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L’esercito di Israele colpisce la missione Onu in Libano, gli errori Onu e le ragioni di Israele per cui Unifil è un ostacolo
L’altroieri le forze israeliane hanno colpito le postazioni della missione Onu in Libano UNIFIL – acronimo di United Nations Interim Force In Lebanon (Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite, in italiano) – ferendo due soldati di origine indonesiana e creando seri danno alle basi italiane. L’UNIFIL ha affermato che “qualsiasi attacco deliberato alle forze di peacekeeping costituisce una grave violazione del diritto internazionale umanitario”.
Da un punto di vista diplomatico si tratta certamente di un fatto grave. Se si potesse sorridere sembrerebbe il classico caso in cui si “spara sulla Croce Rossa”. Ma non è proprio il momento giusto per fare delle battute. Il ferimento dei caschi blu dell’ONU ha suscitato infatti la condanna di diversi paesi, tra cui Italia, Francia e Irlanda, che hanno tutti contingenti nella missione di mantenimento della pace dell’ONU in Libano.
Non c’è dubbio che questa condanna sia comprensibile e giustificata sotto tutti i punti di vista: politico, giuridico, etico. L’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri Josep Borrell ha definito l’attacco israeliano un “atto inammissibile”. In un post su X ha chiarito: “Un altro limite è stato pericolosamente oltrepassato in Libano. Bombardamenti delle IDF contro i peacekeeper delle Nazioni Unite le cui posizioni sono note. Condanniamo questo atto inammissibile, per il quale non vi è alcuna giustificazione”. Il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto, forse con qualche eccesso, ha evocato per il caso la fattispecie del “crimine di guerra”.
L’ATTACCO DI ISRAELE ALLE POSTAZIONI ONU E IL DIRITTO INTERNAZIONALE
Insomma, è chiaro che nella vulgata comune imposta dal diritto internazionale appare evidente a tutti che il personale delle missioni dell’ONU non dovrebbe mai essere colpito. Ma, nonostante il dissenso internazionale, ieri è successo di nuovo. “Questa mattina, per la seconda volta nelle ultime 48 ore, il quartier generale dell’Unifil a Naqoura è stato colpito da esplosioni”, scrive su X la missione Unifil in Libano, confermando che “due peacekeeper sono rimasti feriti dopo due esplosioni avvenute nei pressi di una torre di osservazione. Un peacekeeper ferito è stato portato in un ospedale a Tiro, mentre il secondo è in cura a Naqoura”. Sempre ieri, “diversi muri a T nella nostra posizione ONU 1-31, vicino alla Linea Blu a Labbouneh, sono caduti quando un carro armato dell’Idf ha colpito il perimetro e i carri armati delle Idf si sono mossi in prossimità della posizione Onu”.
Al di là dello scandalo, bisognerebbe però chiedersi per quale motivo Israele agisca così. Sfidando di fatto l’impopolarità e rischiando un isolamento diplomatico sempre più profondo.
Appare evidente che la missione UNIFIL è un fallimento sotto ogni profilo. Istituita dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel 1978 (risoluzione 425) con lo scopo di definire e garantire il rispetto del confine tra Israele e Libano, avrebbe dovuto favorire il raggiungimento di una tregua stabile tra i due paesi. Ma 10mila soldati provenienti da 50 paesi diversi – mille sono italiani – non sono bastati. UNIFIL fu creata dopo che Israele invase il Libano per la prima volta come ritorsione agli attacchi che l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) sferrava contro il territorio israeliano usando il sud del Libano come base. Le tensioni continuano da allora, a dispetto della missione Onu.
IL MANDATO RINNOVATO DOPO LA GUERRA DEL 2006
Nel 2006, dopo un’altra guerra tra Israele ed Hezbollah, il mandato fu rinnovato e ampliato con la risoluzione 1701, approvata dopo un’altra invasione israeliana del paese: secondo la risoluzione, l’UNIFIL ha il compito di monitorare la cessazione delle ostilità con l’aiuto dell’esercito regolare libanese, l’unico in teoria ad avere la facoltà di operare e maneggiare armi nel sud del Libano. In realtà, quel territorio è di fatto controllato da Hezbollah, che lo ha militarizzato casa per casa. Negli anni il potere di Hezbollah è cresciuto. Il suo arsenale è aumentato e i lanci di missili e razzi contro Israele sono diventati quotidiani e innumerevoli. I risultati della missione sono pari a zero. E le dichiarazioni ufficiali dell’UNIFIL sfiorano il ridicolo quando affermano che il contingente è al sicuro nei bunker. Sembra che il primo obiettivo della missione sia proteggersi, non certo proteggere la pace.
A questo punto, appare evidente che Israele veda questa missione come un ostacolo alle sue operazioni anti-Hezbollah. Come si legge in un comunicato stampa dell’Ambasciata d’Israele in Italia, “l’organizzazione terroristica Hezbollah ha installato indisturbata le sue capacità militari vicino alle basi Unifil”. Inoltre,“da tempo Hezbollah attacca Israele operando nei pressi di queste basi, sparando sul territorio israeliano e scavando tunnel nelle vicinanze delle suddette basi per trascinare Israele in qualche provocazione”. Insomma, è abbastanza ragionevole pensare che Hezbollah voglia nascondersi e proteggersi nelle vicinanze della base per evitare di essere colpito. La presenza fisica di UNIFIL rappresenta così un ostacolo alla manovra dell’esercito di Israele e impedisce all’IDF di accerchiare le posizioni di Hezbollah.
L’ONU, UNIFIL E LE OPERAZIONI MILITARI DI ISRAELE
Addirittura, UNIFIL pretende di monitorare la conduzione delle operazioni militari per eventualmente accusare Israele di “crimini di guerra”. Ma nessuna iniziativa similare è stata adottata nei confronti degli attacchi di Hezbollah che hanno mirato direttamente ai civili residenti nel nord di Israele. Ecco perché Israele continui a chiedere il ritiro delle truppe onusiane. Lo ha chiesto più volte anche al ministro degli esteri italiano Antonio Tajani, che in tutta la vicenda è apparso colpevolmente assente. Attaccandole basi, Israele manda un messaggio nemmeno tanto obliquo: invita i governi partecipanti a ritirarsi da una missione che fin qui si è dimostrata inutile.
A tutto ciò si aggiunge il progressivo deterioramento dei rapporti tra Onu e Israele. Non solo UNIFIL non protegge Israele dagli attacchi di Hezbollah, ma sappiamo pure da tempo che alcuni membri di Hamas lavoravano per l’agenzia Onu per i rifugiati e che probabilmente alcuni di loro sono stati coinvolti nell’attacco del 7 ottobre. Inoltre, le recenti prese di posizione del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres sono sempre state unidirezionali nella condanna di Israele.
In altre parole: nessuna disapprovazione pubblica nei confronti degli attacchi dell’asse della resistenza (l’attacco di Hamas del 7 ottobre fu persino giustificato con ragioni di ‘contesto’), massimo biasimo nei confronti degli atti di autodifesa di Israele. Il messaggio implicito dello Stato ebraico è: l’Onu viene usato per colpirci e nessuno si lamenta, adesso basta, facciamo da soli. Non è affatto uno scenario rassicurante, anche perché aumenta l’isolamento politico di Israele, ma l’Onu e i paesi che lo sostengono hanno in questo scenario una buona parte di responsabilità.
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