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In questo Paese dove la follia populista diventa irresponsabilità diffusa e gli elettori premiano chi vende sogni, oggi l’Istat certifica che i deficit del 2021 e del 2022 sono esplosi per gli effetti del superbonus e dell’intera filiera di bonus. Abbiamo la misurazione scientifica della nostra irresponsabilità di quegli anni gialloverde e giallorossi per questo e altri provvedimenti. Abbiamo la prova che Giorgetti e Meloni hanno disinnescato questa bomba sui conti pubblici del 2023 con una decisione impopolare ma inevitabile di cui va reso loro merito. Non imporre lo stop alla cessione dei crediti significava ipotecare i prossimi 24 mesi togliendo ogni margine di manovra su tutto. Una lezione per il futuro che deve fare aprire gli occhi sui balneari e sulla bella addormentata Sace arrivata al ridicolo.
SIAMO un Paese in cui il Parlamento si sente superiore all’Unione europea e al Quirinale e crede di potere fare come meglio vuole per difendere i privilegi pluridecennali dei balneari. Salvo poi scoprire con le stesse, identiche facce di bronzo di dovere andare in televisione a informare gli italiani che non abbiamo avuto i soldi dell’Europa che non sono bruscolini ma una ventina di miliardi. In questo Paese dove la follia populista diventa irresponsabilità diffusa per cui gli elettori premiano chi vende sogni oggi l’Istat certificherà che i deficit del 2021 e del 2022 sono letteralmente esplosi per gli effetti del superbonus e della filiera di bonus a esso collegati a causa dei nuovi criteri di contabilizzazione del credito di imposta. Che riguardano appunto il superbonus e tutti i tipi di sconti fiscali con bonus facciata, bonus edilizi e così via e impongono di imputarli integralmente al deficit nell’anno in cui il beneficio è generato non più di spalmarli nell’arco degli anni in cui viene utilizzato.
Questo determina un forte aumento del deficit del 2022 perché il superbonus è decollato a pieno dalla metà a fine anno e del 2021 dove hanno spopolato gli altri bonus. Avrà un effetto coda ma contenuto con lo stop sul bilancio del 2023 che riserva ancora incognite e genererà un miglioramento sul deficit del 2024 e del 2025 perché qui toglie le quote annuali che sono già state messe sul conto dei bilanci pubblici degli anni precedenti. Oggi avremo, dunque, dall’Istat la misurazione scientifica della nostra irresponsabilità di quegli anni gialloverde e giallorossi perché vedremo il deficit schizzare enormemente per questo come per altri provvedimenti. Soprattutto avremo la prova provata di come e perché Giorgetti e Meloni sono stati obbligati a disinnescare questa bomba sui conti pubblici con una decisione impopolare ma inevitabile di cui va reso loro merito. Non imporre lo stop alla cessione dei crediti per l’onerosità della folle promessa significava ipotecare i prossimi 24 mesi togliendo ogni margine di intervento in materia di riforma fiscale come di energia come di qualunque altro ambito.
Questo numero farà giustizia di tutto il dibattito drogato sul superbonus che ha trascinato l’economia e si ripaga facendo un falò delle carte di report fabbricati su misura che sostengono questa tesi. Sono carte e numeri prodotti da chi è in palese conflitto di interessi perché vive di consulenze con le società edili. Che è un po’ come chiedere all’oste se il suo vino è buono o cattivo sapendo in partenza che per lui è di sicuro buonissimo. Abbiamo, dunque, una prima misura scientifica di quanto è costata l’irresponsabilità di questi slittamenti populisti all’insegna del moto “rifatevi la casa gratis”.
Questa epoca della follia che abbiamo vissuto e non dobbiamo mai più rivivere ci porterà a constatare, dati alla mano, che negli anni del super boom italiano del 2021 e del 2022 abbiamo fabbricato un deficit di dimensioni per lo meno analoghe a quello prodotto nel bilancio drammatico del 2020 quando il Covid ha chiuso l’economia del mondo e, quindi, anche quella italiana. A quel punto il numero ci sarà e farà giustizia definitiva non solo di tutto il dibattito analfabeta sui non costi del superbonus, ma anche della lunga stagione della follia italiana che ha toccato il suo apice con i governi di coalizione guidati da Conte ma che riguarda oggettivamente anche molte stagioni che li hanno preceduti. Per cui abbiamo assistito anche prima a elezioni politiche con risultati che certificano che si è andati dietro con il voto alle promesse di tutti. Per cui da Renzi a Salvini, dai Cinque Stelle a Conte, il sogno venduto ti porta al 40 e poi ricrolli al niente per dare campo a un altro sogno venduto che fa volare qualcun altro. Gli elettori vanno dietro questo sogno, l’ultimo sogno possibile, perché dei costi che queste promesse comporta a loro non gliene frega nulla.
Perché siamo, diciamolo senza ipocrisie, analfabeti dal punto di vista della politica economica e anche quando non lo siamo ci fa piacere comportarci da analfabeti con i soldi degli altri. Il programma del bonus è tutta spesa che non si sa come si finanzia e se il problema è questo, come lo è, allora la lezione che viene da questo numero è una lezione che vale per tutti. L’Istat ci dice oggi quanto lo abbiamo pagato tutti noi questo superbonus e sarebbe bene che valesse come lezione per spingerci a chiedere conto prima dei costi di questo o quello dei provvedimenti che si annunciano prossimamente. Soprattutto di quelli che vendono sogni e ci piacciono tanto. Questo numero deve servire da lezione per impossessarci degli strumenti culturali che ci permettono di capire e di chiedere conto.
Noi siamo un Paese in cui si dibatte per mesi della legge finanziaria che è il bilancio preventivo, ma non gliene frega niente a nessuno di quello consuntivo con tutte le magagne incorporate che si approva a giugno e luglio in semi oscurità in quello stesso Parlamento che crede di contare più dell’Unione europea e del Capo dello Stato. In qualunque azienda si è molto attenti quando si scrive il bilancio preventivo, ma quello che interessa davvero è il bilancio consuntivo che è lo strumento del rendiconto agli azionisti. A noi cittadini elettori interessano solo le promesse e poi quando arriva il conto ci giriamo dall’altra parte.
Per la verità, anche nelle aziende, c’è chi fa di peggio. La bella addormentata Sace, guidata dall’amministratore delegato Alessandra Ricci su cui abbiamo chiesto all’azionista pubblico di rafforzare la vigilanza, mostra di non cogliere fino in fondo la portata del momento d’oro delle esportazioni italiane e dei nuovi mercati. Molte imprese italiane si lamentano perché offre meno garanzie e servizi e a prezzi più alti delle consorelle francese e tedesca. Questa Sace, quindi, non solo non fa quello che di più dovrebbe assolutamente fare per cogliere appieno i risultati del miracolo delle imprese italiane, ma si permette di lanciare, a suo dire, un nuovo logo di identità visiva che con la ricerca di forme curve richiama la circolarità della sostenibilità e il calore delle persone.
Non siamo più solo fuori dalla realtà. Siamo passati al ridicolo. Qualcuno, per favore, intervenga.
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