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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante le celebrazioni per la Festa della Repubblica

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C’E’ VOLUTO un film di successo – “C’è ancora domani”- per raccontare agli italiani di oggi l’importanza del 2 giugno del 1946 nella vita della nazione e la Festa della Repubblica. La protagonista vive con particolare intensità quella giornata perché trova nel voto alle donne per la prima volta un’occasione di riscatto personale nel contesto di una società veramente patriarcale, in cui alla mancanza di democrazia e di libertà nella vita civile si aggiungeva l’abuso ricorrente nell’ambito familiare.

Ma che cosa è il 2 giugno per gli italiani, la Festa della Repubblica? Per fortuna è una delle poche ricorrenze civili non divisiva, come purtroppo rimane (lo abbiamo constatato anche quest’anno) il 25 Aprile. La pax repubblicana è riconducibile probabilmente ad una circostanza banale: si sono dileguate col passare degli anni quelle forze politiche monarchiche che per diverse legislature nella Prima Repubblica avevano un relativo consenso elettorale (in una certa fase vi furono persino due partiti in polemica tra di loro).

Non si dimentichi mai che nel voto del 2 giugno la Repubblica ottenne una vittoria netta, ma anche la Monarchia realizzò un elevato livello di consenso; il referendum istituzionale si concluse con 12.717.923 voti per la Repubblica e 10.719.284 per la Monarchia. I risultati furono proclamati dalla Corte di Cassazione il 10 giugno 1946: per questo ritardo e per il gran numero di voti annullati sorse il dubbio che l’esito fosse stato manipolato dal Viminale, il cui titolare era il socialista Giuseppe Romita. Ma il re Umberto II detto “il re di maggio” perché regnò solo per quel mese volle evitare una lacerazione nel Paese e scelse la via dell’esilio. Ma come abbiamo visto i monarchici non sparirono. Quando le loro formazioni abbandonarono la nostalgia della corona e cercarono di trasformarsi in una forza di destra moderata, non compromessa col neofascismo, a disposizione per una svolta a destra della Dc, finirono per essere assorbite dal MSI.

Fino a che punto, però, quella della Repubblica è anche una festa degli italiani? A dire il vero è una giornata delle istituzioni e riservata a quelle personalità che ricevono un invito ufficiale per prendere parte alle celebrazioni. Se il popolo è in grado di assistere alla sfilata militare lungo i Fori imperiali (magari soltanto dagli schermi televisivi), i palchi, disposti secondo un preciso cerimoniale, sono riservati alle autorità in ordine gerarchico. Anche l’evento più importante nei giardini del Quirinale è accessibile alle élites. Il 2 giugno non è una giornata per gite fuori porta, come se nei suoi confronti vi fosse una sorta di timore reverenziale. Magari può essere utile per un ponte e una vacanza. Non è senza significato che nel 1977, la ricorrenza del 2 giugno venne sacrificata insieme ad altre festività infrasettimanali civili e religiose (nel loro numero l’Italia era seconda solo al Messico) e spostata alla domenica più vicina. In quel gruppo di festività soppresse perché spezzavano la continuità dei processi produttivi e davano luogo a numerosi ponti durante l’anno c’era anche il 6 gennaio, l’Epifania. La festa della Befana venne ripristinata nel 1985.

Per restituire il blasone festivo al 2 giugno si dovette attendere il 2001 e la pressante sollecitazione del presidente Carlo Azeglio Ciampi, che volle anche rivalutare l’Inno di Mameli. La ricorrenza dell’unica vittoria militare italiana – il 4 novembre – è rimasta abolita. Quella della Repubblica è quindi una festa in doppiopetto; almeno, però, da quando era tornata in auge univa tutto il mondo istituzionale e politico. Quest’anno non è così: la sfilata dell’esercito non è stata vista bene dai soliti pacifisti per la tragedia ucraina e la solidarietà pelosa con Hamas camuffata da appoggio ad una non ben precisata causa palestinese. Il Pd dal canto suo ha deciso di rendere divisiva anche la Festa della Repubblica per “fare muro contro il premierato e l’autonomia differenziata’’. Unicuique suum.


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