Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio
4 minuti per la letturaSe siete capaci, signori del Pd e dei Cinque stelle, pensate al futuro perché sul passato non potete che litigare. Se volete federare davvero qualcosa, allora dite per fare cosa e con chi ci si mette insieme. Prima di parlare bisogna avere chiaro che cosa si vuole, che cosa si pensa di fare. È necessario avere almeno qualche idea in comune sulla rotta da seguire. Altrimenti ti rimane solo la lite o l’altra fesseria del partitino, tipo Leu di Bersani, Azione di Calenda, Italia Viva di Renzi. Oppure non ti resta che fare i conti con l’Udc che nessuno si ricordava che esistesse
Per favore, se ne siete capaci, signori del Pd e signori dei Cinque Stelle, pensate al futuro. Perché sul passato non potete fare altro che litigare. Soprattutto fatelo se volete federare qualcosa. Soprattutto lo faccia chi ambisce (Giuseppe Conte) legittimamente a guidare questo processo che non può essere né un guscio vuoto pieno solo di comunicazione né un teorema sganciato dalle cose terrene della politica che sono ascolto e rispetto per i compagni di viaggio. Non basta dire c’è la pandemia per rimanere al governo, chiaro?
Non bastano più gli slogan del passato recente tipo Ulivo o riferimenti vaghi al suo fondatore tipo Prodi. Queste sono cose che vanno bene per i conduttori più screditati dei talk all’italiana e dei loro compagni di merende sempre più lontani dal sentire reale del Paese. Che sono il disfacimento del senso di comunità, la sofferenza di settori sempre più diffusi dell’economia, l’aumento crescente della quota di disagio sociale e di povertà.
Parliamoci chiaro. Bisogna dire per fare cosa e con chi ci si mette insieme. Prima di parlare insomma bisogna avere chiaro che cosa si vuole, che cosa si pensa di fare. Chi vi ascolta deve percepire che c’è consapevolezza delle macerie che si hanno intorno. Bisogna avere almeno qualche idea in comune sulla rotta da seguire nello scontro istituzionale permanente, addirittura quotidiano, tra Stato e Regioni, che blocca tutto. Bisogna almeno essere d’accordo se vengono prima gli investimenti o gli incentivi. Bisogna almeno sporcarsi le mani non a dire ma a fare la parità dei diritti di cittadinanza sanitari, scolatici e infrastrutturali tra cittadini del Nord e cittadini del Sud del Paese.
Non c’è più un congresso. Non c’è più una discussione di contenuti. Per capirci, le correnti democristiane rappresentavano una linea, oggi non si capisce neppure più se c’è una differenza tra Pd e Cinque Stelle. Non si capisce più che cosa è di destra e che cosa è di sinistra. Dentro questo rumoroso mare mediatico che copre la povertà diffusa e la rabbia sociale rabbonite prima con gli assegni del debito pubblico da pandemia, ti rimane solo la lite o l’altra fesseria del partitino tipo Leu di Bersani, Azione di Calenda, Italia Viva di Renzi. Oppure non ti resta altro che fare i conti con la segreteria politica dell’Udc che nessuno neppure si ricordava esistesse o finisci con avere atteggiamenti sbagliati nei confronti di Mastella che ti dà una mano e fai quello che nessuno dei grandi democristiani del passato ha mai fatto con lui. Siamo ai due mondi – carrozzone politico-mediatico autoreferenziale e universo reale fatto di persone impaurite e di un’economia a pezzi sempre più diseguale – che si scambiano sul confine qualche messaggio più o meno in codice, ma non si capiscono più e neppure si parlano. Perché se no non accadrebbe quello che accade con Alitalia, Ilva, Whirlpool e così via.
Non aspetteremmo ancora la nomina dell’amministratore delegato di Unicredit che per la reputazione italiana vale quasi quanto una crisi di governo. Perché banche e politica si terrebbero ben distanti tra di loro. Nel ’51 Giorgio La Pira su “Cronache sociali” scrisse un articolo titolato “In difesa della povera gente” in cui stigmatizzava le liti politiche dopo la crisi del ’49 (basta!) e rilanciò Keynes. La sostanza del messaggio era: finiamola di usare i fondi Marshall per tenere su la lira e usiamoli per creare lavoro e sviluppo. La cosa fece scalpore e perfino Einaudi ne fu colpito. Ribadì, certo, l’esigenza di tenere su la lira che doveva essere e fu una moneta forte, ma incentivò il dibattito e la costruzione politica di un’alleanza comune sulla crescita. Questo significa fare la federazione. Questo è il progetto che serve all’Italia di oggi. Che vuol dire accettare che ognuno ci metta il suo. Guardando avanti, non indietro.
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