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I dati Istat parlano chiaro, sono sempre più i giovani che trovano spazio nel mondo del lavoro; Landini invece dice tutt’altro


Maurizio Landini continua a consultare le sue statistiche apocrife sul mercato del lavoro, reagendo spazientito quando gli fanno notare che aumenta l’occupazione. Messo con le spalle al muro, gioca il suo asso di briscola: per lui sono in prevalenza rapporti precari, quindi “impuri’’. L’Istat pubblica dati diversi, ma evidentemente, secondo il leader della Cgil, l’Istituto di Statistica è al soldo della “spectre’’ dell’austerità.

Nel secondo trimestre 2024, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, è diminuito – secondo l’Istat – del -0,2% rispetto al trimestre precedente. Ed è aumentato dell’1,6% rispetto al secondo trimestre 2023. Nello stesso periodo il Pil ha registrato una crescita sia in termini congiunturali (+0,2%) sia in termini tendenziali (+0,9%).
Gli occupati aumentano in termini congiunturali di 124 mila unità (+0,5% rispetto al primo trimestre 2024), a seguito della crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+141 mila, +0,9%) e degli indipendenti (+38 mila, +0,7%) che ha più che compensato la diminuzione dei dipendenti a termine (-55 mila, -1,9%). Cala il numero di disoccupati (-84 mila, -4,6% in tre mesi) e aumenta quello degli inattivi di 15-64 anni (+32 mila, +0,3%). Simile la dinamica per i tassi: quello di occupazione raggiunge il 62,2% (+0,2 punti), quello di disoccupazione scende al 6,8% (-0,3 punti) e il tasso di inattività 15-64 anni è stabile al 33,1%.

Nei dati provvisori del mese di luglio 2024, rispetto al mese precedente, si osserva un aumento degli occupati (+56 mila, +0,2%) e del relativo tasso (+0,1 punti). Che si associa alla diminuzione del tasso di disoccupazione (-0,4 punti) e alla crescita di quello di inattività 15-64 anni (+0,2 punti). L’occupazione, nel secondo trimestre 2024, cresce anche in termini tendenziali (+329 mila, +1,4% in un anno). Coinvolgendo, pure in questo caso, i dipendenti a tempo indeterminato (+3,3%) e gli indipendenti (+0,6%) a fronte della diminuzione dei dipendenti a termine (-6,7%). Prosegue il calo dei disoccupati (-194 mila in un anno, -10,2%). E a ritmi meno sostenuti rispetto al trimestre precedente, quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-32 mila, -0,3%).

Tale dinamica si riflette nella crescita del tasso di occupazione (+0,7 punti rispetto al secondo trimestre 2023) e nella diminuzione dei tassi di disoccupazione (-0,8 punti) e di inattività (-0,2 punti). Dal lato delle imprese prosegue, con un aumento dello 0,5%, la crescita congiunturale delle posizioni lavorative dipendenti osservata a partire dal secondo trimestre 2021. L’intensità della crescita è simile per la componente a tempo pieno e lievemente inferiore per quella a tempo parziale (+0,4%). Anche in termini tendenziali la crescita delle posizioni dipendenti (+2,6%) è più marcata tra i full time (anch’essa a +2,6%) e leggermente più contenuta tra i part time (+2,4%). Le ore lavorate per dipendente diminuiscono in termini congiunturali (-1,0%), pur aumentando in termini tendenziali (+0,3%). Il ricorso alla cassa integrazione scende a 7,5 ore ogni mille ore lavorate.

Il tasso dei posti vacanti diminuisce di 0,1 punti nel confronto congiunturale e di 0,3 in quello tendenziale. Il costo del lavoro per Unità di lavoro equivalente a tempo pieno (Ula) registra un consistente aumento su base congiunturale, pari all’1,9%. Per effetto della crescita sia delle retribuzioni (+1,7%) sia, in misura lievemente superiore, dei contributi sociali (+2,4). L’aumento del costo del lavoro si registra anche in termini tendenziali, attestandosi al 4,5%. Ancora una volta per effetto della significativa crescita sia della componente retributiva (+4,7%) sia dei contributi sociali (+4,4%). La crescita particolarmente sostenuta delle retribuzioni osservata in questo trimestre si lega principalmente alle erogazioni economiche previste nei rinnovi contrattuali.

Insomma, non siamo i primi della classe, ma in via di sostanziale miglioramento, tanto che la maggiore preoccupazione sta nella crisi dell’offerta di lavoro che ormai non è determinata solo una mancanza di competenze adeguate, ma comincia a risentire degli effetti della denatalità con riguardo alla stessa presenza fisica della manodopera.

Sul mercato poi vi sono altre analisi che smentiscono il catastrofismo di Landini. A meno di non ritenere che la Fondazione studi dei Consulenti del lavoro voglia fare propaganda al ministro del Lavoro dobbiamo prendere sul serio le sue indagini oppure attrezzarci a smentirle a suon di dati. Secondo un suo recente studio la fase di crescita occupazionale che sta caratterizzando gli ultimi due anni, si accompagna a un incremento ancora più significativo della partecipazione dei giovani al lavoro. Su 1 milione 26 mila posti di lavoro creati tra 2021 e 2023, circa 439 mila hanno riguardato giovani con meno di 35 anni.

L’occupazione giovanile ha contribuito al 42,8% del positivo saldo occupazionale, registrando un tasso di crescita dell’8,9%, doppio rispetto a quello generale del 4,5%. Il contributo maggiore è venuto dai 25-34enni, il cui numero di occupati è aumentato di 270 mila unità (6,9%), ma sono stati i giovanissimi, con meno di 25 anni, a registrare la crescita più forte in termini percentuali, con un saldo di 169 mila occupati in più e un tasso di crescita del 16,7%. La positiva dinamica ha riguardato entrambi i generi, ma in particolare le donne. Con 202 mila occupate in più, queste hanno registrato una crescita del 9,9%, mentre per gli uomini questa è stata dell’8,2%.
Il cambio di passo interrompe il trend di forte contrazione dell’occupazione giovanile avviatosi negli anni 2000, che ha toccato il suo minimo storico nel 2020 quando il numero degli occupati con meno di 35 anni è arrivato a 4 milioni 777 mila (nel 2004 erano 7 milioni 632 mila). Hanno contributo le esigenze di innovazione delle competenze di molte aziende, accelerate dalla crisi del Covid e dalla transizione tecnologica e digitale. Ma anche la crescente scarsità di offerta di lavoro che, unitamente al turn over in atto in molti settori – si pensi alla pubblica amministrazione – sta comportando un ri-orientamento della domanda verso i giovani.

A trainare la crescita dell’occupazionale giovanile sono stati i settori che hanno registrato le migliori performance nella fase di ripresa post-Covid. A partire dal turismo, che con 140 mila occupati in più nei servizi di alloggio e ristorazione, ha registrato un incremento del 23,7% (il dato si riferisce alla fascia d’età 15-39 anni). Segue, in termini assoluti, il settore della salute – sanità e assistenza sociale – che ha contribuito alla crescita con 60 mila occupati in più (+10,1%). E il settore dell’informazione e comunicazione (52 mila occupati in più per un incremento del 20,3%). Anche l’industria ha assorbito una quota rilevante di nuova occupazione giovanile (+48 mila). Ma l’incremento in termini relativi è stato meno significativo. Mentre sono da sottolineare le buone performance delle attività artistiche, sportive e di divertimento, che con un saldo di 37 mila occupati in più hanno registrato un incremento in termini percentuali del 32,1%.

Anche sotto il profilo della qualità dell’occupazione – secondo la Fondazione Studi – si registrano segnali positivi. Aumentano sia il numero dei laureati (+12,5%) che quello dei diplomati (+10,8%). Mentre si riduce (-1,5%) quello dei giovani in possesso al massimo del diploma di scuola media. Ma è soprattutto guardando i profili professionali che si evidenzia un miglioramento della collocazione giovanile nella piramide professionale. Oltre alle figure addette nelle attività commerciali e nei servizi (+161 mila per un incremento del 10,7%), crescono soprattutto giovani occupati nelle professioni altamente qualificate. Aumentano di 113 mila unità (+10,9%) i profili intellettuali e scientifici e di 125 mila (+9,4%) quelli tecnici intermedi. Risulta invece in contrazione la presenza di giovani tra i profili medio bassi, come conduttori di impianti e professioni non qualificate. Questi dati sono utili perché smentiscono uno dei tanti luoghi comuni che ci portiamo stancamente appresso.


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