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Fermare senza alcuna competenza la realizzazione dell’opera significa bloccare la sfida tecnologica e ingegneristica che può rappresentare ai nostri giorni la stessa voglia di riscatto che ci fu nel Dopoguerra italiano. Quando un Paese agricolo di secondo livello si trasformò con le sue teste, i suoi cuori e le sue mani in un’economia industrializzata e poi in una potenza economica mondiale. Quella stessa voglia di riscatto ha nel Ponte la bandiera della vittoria nella partita globale che ha come posta in gioco la guida del nuovo mondo. Che vede capovolgere i suoi equilibri tra il Nord democratico più piccolo e impantanato nei veti ideologici e il Sud del mondo sempre più grande, autocratico e deciso a sovvertire gli equilibri tradizionali
Non è solo un problema di opinione pubblica, ma prima ancora di funzionalità del sistema democratico. Che giustamente attribuisce al mondo della comunicazione, al ruolo decisivo della politica e alla responsabilità del corpo sociale delle imprese e dei sindacati una funzione civile e uno scopo sociale. Il punto è che se tutti questi attori indispensabili della democrazia non si liberano dai luoghi comuni e dall’interesse elettorale di breve periodo e chi più chi meno aboliscono tutti un principio basilare di competenza, può accadere che su 120 miliardi di investimenti in essere pluriennali l’attenzione mediatica collettiva sia catalizzata dai 4 miliardi di investimenti sul Ponte sullo Stretto.
Può accadere che si finisca, di fronte ad ogni evidenza tecnica seria di segno contrario, per impalcare il solito polverone del non fare che appartiene all’Italia fanalino di coda trentennale della crescita di prima del Covid. Che è, peraltro, l’esatto opposto di quella di oggi stabile sul podio più alto in Europa dalla pandemia ai nostri giorni e con una spesa pubblica per investimenti passata da 10 a 50 miliardi che viaggia verso gli 80 e vuole ricreare quelle condizioni di contesto materiali e immateriali indispensabili per stabilizzare la nuova crescita e regalare all’Europa l’unico processo possibile di espansione duratura della sua economia.
Facendo, peraltro, del nuovo Mezzogiorno italiano un concentrato di capitale umano di qualità, di ricerca e di manifattura usando la doppia leva strategica del grande hub energetico delle due sponde del Mare nostrum e quella finanziaria assicurata dal Next Generation Eu con il bond europeo post pandemico e da un contesto geopolitico di guerre senza fine che ha già fatto impennare le spese pubbliche cinese e americana e dovrà, giocoforza, riguardare con taglie analoghe anche l’Europa. Perché questa è la stagione di Keynes, non dei ragionieri dello zero virgola del deficit Pil o di allarmi fuori dalla storia sui debiti degli Stati ignorandone sistematicamente le ricchezze private.
Un Paese che vuole essere democratico e punto di riferimento del Mediterraneo in un mondo capovolto che lo colloca geograficamente in una postazione strategica non può permettersi di essere ignorante, nel senso ovviamente di non conoscere la materia di cui parla, né negli elettori né negli eletti. Perché bloccare la realizzazione dell’opera già cantierata del Ponte sullo Stretto, con appena mezzo secolo di ritardo, significa anche bloccare la sfida tecnologica e ingegneristica che può rappresentare la stessa voglia di riscatto del Dopoguerra italiano quando un Paese agricolo di secondo livello si trasformò con le sue teste, i suoi cuori e le sue mani in un decennio in un’economia industrializzata e in due decenni in una potenza economica mondiale.
Quella stessa voglia di riscatto, che può oggi avere nel Ponte, la sua bandiera simbolo della grande sfida globale che ha come posta in gioco la guida di questo nuovo mondo meno globalizzato che vede capovolgere i suoi equilibri tra il Nord democratico sempre più piccolo e bloccato nel pantano dei veti ideologici e il Sud del mondo sempre più grande, autocratico e deciso a sovvertire gli equilibri tradizionali.
È interesse di tutti che il Mezzogiorno non solo cresca, ma sia il perno di questo cambiamento. Non è più l’area marginale dell’Italia, ma la punta avanzata dell’Europa nello snodo più delicato del nuovo mondo. Questo Mezzogiorno appartiene all’Europa e l’Europa ha tutto il vantaggio di concepirlo come la sua punta più avanzata. Il Ponte sullo Stretto può essere la bandiera del nuovo riscatto italiano che non unisce solo la Sicilia al Paese continentale portando nuovo Pil, ma può essere anche l’argine indispensabile all’ondata del Sud che travolgerebbe altrimenti il Nord disattento. Nei momenti di passaggio in cui si attuano le grandi trasformazioni della storia, la scintilla generata da un’opera di alta ingegneria che si incunea in un quadrante geopolitico in grande ebollizione può fare la differenza per l’Europa e per l’Italia.
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