Il presidente del Consiglio Mario Draghi col ministro dell'Economia, Daniele Franco
3 minuti per la letturaNEL cielo italiano i nuvoloni della tempesta perfetta da economia di guerra ci sono tutti. Abbiamo un governo che ne capisce e dimostra sul campo di essere consapevole che l’improvvisazione è la peggiore delle risposte possibili. Il problema, però, è serissimo e nasconderlo in una democrazia moderna non è un atto di responsabilità, ma di irresponsabilità.
1) Abbiamo un semestre di sostanziale recessione tecnica perché la previsione di crescita dell’1,9% del centro studi di Confindustria si confronta con un effetto trascinamento sul 2022 della super crescita del 2021 pari al 2,3%. Quindi, al netto di questo contributo che è il frutto delle scelte azzeccate del governo Draghi contro la pandemia e del conseguente boom di consumi, siamo a un sostanziale -0,4%.
2) Un sondaggio della medesima Confindustria condotta su imprese con più di 250 dipendenti segnala che questo panel ritiene il rischio di blocchi sostanziali della produzione nei prossimi mesi altamente probabile. Il panel riguardante aziende più forti della media accresce il rischio e rende la sostanziale recessione prospettata più grave di una recessione normale perché è frutto di un blocco di produzione in presenza di ordini quando, cioè, alle imprese dovrebbe convenire produrre invece di un normale blocco per mancanza di ordini. Dovrebbero chiudere le imprese per un po’ in quanto il caro costi da economia di guerra li costringerebbe a produrre in perdita. Confindustria dixit.
3) L’inflazione italiana al 6,7% è un dato di fatto che esprime un numero più basso di quello olandese già a doppia cifra ma si inserisce in un contesto geopolitico dove l’Europa fa fatica a mettere un tetto al prezzo del gas, dove i 20 miliardi di compensazioni già messi in campo dal governo italiano risultano insufficienti. C’è di più: dove tutte le negoziazioni in atto per ottenere compensazioni adeguate in sede europea tali da proteggere il potere d’acquisto delle famiglie che è stato la base della crescita del 2021 e tali da impedire le chiusure forzate delle imprese sembrano avere tempi europei che non coincidono con quelli delle necessità italiane.
4) Il contributo alla crescita che quest’anno l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) avrebbe dovuto dare in termini di investimenti pubblici rischia di slittare un po’ perché occorrerà procedere all’aggiornamento di tutti i prezzi delle gare a causa del caro materie prime e bene fa il ministro dell’Economia, Franco, a tenere la barra dritta perché se si dovesse dare credito a chi chiede di rinegoziare tutto lo slittamento non sarebbe più di qualche mese ma di qualche anno e quindi si perderebbe del tutto la storica occasione. Chi parla non ha nemmeno idea del lavoro certosino fatto di negoziazione con l’Europa riga per riga e rifarlo oggi renderebbe tutto impossibile, meglio adeguarsi, aggiustarsi con velocità e concentrarsi sulle capacità della macchina esecutiva.
5) Ha fatto molto bene il governo a rinviare di qualche giorno il documento di economia e finanza (Def) non tanto per dovere tenere conto dell’errore dell’Istat di qualche centinaia di milioni sul Pil nominale quanto piuttosto per monitorare al meglio i parametri reali di riferimento di finanza pubblica e mettere in atto tutte le misure possibili per attenuare gli impatti recessivi anche se l’obiettivo di recuperare i livelli pre pandemia dovrà comunque slittare di un anno.
Il punto, però, è che bisogna prendere atto che gli scenari di guerra hanno comportato una modifica strutturale dello scenario economico perché l’inflazione a giugno può solo salire, il caro energia e il caro alimentare che sono il primo effetto collaterale delle sanzioni di Europa e America alla Russia non solo non vengono meno da un momento all’altro, ma determinano una modifica strutturale del quadro perché cambiano i punti di riferimento della politica economica e cambiano i riferimenti della catena del valore della produzione globale, della politica monetaria europea e dei tassi dei titoli di stato italiani. Non sono bazzecole, ma di questo parliamo domani.
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