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Il Nord dell’Europa ha bisogno del suo Sud che la costruisca riunendo le due sponde del Mediterraneo. Un’impresa obbligata ma titanica perché si misura con focolai di guerra e di povertà dentro un gioco intricato di regimi autoritari che mina equilibri sociali già precari. Eppure non esistono alternative al grande hub energetico e manifatturiero collocato dentro un dialogo culturale e religioso che metta in sicurezza la autonomia a rischio dei Paesi frugali del Nord e eviti la caduta rovinosa dell’Europa come player globale. Dobbiamo dimostrare di sapere ascoltare chi soffre molto più di noi e chiede di essere preso in considerazione e dobbiamo essere in grado di portarci dietro l’intera Europa

COMINCIA a cambiare la narrazione sul Sud e sul suo ruolo nel Mediterraneo per almeno due ordini di ragioni. Nel primo caso è che il Festival Euromediterraneo organizzato da questo giornale in collaborazione con Commissione e Parlamento europei a Napoli, nella Sala dei Baroni al Maschio Angioino, ha deciso di esprimersi con il linguaggio dei numeri perché è l’unico possibile per uscire dagli schemi stereotipati che fanno così male al nostro Mezzogiorno.

Ne è venuta fuori una crescita misurabile soprattutto delle piccole e medie imprese manifatturiere che eguaglia per ebitda e valore aggiunto le performance delle migliori imprese di pari dimensione del Centro Nord. È emerso il dato incontrovertibile di un proliferare di piccole e medie imprese e di start up nel Sud paragonabile a quello del Nord come fenomeno complessivo. Sono fatti, non opinioni, che ci ha raccontato un modenese che di economia reale ne capisce come Giulio Santagata sulla base dei risultati dell’osservatorio di Nomisma che si sviluppa su un campione di imprese a elevata rappresentatività.

Abbiamo appreso che i treni più moderni della metropolitana di Milano sono fabbricati a Reggio Calabria con lo stesso personale che operava in una fabbrica data da tutti per spacciata. Abbiamo appreso che lo sviluppo sbilanciato del Mezzogiorno tanto caro a Romano Prodi vale già tutto insieme quanto una grande manifattura europea sommando i primati dell’intelligenza artificiale con quelli dell’aerospazio, del packaging come dei nuovi materiali e di molto molto altro. Nel secondo caso fanno tutto storia e geografia che prima “condannano” con la pandemia alla riglobalizzazione, che vuol dire accorciare le catene della logistica, e poi con i carri armati russi in Ucraina obbligano il mondo a riscoprire l’Africa con il suo carico prezioso di materie prime energetiche e di terre rare per la nuova economia. Storia e geografia ci dicono insieme che il mondo si è capovolto e che il Nord dell’Europa ha più che mai bisogno del Sud dell’Europa che costruisca un’economia di pace capace di riunificare sul piano economico e sociale le due sponde del Mediterraneo. Un’impresa tanto obbligata quanto titanica perché tutti i quattro Mediterranei non sono mai stati così pesantemente attraversati da focolai di guerra e di povertà dentro un gioco intricato di regimi autoritari e di catene di comando che minano equilibri sociali già molto precari e la stabilità complessiva del quadro geopolitico.

Eppure non esistono alternative al grande hub energetico e manifatturiero del Mezzogiorno d’Italia collocato dentro un dialogo culturale e religioso che conduca all’ascolto reciproco non per salvare o chiedere aiuto a favore dei Sud del mondo ma per mettere in sicurezza la autonomia completamente a rischio dei Paesi frugali del Nord che possono cadere come birilli e scongiurare parallelamente la caduta rovinosa dell’Europa come player globale. Sfiancato peraltro da un ritorno suicida a politiche di sostegno nazionali legate agli spazi di bilancio dei singoli Stati, il primo dei quali è la Germania che “fabbrica” in dollari 4,3 trilioni contro i 25,3 degli Stati Uniti e i 19,9 della Cina. Tocca a noi recuperare il senso della storia che stiamo vivendo per guidare il processo dell’Europa federale con l’Italia al centro sapendo che mai e poi mai potremmo costruire da soli un’economia di pace.

Dobbiamo dimostrare di sapere ascoltare chi soffre molto più di noi e chiede di essere preso in considerazione e dobbiamo essere in grado di portarci dietro l’intera Europa. È un esercizio delicato di leadership politica che non può non partire dall’innesco di una fase due del Next Generation Eu che non deve per forza di cosa significare fare nuovo debito comune, ma fare politica europea comune con mega investimenti e alleanze strategiche nella ricerca come nell’innovazione questo sì. È un esercizio delicato di leadership politica che non può non partire con qualche decennio di ritardo dalla scelta strategica di rimettere al centro l’investimento sul capitale umano attuandolo in modo dichiaratamente congiunto tra le due sponde del Mediterraneo. È un esercizio delicato che non può non partire dal recupero in casa nostra di una logica di programmazione e di pianificazione che si coniughi con una nuova efficienza della spesa e scelte condivise fortemente volute dall’Europa di riunificazione territoriale delle due Italie e di processo riformatore comune che sprigioni energie positive e aumenti la produttività complessiva del sistema. Guardate quante cose possono accadere, e guai se così non fosse, solo perché senza il tubo della nuova energia solare, eolica, da maree, con le pale o sott’acqua, che parte o passa dal Sud Italia, la media e grande impresa esportatrici del Nord e quella dei colossi della manifattura tedesca si devono giocoforza fermare. Il mondo si è capovolto perché il bivio della storia ha tolto ogni strada alternativa a quella difficilissima che porta verso il Sud del mondo e che ha Napoli come vera capitale del Mediterraneo.

La piccola grande speranza che portiamo con noi è che da quello che abbiamo visto e sentito a Napoli – chiamando a raccolta le grandi voci della economia pubblica e privata e della finanza, del governo come dell’Europa e del Mediterraneo allargato – è emersa la forte comune volontà di interpretare questa nuova narrazione positiva. Che coinvolge il mondo degli studi e della ricerca come dell’amministrazione oltre che quello delle imprese private e del capitale internazionale che sono insieme l’unico moltiplicatore possibile di ogni disegno realista di sviluppo economico e civile. Questo dato che mette insieme capitale umano e capitale immateriale e sociale è il segno che qualcosa di molto profondo sta cambiando nelle teste e nelle viscere di questa comunità. Che dovrà potersi giovare di un’Europa che fa finalmente grandi scelte strategiche di investimenti sovranazionali e di una politica nazionale che torna ad essere in grado dopo decenni di mettere in moto una macchina esecutiva capace di fare le cose dentro un piano di quadro di lungo termine che si sporca le mani scegliendo le priorità strategiche ma anche unificando e semplificando i processi decisionali.

Tutto dovrà sempre partire dal capitale umano, dalle università che fanno rete tra di loro e con le imprese sulle due rive del Mediterraneo, perché i cambiamenti si costruiscono con le teste che mettono in moto il processo e sono capaci di dotarsi di un’organizzazione. Questi a nostro modo di vedere sono principi e priorità della carta di Napoli di Feuromed e farebbero bene tutti a tenere conto delle proposte analitiche che l’advisory board del Festival Euromediterraneo dell’economia ha elaborato inserendole magari alcune nel nuovo documento di economia e finanza (Def) e decidendo di anticipare con cadenza trimestrale i prossimi Def. Anche questo significa fare politica di Piano e farla bene. Anche questo significa avere una rotta strategica e perseguirla.


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