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Matteo Renzi

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Ci vuole una legge speciale che permetta di gestire la seconda ricostruzione italiana più importante della prima. Conte e Renzi valorizzino gli elementi che li accomunano di una grande tradizione politica che è quella democristiana. Recuperino di essa l’eredità che serve non per fare accordi di facciata ma per fare ripartire davvero il Paese. Il meccanismo nuovo deve valere per i progetti del Recovery Plan, ma anche per l’utilizzo dei fondi di coesione e sviluppo in un disegno organico che restituisca al Paese intero la leva degli investimenti pubblici a partire dal Mezzogiorno

Ministro Amendola, sia chiaro: non farete mica uscire in giro bozze con l’indicazione di progetti, opere e relativi importi senza l’accordo preventivo con le Regioni? Stabilite, certo, il rapporto percentuale tra investimenti e incentivi, indicate le aree strategiche di intervento, ma su dove, come e quando si interviene, sulle singole scelte, attenti a prendere iniziative!

Ci sono materie di competenza esclusiva e altre di competenza concorrente per le quali non si può fare nessuno tipo di Recovery Plan senza concordare tutto prima con le Regioni. È in gioco il rapporto tra organi costituzionali di cui la Corte è garante, nessuno si prenda libertà che non ha. Non scherziamo proprio.

Più o meno questo è il ragionamento che si è sentito fare il ministro per gli Affari europei Amendola durante la sua audizione alla Cabina di regia della Conferenza Stato-Regioni di qualche giorno fa. Questa è l’Italia (vera) di oggi con la forza delle leggi che mettono sul piedistallo pieni di soldi e di potere i Campioni regionali della disfatta italiana.

Che cosa possiamo dire di una Lombardia che si ferma poco sopra il 20% dei vaccini somministrati contro l’80% del Lazio dopo avere sfondato tutti i pavimenti e tutte le cantine a disposizione per il discredito della sua organizzazione e della sua macchina regionale?

Che cosa vogliamo dire di Veneto e di Emilia-Romagna, che insieme alla Lombardia hanno avuto per vent’anni investimenti pubblici in sanità dal quadruplo al doppio delle regioni meridionali, e che si ritrovano oggi in testa nella terribile classifica territoriale dei decessi? Volessimo impedire a Lorsignori di imporre questa o quella opera locale, più o meno clientelare, da incartare e infilare nel pacco del Recovery Plan cosicché ce le rimandano tutte indietro e ci copriamo di ridicolo chiunque sia l’inquilino pro tempore di Palazzo Chigi? Siamo seri, per piacere.

Suggeriamo al Presidente Conte di fare un accordo con Renzi perché non si può più permettere che il capo di Italia Viva abbandoni il tavolo, ma l’accordo lo faccia blindato su tutto, proprio tutto, contenuti del Recovery Plan, caselle ministeriali, coesione della maggioranza, ma ancora prima legge speciale per gestire tutto ciò. Perché altrimenti dall’Europa non arriva nulla e l’Italia rotola sotto le macerie della peggiore classe politica europea centrale e locale.

Questa è la strada obbligata per rispettare il grande lavoro del Presidente della Repubblica, Mattarella, e evitare la trappola di reincarichi al buio. Edulcorata la ruggine dei rapporti personali, Conte e Renzi valorizzino gli elementi che li accomunano di una grande tradizione politica che è quella democristiana. Recuperino di essa l’eredità che serve non per fare accordi di facciata ma per ripartire garantendo un governo effettivo del Paese alle prese con la pandemia globale e il nuovo ’29 mondiale.

Qui ci vuole il respiro di una legge speciale per il Recovery Plan che permetta di gestire la seconda ricostruzione italiana più importante della prima.
Il motore della Repubblica italiana è grippato, qualunque benzina ci metti dentro prima o poi si ferma. Urge una clausola che disciplini normativamente questi poteri perché per incassare a consuntivo i fondi europei promessi, devi avere una ragionevole certezza preventiva che riesci a fare una normativa che regoli i poteri sostitutivi del primo soggetto attuatore se entro un mese non ha fatto niente o non ha comunque rispettato il cronoprogramma.

Deve essere chiaro a tutti che l’Unione Europea non ti dà i soldi per fare le opere che vuoi tu, ma ti ripaga di quello che hai speso se sei stato capace di spendere ed eseguire i progetti concordati. Se si decide finalmente di fare l’alta velocità ferroviaria nel Mezzogiorno, quella vera non quella finta, i soldi del debito comune europeo li hai se la fai, non se la racconti, perché ti rimborsano solo a cose fatte.

Per questa ragione, bisogna avere coscienza che senza nuove modalità operative e senza poteri sostitutivi gli interventi programmati non li farai mai. Perché è inevitabile che cadi nella rete soffocante dei veti regionali e delle mille burocrazie italiane mentre si ripensa l’assetto amministrativo e istituzionale dello Stato come è necessario fare e come, da par suo, ci spiega nella edizione odierna il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli.

L’intelligenza della politica avverte che su questo terreno, con l’antipatico Renzi, l’accordo non è difficile perché il problema lo aveva visto lui prima degli altri. Il meccanismo nuovo deve valere per i progetti del Recovery Plan, ma anche per l’utilizzo dei fondi di coesione e sviluppo in un disegno organico che restituisca al Paese intero la leva degli investimenti pubblici a partire dal Mezzogiorno. Quella stessa leva di cui si sono appropriati sottobanco i Capi delle Regioni del Nord per finanziare con i soldi della collettività un poco progetti buoni e molto i loro carrozzoni grandi e piccoli, tagliando sempre la spesa sociale e infrastrutturale del Sud e condannando l’Italia a un declino ventennale.

Sarebbe davvero importante che al posto di alimentare il solito dibattito della politica italiana sopra il pelo dell’acqua, si andasse sott’acqua per rimuovere le catene che bloccano in porto la nave italiana. Facendo così finalmente ripartire per davvero il Paese e liberandoci dai talk giornalistici della irrealtà che sono il racconto quotidiano più trasparente della vergogna italiana. Che è già entrato nei libri di storia.


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