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Mario Draghi a Palazzo Chigi

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Ci sono settori come il turismo e i trasporti in ginocchio. L’Alitalia ha l’acqua alla gola, l’Ilva è pronta a esplodere, le previsioni di crescita ci collocano in coda con la Grecia. Questo è il quadro reale delle cose al netto del chiacchiericcio politico e della bolla mediatica che nasconde tutto dietro il fotoromanzo televisivo dove l’effimero domina. Draghi non ha la bacchetta magica. Ha un metodo di lavoro e con la sua squadra può ottenere risultati fino a oggi insperati. A patto che si abbia la consapevolezza che il problema strutturale italiano prima ancora di quello del Recovery Plan è il divario di infrastrutture di sviluppo e di spesa sociale tra Nord e Sud del Paese. Si usino tutti i poteri speciali possibili e immaginabili e si torni a investire e a fare spesa sociale buona e infrastrutture di sviluppo nel Mezzogiorno

Ciò che è stato immaginato di finanziare con il decreto ristori non ha copertura. I soldi arrivati sono pochi, ma c’è anche chi ha preso zero e chi ha preso senza averne diritto. Le cartelle esattoriali in partenza sono trentaquattro milioni, gli avvisi fiscali quattordici milioni. Per ristoratori, albergatori e molti altri tecnicamente falliti causa pandemia, è di sicuro una notizia che “migliora” l’umore. Sulla testa di milioni di lavoratori privati pende la spada di Damocle dei licenziamenti. Ci sono settori come il turismo e i trasporti in ginocchio. L’Alitalia ha l’acqua alla gola e non sa come fare a pagare gli stipendi. La bomba sociale dell’Ilva è pronta a esplodere, la mina Aspi non è stata disinnescata. Le previsioni della Commissione europea sulla crescita ci collocano stabilmente in coda con la Grecia tra i pochi Paesi europei che a fine 2022 non avranno raggiunto i livelli del 2019.

D’altro canto siamo entrati nel nuovo ’29 mondiale con l’invidiabile primato di essere l’unico Paese europeo, ci è riuscita perfino la Grecia, a non avere raggiunto i livelli pre-crisi del 2008. Siamo fermi da vent’anni. Siamo in una spirale di miope egoismo che ha nel federalismo della irresponsabilità il suo motore “inerziale” che consente di regalare assistenzialismo al Nord togliendo sviluppo al Sud. Si è riusciti a ridurre il reddito pro capite di venti milioni di persone a poco più della metà degli altri quaranta milioni. Siamo nel punto più delicato della elaborazione e della attuazione del piano di vaccini alle prese con un quadro complicato da varianti di ogni tipo, problemi di approvvigionamento e di logistica.

Questo è il quadro reale delle cose al netto del chiacchiericcio politico e della bolla mediatica che nasconde tutto dietro il fotoromanzo televisivo quotidiano dove l’effimero domina su tutto e tutti, misurando la distanza siderale tra chi dovrebbe informare e chi quelle informazioni è destinato a raccogliere. Allora chiariamoci bene le idee. Mario Draghi ha la fiducia dei mercati che ci può portare a recuperare dopo molti anni tassi reali e spread con i Bund tedeschi almeno pari a quelli spagnoli. Mario Draghi ha la fiducia della Commissione europea che si è già affrettata a dichiarare ai suoi massimi livelli che il Next Generation Eu è salvo perché il grande malato d’Europa (siamo noi) sarà messo a posto in quanto è finito nelle mani di chi ne capisce.

Mario Draghi ha la fiducia dei Grandi del mondo e può con la presidenza del G20 e la copresidenza del Cop26 conseguire risultati rilevanti sul multilateralismo e sulla lotta alla crisi ambientale.

Ricordiamoci, però, che anche se molti pensano che cammini sulle acque, Draghi non ha la bacchetta magica e non è la fata turchina. Ha un metodo di lavoro, però, e ha un capitale personale fatto di credito internazionale che può aiutare molto. Ha scelto, a partire da Franco e da Garofoli, uomini che sanno dove mettere le mani, perché conoscono l’amministrazione pubblica e hanno le idee chiare su come sfoltire i passaggi burocratici e migliorare vistosamente la quantità e la qualità della spesa pubblica produttiva. Possono fare squadra e ottenere risultati fino a oggi insperati. A patto, però, che si abbia la consapevolezza che il problema strutturale italiano prima ancora di quello del Recovery Plan è il divario di infrastrutture di sviluppo e di spesa sociale tra Nord e Sud del Paese. Si usino tutti i poteri speciali possibili e immaginabili e, per la prima volta dagli anni del miracolo economico italiano, si torni a investire e a fare spesa sociale buona e infrastrutture immateriali e materiali di sviluppo nel Mezzogiorno. Gli investimenti privati al Sud come al Nord arriveranno dopo, ma arriveranno.

Senza quella spesa pubblica di contesto, il Mezzogiorno non ha nessuna possibilità di riprendersi e, di conseguenza, l’Italia sarà sempre una anatra zoppa. Nessuna ripartenza effettiva è possibile se non riusciremo a tenere insieme la priorità ambientale e il sostegno ai ceti produttivi con lo sblocco della macchina inceppata degli investimenti pubblici altrettanto produttivi nel Mezzogiorno. Questo è il punto strategico della rinascita del Paese e chi dovesse perdere di vista questo particolare non ha nessuna possibilità di cambiare le cose. Ci ritroveremmo a fare i conti con la solita limitatezza amministrativa e con la perdita del rimbalzo. Si determinerebbe un problema di finanza pubblica perché sale il deficit e sale il debito. Inevitabilmente si incancrenisce il problema sociale e del lavoro. Salta la coesione e si spacca per sempre in due l’Italia. Correggere i nostri difetti strutturali rispetto agli altri Paesi non è più una scelta ma un obbligo. Bisogna farlo bene e presto.


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