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Alla fine il governo Meloni ha chiuso con la scelta di Raffaele Fitto come commissario italiano nella Commissioni bis di Ursula Von Der Leyen


Attesa e più volte annunciata, da Palazzo Chigi è giunta l’indicazione da parte del governo italiano. L’attuale ministro dell’esecutivo Meloni Raffaele Fitto, titolare dell’importante dicastero degli Affari europei (con deleghe anche al Pnrr, al Sud e alla Coesione), sarà il commissario italiano nella prossima Commissione von der Leyen, al netto della conferma dopo le temute audizioni del Parlamento europeo. Una premessa è d’obbligo: non si vuole certo sottostimare l’importanza del passaggio. Da sottolineare anzi che, con la scelta di Fitto, il governo Meloni sembra per una volta in sintonia con le opposizioni, dal momento che il profilo dell’ex governatore della Puglia è sostenuto da un unanime apprezzamento a livello nazionale e lo stesso si può riscontrare a Bruxelles.

Altro discorso sarà vedere come saranno distribuite all’interno del governo Meloni le sue importanti deleghe, ma questo tema ci porterebbe fuori strada. La doppia considerazione che si vuole cercare di introdurre è un’altra. E cioè il tentativo di andare oltre la dimensione interna del “dossier Fitto” e chiedersi prima di tutto cosa comporti per il nostro Paese l’arrivo del ministro nel collegio dei commissari. E in secondo luogo che tipo di Commissione e alla guida di che tipo di Ue si troverà ad operare il suo bis von der Leyen e con lei il “nostro Fitto”.

LA SCELTA DI FITTO E IL QUADRO DELLA SITUAZIONE

Per quanto riguarda il primo punto, mancano ancora alcuni tasselli per avere un quadro chiaro. Bisognerà attendere la conferma delle deleghe del nuovo commissario Fitto. Quasi certamente ci sarà quella al Recovery unita a quella alle Politiche di coesione. Probabilmente non ci sarà il Bilancio, sicuramente non l’Economia. In secondo luogo, sarà necessario capire se dovesse arrivare o meno una vicepresidenza esecutiva.

IL PESO DELLA SCELTA DI FITTO COMME COMMISSARIO EUROPEO

In caso positivo il commissario Fitto avrebbe il controllo su tre o quattro colleghi e il significato politico sarebbe senza dubbio importante per Roma e di riflesso per Giorgia Meloni, mettendo in larga parte a tacere chi ha insistito nelle ultime settimane nello stigmatizzare le sue scelte in Consiglio (astensione sul bis di von der Leyen) e quelle dei suoi eletti nel voto a Strasburgo. Una volta chiariti questi passaggi ne resta comunque uno, sul quale già oggi è però possibile spendere due parole. Cosa è stato dall’autunno 2022 ad oggi Fitto per l’Italia a Bruxelles?

In larga parte un ministro competente sui principali dossier, impegnato a tempo pieno nel tentativo (molto spesso riuscito) di confermare l’europeismo italiano, spesso messo a rischio dalle intemperanze di più o meno rilevanti membri del governo e della maggioranza. Pensare che dalla fine del mese di ottobre Fitto vada a svolgere lo stesso ruolo, ma all’interno della nuova Commissione von der Leyen, significa aver compreso poco o nulla dei funzionamenti istituzionali dell’Ue.

PER FITTO QUESTA SCELTA È UNA NUOVA ESPERIENZA “IN PIENA INDIPENDENZA”

Per quello che sarà l’ex ministro Raffaele Fitto inizierà una nuova esperienza nel corso della quale egli agirà “in piena indipendenza”, avendo come obiettivo imprescindibile quello di “tutelare l’interesse generale dell’Unione europea”. Sarebbe più che opportuno, dunque, non accreditare illusioni di una sorta di “tutor” italiano trasferito a Bruxelles. Peraltro il recente passato, si pensi a Mario Monti ma anche allo stesso Paolo Gentiloni, dovrebbero aver ampiamente dimostrato quanto sia importante per i singoli commissari costruirsi un proprio profilo e una propria autorevolezza extra-nazionali.

Per cercare di rispondere al secondo quesito occorre allargare un minimo l’obiettivo e passare da una visione centrata su Fitto, ad una più larga relativa al nuovo quinquennio di von der Leyen. Anche in questo caso si potranno fare considerazioni meno episodiche una volta completata la sua “squadra”. Al momento si hanno delle impressioni e qualche certezza determinata da alcune criticità nazionali.

Le impressioni vanno tutte nella direzione di una presidenza piuttosto debole, prima di tutto perché von der Leyen ha dovuto concedere non poco per garantirsi una conferma per nulla scontata. I primi passi sembrano confermare tale sensazione. Un esempio tra gli altri è relativo a ciò che sta accadendo sulla promessa di parità di genere tra i 27 membri della Commissione operata al momento della sua conferma dalla Presidente in pectore. Ciascun governo avrebbe dovuto fornire due nomi (un maschio e una femmina), proprio per dare a von der Leyen la possibilità di bilanciare possibili squilibri.

IL PROBLEMA DELLA PARITÀ DI GENERE

Questo non è mai avvenuto e al momento il numero di componenti femminili è fermo ad un quarto del numero dei commissari. Difficilmente nei prossimi giorni si riuscirà a sanare la situazione. Ma un altro esempio che fa pendere la bilancia nella direzione di una presidenza non così autorevole è quellodelle vicepresidenze esecutive. I rumors parlano della volontà di von der Leyen di aumentare il numero di tali vicepresidenze, così da soddisfare “tutti gli appetiti”. Con la conseguenza di svuotare di effettivo valore e rilevanza tali incarichi. Nel complesso l’impressione è quella di una nuova presidenza che punti ad un livello tale di consensualità da finire per tracimare nell’immobilismo. A queste impressioni si devono poi aggiungere alcuni dati oggettivi di contesto, riassumibili in due vere e proprie “patologie” con le quali si trova a fare i conti la nuova Commissione von der Leyen.

Da un lato si deve segnalare la cronica impasse dell’asse franco-tedesco. Doppia crisi, nel senso di funzionamento e rapporto tra Berlino e Parigi e allo stesso tempo crisi interna contemporaneamente politica ed economica) dei due contesti nazionali. Parigi è senza Primo ministro da un mese e mezzo, con la spada di Damocle di una procedura per deficit eccessivo e una complicata legge di bilancio tutta da impostare. A Berlino l’economia è in recessione e il Paese è stravolto dalle tensioni successive ai drammatici fatti di Solingen, carburante inatteso per AfD, a rischio vittoria nelle prossime elezioni regionali nell’est del Paese.

LA FINE DELL’ILLUSIONE DI UNA UNIONE EUROPEA GEOPOLITICA

Dall’altro lato non si può tacere la fine dell’illusione di un’Unione europea “geopolitica”, stretta nella tenaglia Kiev-Gaza. Nello scontro Borrell-Orban, unito ai malumori tra Paesi a favore di un sostegno totale a Kiev e quelli come l’Italia (ma non solo) “accanto a Kiev ma non contro Mosca”, troviamo lo specchio frantumato dell’impossibilità di un minimo comune denominatore europeo in politica estera e di difesa. Stesso discorso è applicabile alla complessiva gestione europea del dopo 7 ottobre 2023 nell’area mediorientale.

L’intervento Ue per cercare di negoziare una tregua di alcuni giorni a Gaza per permettere un ciclo intensivo di vaccinazioni infantili ben rappresenta la vocazione “umanitaria” (benvenuta, ci mancherebbe altro!), ma non certo “geopolitica” delle istituzioni europee. A poco serviranno la sicura buona volontà del nuovo Alto rappresentante e la possibile comparsa tra i commissari di uno con delega alla Difesa. Se Berlino e Parigi non risolveranno le loro drammatiche crisi e se non arriverà un colpo di coda nella direzione di una nuova cooperazione rafforzata (sul modello della moneta unica) su politica estera e difesa, il “nostro Fitto” sarà parte di una Commissione destinata ad essere ricordata soltanto per l’inesorabile discesa del Vecchio Continente e del suo processo di integrazione nel cono d’ombra dell’irrilevanza internazionale.


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