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Una nuova strategia per il Mezzogiorno: andrebbe riproposta l’Intesa generale quadro non tra lo Stato e le singole Regioni del Sud ma tra lo Stato e le otto Regioni del Sud riunite
Finora l’unica azione organica compiuta dall’intervento pubblico è stata la esperienza portata avanti da Donato Menichella, da Rodolfo Morandi, da Pasquale Saraceno, da Gabriele Pescatore, da Giulio Pastore attraverso la Cassa del Mezzogiorno. Una esperienza che ha visto anche, nel tempo, validissimi manager pubblici come Gaetano Cortesi e Massimo Perotti. Una esperienza che, a mio avviso, si è conclusa perché le Regioni del Mezzogiorno non accettavano un organismo che incrinava lo spazio gestionale di ogni singola realtà regionale.
Un atteggiamento provinciale, un atteggiamento miope e privo di strategia ma spesso dimentichiamo che il governo del territorio non ammette interferenze e, soprattutto, non accetta che un soggetto terzo, in modo organico e slegato da localismi, possa incrinare ciò che invece altri intendono per “governo del territorio”. Preciso con questo non voglio né criticare l’istituto regionale, né ritenerlo responsabile della mancata crescita del Mezzogiorno, voglio solo ribadire che la fine della Cassa del Mezzogiorno è essenzialmente legata alla paura di una sostanziale ingerenza gestionale, ripeto, di un organismo “tecnico – economico”.
LA LEGGE OBIETTIVO
Ed allora tento di prospettare un percorso che agli inizi del 2000 ha avuto un discreto successo: mi riferisco alla esperienza con cui è stata costruita la Legge Obiettivo e come è stata gestita nel tempo, cioè come è stata gestita nella fase realizzativa. Intanto il programma degli interventi e delle scelte procedurali furono concordate e condivise in un periodo di incontri continui tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e le venti Regioni e poi con un altro provvedimento si definì un altro strumento gestionale di grande respiro strategico mi riferisco alla Intesa Generale Quadro tra Stato e singola Regione. In realtà la Intesa Generale Quadro era un vero rogito che impegnava le parti a dare concreta attuazione a programmi infrastrutturali condivisi.
Questo strumento davvero innovativo ha reso possibile dei risultati inimmaginabili, risultati che sono ampiamente confermati da un solo dato: in dodici anni sono stati attivati investimenti per 234 miliardi di euro e si sono portati avanti interventi come il Mo.S.E., la rete ad alta velocità ferroviaria, i valichi, le reti metropolitane, gli schemi idrici del Sud, ecc.
Ebbene, io riproporrei lo strumento della Intesa Generale Quadro, non tra lo Stato e le singole Regioni del Mezzogiorno, ma tra lo Stato e le otto Regioni del Mezzogiorno riunite, come ho già prospettato in una mia precedente nota, in una forma federativa.
Sì, nel rispetto del comma 8 dell’articolo 117 della Costituzione che recita: «La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni».
COSTRUZIONE DEI LEP COME PRIMA TAPPA
E il primo atto di tale intesa dovrebbe essere la costruzione dei Livelli essenziali delle prestazioni del Mezzogiorno. Come ho già ricordato più volte, partiamo da un livello indifendibile. Infatti, per quanto concerne l’offerta di servizi socio-assistenziali, si passa dai 22 euro pro capite nella Regione Calabria ai 540 euro nella Provincia di Bolzano.
Inoltre la spesa sociale del Mezzogiorno è di 58 euro pro capite, mentre la media nazionale è di 124 euro, e questo tragico indicatore ne genera automaticamente un altro: il Prodotto interno lordo pro capite nelle otto Regioni non supera la soglia dei 22mila euro e addirittura in alcune si attesta su un valore che è pari a 17mila euro; al Nord, invece, si parte da una soglia di 36mila euro per arrivare addirittura alla soglia dei 40mila euro.
In realtà, si cerca di dare vita, con una simile proposta, a una iniziativa che parte dal basso, parte dai diretti attori di ciò che ormai si caratterizza sempre più come un’area ricca di eccellenze, ricca di potenzialità, ma che non riesce, ormai dal dopo guerra, ad uscire da una consolidata fascia marginale della economia del Paese.
Tra l’altro si tratta di una proposta trasversale in cui ogni singola realtà regionale spero si convinca che la infrastrutturazione di un determinato territorio o la revisione gestionale di una determinata attività logistica produce vantaggi e ritorni di investimento non per un determinato ambito territoriale, ma per l’intero Mezzogiorno.
UN NUOVO APPROCCIO DI INTERESSI COMUNI
In questo modo le risorse comunitarie provenienti dal Fondo di sviluppo e coesione, o dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, o da Repower, o dalle Reti Ten-T, diventano un Fondo globale comune da utilizzare senza preclusioni localistiche.
Sicuramente un simile approccio non sarà condiviso, perché ci vorrà molto tempo per convincere le singole realtà regionali sul vantaggio diffuso di una scelta per l’intero Mezzogiorno.
Sicuramente sarà difficile ridimensionare gli egoismi e i localismi delle singole Regioni, ma certamente, anno dopo anno, man mano che prendono corpo le azioni mirate alla costruzione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) le singole realtà regionali capiranno la validità di un simile cambiamento e costruiranno, con una adeguata carica di apprezzamento, un organismo senza dubbio simile alla Cassa del Mezzogiorno, ma con una modifica sostanziale: gli attori, i reali gestori sono per la maggior parte provenienti dalle amministrazioni locali, dalle singole amministrazioni regionali.
Si va quindi verso una macro Regione del Mezzogiorno? Assolutamente no, perché le identità regionali non solo rimangono, ma diventano anche riferimenti politici di una coesione che produce consenso o dissenso proprio in base alla trasparenza e alla incisività della stessa azione congiunta.
Lo so, per coloro che continuano a ritenere validi i confini fisici delle Regioni un simile approccio non solo è difficile ma, addirittura, inaccettabile.
Tuttavia, quando fra qualche mese la nuova Europa comincerà a varare direttive in cui non sarà più possibile porre più il “veto”, allora prenderanno corpo gli interessi comuni e verrà meno questa vecchia mentalità feudale di noi meridionali.
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