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Il ministro di fatto della “non sicurezza energetica”, Gilberto Pichetto Frattin, è costitutivamente fuori dalla coalizione di maggioranza che sostiene il governo Meloni e non degno di rappresentarlo. Vuole fare correre Gioia Tauro, che è la Ferrari del nuovo grande hub del Mediterraneo, con la velocità di una Cinquecento e stoppa Porto Empedocle che è banalmente il sito più vicino alle nuove fonti di approvvigionamento. Tiene bloccate decine di miliardi di investimenti nell’eolico-off shore tra Calabria, Sicilia, Puglia e parte della Sardegna e spinge per spostare in Liguria l’attività che deve fare Gioia Tauro. Va contro la geografia e fa danni incalcolabili.
Pensare di mettere in sicurezza energetica il Paese e negare la strategicità ai rigassificatori di Gioia Tauro e di PortoEmpedocle, significa negare in radice ogni principio di coerenza politica e di visione per il Paese e per l’Europa intera.
Per queste evidentissime ragioni il ministro dell’Ambiente e, di fatto, della “non sicurezza energetica”, Gilberto Pichetto Fratin, è costitutivamente fuori dalla coalizione di maggioranza che sostiene il governo Meloni e non degno di rappresentarlo nemmeno un minuto di più. Mettersi addirittura a discutere se concedere una parziale strategicità a Gioia Tauro consentendo di sfruttare quattro miliardi di metri cubi di gas come stoccaggio invece dei sedici disponibili per magari mediare a otto come a un mercatino dell’usato delle auto, siamo fuori da ogni serietà istituzionale.
È come se hai a disposizione una Ferrari e vuoi farla camminare alla velocità di una Cinquecento. Quando parliamo di Gioia Tauro ci riferiamo al punto di svolta assoluto per l’attuazione del Piano Mattei perché si tratta di uno scalo che ha fatto passi da gigante grazie all’impegno dell’imprenditoria privata e ha potenziali di crescita nei grandi trasporti di container e auto inimmaginabili. Per non parlare dell’industria del freddo e di tutte le potenzialità manifatturiere collegate in un’area che ha più che mai bisogno di offerta di lavoro produttiva e competitiva nell’interesse non più suo ma dell’intera Europa.
Per quanto riguarda Porto Empedocle siamo oltre il livello della farsa perché l’investimento partito in tempi non sospetti è stato portato avanti da una grande impresa quotata italiana e, quindi, la prosecuzione dei lavori già ben avviati garantirebbe altri due miliardi di investimenti e altri sviluppi di tipo crocieristico-commerciale. Molto banalmente l’Enel scelse all’epoca Porto Empedocle perché aveva un sito disponibile di larghe superfici e seguiva all’epoca un ragionamento che ispira oggi l’idea guida dello stesso Piano Mattei e, cioè, la collocazione del sito il più vicino possibile alle fonti di approvvigionamento e, quindi, all’Africa. Siamo di fronte a un principio basilare di investimento diretto a garantire all’Italia quell’abbondanza assoluta necessaria nell’approvigionamento energetico a causa di un quadro internazionale mutevole sul piano geopolitico e complicato nell’incrocio tra domanda e offerta. Siamo di fronte, cosa per noi ancora più importante, a una scelta concreta di attuazione di un disegno di politica industriale diretto a garantire al Mezzogiorno quel principio chiave di guida del nuovo processo energetico con le sue evidenti ricadute in termini di occupazione e di produttività di sistema. Fermare questo progetto e ridimensionare quello di Gioia Tauro sono decisioni incomprensibili che costituiscono insieme una vergogna assoluta politicamente e tecnicamente inqualificabile.
Parliamoci chiaro. Nessun piano Mattei di sviluppo alla pari con l’altra sponda del Mediterraneo, dal nostro punto di vista sacrosanto e lungimirante, è compatibile con un parere contrario del cosiddetto ministro della sicurezza energetica alla strategicità dei due siti simbolo di questo disegno di rinascita. Se poi la ragione addotta è quella delle eventuali strozzature di trasporto nel risalire la penisola, a partire da Sulmona su tutta la dorsale della produzione italiana, è bene che ci si metta un tappo in bocca e non si pronunci più neppure al bar la pomposa declamazione “faremo del Sud Italia il grande hub energetico del Mediterraneo” a sostegno dell’intera Europa. Perché se ci si ferma al cosiddetto primo ostacolo che è solo un piccolo tassello tecnico di investimenti per riempire il nuovo mosaico che consente di sfruttare la straordinaria collocazione geografica e fare del nostro Paese il motore energetico naturale dell’Italia e dell’Europa, vuol dire che stiamo prendendo in giro tutti ed è inevitabile una caduta verticale di credibilità senza possibilità di recupero né a breve né a medio termine.
Se, poi, come qualcuno sotto sotto fa trapelare, tutto questo sarebbe dettato dal fatto che, dovendosi fare carico dell’impegno assunto con Piombino di trasferire altrove la nave rogassificatrice dopo tre anni, si è deciso di sostituire la naturale destinazione di Gioia Tauro con la Liguria tra Genova e Savona, allora siamo davanti all’assenza di ogni visione tanto decantata e vogliamo mettere i soliti interessi di bottega micro-nazionali davanti all’importanza strategica di una sfida cruciale nella partita italiana e europea della nuova globalizzazione. Se a tutto ciò aggiungiamo che per Sicilia, Calabria, Puglia e parte della Sardegna ci sono oltre cento progetti di eolico off shore di tutti i grandi gruppi italiani e stranieri che mettono in moto decine di miliardi di investimenti e sono tutti in attesa delle autorizzazioni del ministero dell’Ambiente, allora la misura è davvero colma.
Osiamo sperare che deputati e senatori del Mezzogiorno della coalizione di governo e dell’opposizione, qualora il ministro Pichetto Fratin non rinsavisse nella notte e esprimesse immediato parere favorevole alla strategicità di Gioia Tauro e Porto Empedocle, pongano in essere da oggi in Parlamento ogni forma di iniziativa politica che conduca alle sue immediate dimissioni. Se non lo faranno la smettano per lo meno di prendere in giro i propri elettori nei collegi in cui sono stati eletti. Noi provvederemo a informarli giorno dopo giorno.
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