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Sul tavolo della presidente von der Leyen è arrivato il lavoro messo a punto dal “gruppo di dialogo strategico” sulla politica agricola con una serie di suggerimenti per il piano sul futuro. La cassaforte europea del settore vale 386.602,8 milioni di euro tra il 2021 e il 2027


La partita è difficile. E sarà un banco di prova per affermare il peso del Governo italiano. L’agroalimentare ha conquistato una poltrona in prima fila, primo dossier affrontato che ha preceduto anche il vertice sulla spinosa materia dei fondi strutturali. È stato infatti presentato alla presidente Ursula von der Leyen il lavoro messo a punto in sei mesi dal “gruppo di dialogo strategico” con una serie di suggerimenti per il piano sul futuro dell’agricoltura che la presidente si è impegnata a presentare nei primi 100 giorni della nuova Commissione.

Si apre dunque un confronto serrato perché il documento, lungo e complesso, presenta molte criticità che potrebbero penalizzare l’Italia. Una fase delicata in cui il nostro Paese dovrà dimostrare una forte capacità negoziale commisurata all’importanza che ha assegnato al settore agroalimentare balzato, sin dall’inizio della legislatura, tra le priorità del governo Meloni. Simbolo di quella sovranità alimentare (inserita nel nome del ministero agricolo) a cui si tende in ambito nazionale ed europeo e leva anche della politica estera tenuto conto che il settore è tra i punti cardine del “Piano Mattei” per una nuova politica nei confronti del Continente africano.

La presenza a Bruxelles in una posizione di rilievo di Raffaele Fitto potrà sicuramente dare un robusto contributo. Il ministro ha dimostrato sensibilità nei confronti del settore agroalimentare raddoppiando la dote del Pnrr. Anche in questo caso ha dovuto negoziare con Bruxelles. Ma ora la posta in gioco è molto alta. Uno dei punti critici del documento che dovrebbe essere la base del Piano von der Leyen riguarda la Politica agricola comune. La cassaforte europea del settore agricolo, vale 386.602,8 milioni di euro per il periodo 2021-2027.

È già iniziato il dibattito per la riforma, ma soprattutto l’attenzione è puntata sulle risorse. Da sempre una parte dei partner chiede di ridimensionare i fondi per dirottarli verso altre finalità. Le premesse della nota elaborata non sono affatto incoraggianti. L’indicazione è di limitare gli aiuti Pac (Politica Agricola Comune) assegnandoli solo agli agricoltori bisognosi. Tagliando così i sostegni alla competitività.

Una indicazione pericolosa che potrebbe rischiare di portare a una Politica agricola di stampo assistenziale che contraddirebbe le premesse dello studio e cioè l’impegno verso il rafforzamento integrato della sostenibilità economica, ambientale e sociale, la creazione nei mercati del valore lungo la filiera, l’accelerazione verso sistemi agroalimentari futuri più sostenibili, competitivi, redditivi e diversificati. E anche il riferimento a una migliore tutela del settore nell’ambito delle politiche commerciali presuppone che ci sia un agroalimentare forte in grado di misurarsi sui mercati globali, non un’attività assistita e di semplice presidio.

L’obiettivo è di ottenere più soldi da Bruxelles alla luce delle nuove sfide del settore e del suo ruolo di garanzia economica e sociale anche in considerazione delle forti tensioni internazionali che hanno reso gli approvvigionamenti alimentari fondamentali nelle strategie dei Paesi. Ma limitare la platea dei beneficiari è in assoluto contrasto con gli obiettivi sbandierati. E l’Italia che di questi obiettivi si è fatta paladina dovrà difenderli con i denti. E non solo a livello di ministri agricoli, perché il bilancio è materia dei capi di governo.

Giorgia Meloni sarà chiamata a scendere in campo direttamente non solo per tutelare il “tesoretto”, ma addirittura per implementarlo. Perché senza soldi non si innova e soprattutto non si garantiscono redditi e competitività. Un banco di prova duro che richiederà la capacità di creare solide alleanze in grado di rintuzzare le derive anti-agricole. A Bruxelles infatti, e questo la storia lo insegna, non si può andare con la spada sguainata. Occorre giocare di astuzia e fioretto. Attaccare serve a poco. L’imperativo non può essere che uno solo: negoziare. Ma le troppe polemiche riservate al “governo” Ue rischiano di rendere molto difficile il compito.

Di punti oscuri il documento ne contiene molti. Oltre al principale aspetto economico (eventuali tagli non farebbero che favorire paesi come gli Stati Uniti che stanno riempiendo di dollari i farmers o la Cina che sta facendo volare la sua produzione agricola) ci sono altre indicazioni “sospette”. Per esempio l’attacco agli allevamenti. Intensivi, certo, ma quando si punta comunque a sostenere solo le produzioni vegetali, magari con agevolazioni fiscali, è evidente che anche per un settore zootecnico come quello italiano sostenibile le ripercussioni sarebbero gravi. In termini economici, si pensi ai big nel campo dei formaggi e dei prosciutti, ma anche di presidio e tutela del territorio.

Già la precedente Commissione aveva tentato la mossa di mettere nell’angolo mandrie e pascoli con alcune direttive la cui conseguenza sarebbe stata l’abbandono da parte degli allevatori. Poi le proteste che avevano investito Bruxelles in piena campagna elettorale avevano convinto von der Leyen a compiere un passo indietro, ritirandole. La presidente aveva anche assicurato che mai più sarebbero state assunte decisioni contro gli agricoltori di cui aveva esaltato il ruolo fondamentale. Ora è il momento a Bruxelles di passare dalle promesse (facili) ai fatti (difficili).

Coldiretti si è appellata a “un deciso cambio di rotta al momento non riscontrabile nel documento”. Fondamentale per l’organizzazione agricola è “aumentare le risorse finanziarie e ribadire la centralità della sicurezza alimentare come parte integrante della sicurezza europea”. Anche per l’amministratore delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia è grave la mancanza di una specifica menzione delle maggiori risorse economiche indispensabili per gli investimenti e per il supporto necessario a dare maggiore competitività alla filiera agricola europea”. Ma soprattutto restano irrisolte le incongruenze tra le politiche ambientali e quelle della produzione agroalimentare.


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