possa mettersi a discutere i numeri dell’Istat e non voglia cadere nel ridicolo di fronte all’Europa che sarà costretta suo malgrado a scoprire che nel cuore dell’Italia c’è un’area estesissima di territori e di popolazione dove sono negati i diritti di cittadinanza e gli standard minimi di civiltà. Abbiamo già detto ieri con chiarezza che occorre fare presto e bene con una visione di lungo termine. Abbiamo sottolineato dal primo momento che i segnali dati in questa direzione da Mario Draghi indicano nei contenuti e nel metodo ciò che serve per cambiare rotta. Fiducia reciproca tra funzionari dello Stato, controlli preventivi, controlli intransigenti ma rapidi.
Di questo, non di altro, ha bisogno la politica italiana per sbloccare gli investimenti pubblici produttivi e alimentarne altrettanti di privati nazionali e internazionali, fare buona spesa sociale e fare davvero la Nuova Ricostruzione. Che vuol dire uscire dalla trappola delle emergenze per dare risposte che durano a partire dalla crisi dei vaccini e delle tante crisi economiche a questa crisi collegate.
Per ciò la prova del nove la avremo quando andremo a verificare quanta quota del Recovery Plan nell’ambito di ogni singola missione (green, digitale, scuola, infrastrutture e così via) sarà destinata al Mezzogiorno secondo un’idea chiara di sviluppo dell’intero Paese e rispettando i criteri di equità territoriale e di genere previsti dal regolamento europeo.
Per capirci, ci saranno solo i progetti per i porti di Trieste e di Genova o anche quelli per Taranto, Gioia Tauro e così via? Nella prima bozza c’era pressoché nulla (per il Sud si parlava di banchine turistiche). Poi c’è stato un importante intervento di correzione del Tesoro e la seconda bozza del governo Conte è migliorata. Ora bisogna ancora rafforzare e vigilare perché non si scenda sotto il 50% in tutte le singole missioni. Ovviamente i progetti devono essere credibili, migliorati e aggiustati. Attenzione, però, senza cambiare i criteri di riparto della spesa sociale per gli enti locali e per le Regioni non andiamo da nessuna parte. Questi criteri non si possono continuare a basare sulle capacità fiscali dei territori mascherate dietro il grimaldello della spesa storica, ma devono contemperare il disagio sociale, definire i livelli essenziali di prestazione, in breve attuare il principio costituzionale dei diritti di cittadinanza. Se no i soldi continueranno a andare dove ci sono più soldi e, cioè, Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, e a chi non ha niente andrà sempre meno.
Il suicido economico del Paese parte da qui, parte dalla miope irresponsabilità del federalismo dei ricchi e dalle intollerabili coperture della Conferenza Stato-Regioni a questi soprusi. Nella concertazione del fare di cui ha vitale bisogno questo Paese per combattere il virus con una nuova macchina pubblica e fare ripartire l’economia questo punto va chiarito. Perché non c’è futuro se prima non si fa l’operazione verità.
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