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Kamala Harris si scontrerà ufficialmente con Donald Trump alle presidenziali americane; l’Europa segue con interesse e curiosità – nella speranza che il futuro presidente si faccia portavoce degli interessi europei – ma deve tifare per se stessa


La chiusura della convention dei Democratici americani, con la vera e propria “incoronazione” di Kamala Harris quale prossima candidata contro Donald Trump alle presidenziali di inizio novembre, è seguita con grande entusiasmo dai media d’Europa. Da sempre il voto che decide l’inquilino della Casa Bianca è vissuto nel vecchio continente con uno strano mix di curiosità e partigianeria. Ma soprattutto di speranza che il futuro presidente si faccia portavoce dei desideri e degli interessi europei, prima che di quelli di casa propria. In altre parole, sembriamo non riuscire ad accettare che il “comandante in capo” americano sia eletto dai propri cittadini in larga parte seguendo dinamiche interne al proprio contesto nazionale.

È evidente che la “Kamala-mania” che sembra aver travolto le opinioni pubbliche europee è legata al timore di un possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Avendo già vissuto quattro anni di complicate relazioni euro-atlantiche tra il 2016 e il 2020, in Europa si è anche disposti a non soffermarsi troppo sulle sfumature di una possibile presidenza Harris, personaggio sino al ritiro di Joe Biden non certo ricordato per spessore e acume politico.

Sul profilo di Harris, così come sulle sue specificità (qualcuno ha parlato di una via di mezzo tra Obama e Biden) è giusto che intervengano gli esperti di politica statunitense. Altro discorso è tentare una riflessione a proposito dello stato di salute del Vecchio Continente nel momento in cui si troverà a fare i conti, in ogni modo, con un nuovo presidente statunitense, si tratti del tycoon pluri-indagato o si tratti della vice di Biden, ben poco visibile nel corso del suo mandato.


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