I disastri della guerra in Ucraina
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La controffensiva di Kiev fa anche emergere il carattere dell’Italia, che interpreta il ruolo di Don Abbondio della politica europea.
La controffensiva di Kiev in territorio russo non ha soltanto scatenato la crisi di nervi di Vladimir Putin che, nel febbraio del 2022, pensava di chiudere in pochi giorni la pratica del controllo totale dell’Ucraina e oggi viceversa si ritrova nudo nelle sue debolezze e contraddizioni, impelagato in un conflitto lungo e dispendioso dal quale rischia di uscire molto peggio di come vi era entrato. E la controffensiva di Kiev fa anche emergere il carattere nazionale dell’Italia, che si squalifica ogni giorno di più sul piano delle relazioni internazionali, ridotta a interpretare il ruolo di Don Abbondio della politica europea.
“Come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro”: così Alessandro Manzoni descriveva quel prete vigliacco che tanto bene rappresenta, secoli dopo, l’indole politica di un’intera classe dirigente. Nella vicenda dell’attacco a Kursk, il vaso di terracotta è proprio l’Italia, tremebonda rispetto alla legittima reazione ucraina, in un coro unificato di pusillanimi che unisce i rappresentanti della destra e della sinistra. Mentre i vasi di ferro sono gli alleati dell’Italia – gli Stati Uniti e i paesi europei – che, di fronte all’ottusa e crudele aggressione del Cremlino, riconoscono le ragioni del governo di Volodymyr Zelensky a difesa della libertà e della dignità del suo popolo.
In questi giorni, spaventati dalle possibili ripercussioni dell’attacco a Kursk, gli esponenti principali del governo che proclama ancora di sostenere l’Ucraina hanno fatto marcia indietro, aumentando ulteriormente l’isolamento dell’Italia all’interno dell’Unione europea e smentendo ancora una volta la postura atlantista che Giorgia Meloni sembrava aver assunto al momento del passaggio di consegne con Mario Draghi.
TROPPI DON ABBONDIO VOLTANO LE SPALLE A KIEV
Il ministro della difesa Guido Crosetto dichiara che “nessun Paese deve invadere un altro Paese”, che l’attacco al territorio russo comporterà un peggioramento dell’aggressione di Mosca, che l’iniziativa di Kiev “allontanerà sempre di più la possibilità di un cessate il fuoco” e che le armi fornite dall’Italia possono essere utilizzate a scopo di difesa.
Dal canto suo, il ministro degli esteri Antonio Tajani rimarca il sostegno “senza e senza ma” all’Ucraina chiarendo allo stesso tempo che “l’Italia non è in guerra con la Russia” e che le armi italiane non possono essere impiegate oltre i confini ucraini. Poi, in visita in Svizzera, Tajani firma un accordo con il suo omologo nel quale i due paesi si impegnano a negoziati di pace che coinvolgano la Russia e rivolge un invito alla Cina affinché si adoperi per la mediazione con Mosca.
Posizioni quanto mai bislacche visto che il Cremlino non ha mai neppure considerato l’opzione del tavolo di pace mentre ha preteso fin dall’inizio la resa di Kiev come unica soluzione e visto che Xi Jinping è il principale alleato di Putin in questa guerra, fornendogli copertura geopolitica e dotazioni industriali utili a scopi militari.
Insomma, “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”, si potrebbe dire manzonianamente dei nostri don Abbondio istituzionali. Fin qui le loro dichiarazioni e iniziative scatenano un effetto comico lampante soprattutto se si guarda alle posizioni assunte dagli alleati sulla stessa vicenda.
LA COMMISSIONE EUROPEA CONFERMA IL PIENO SOSTEGNO
La Commissione europea, per esempio, ha confermato il sostegno pieno “a favore del legittimo esercizio da parte dell’Ucraina del suo intrinseco diritto all’autodifesa e degli sforzi per ripristinare la sua integrità territoriale e sovranità e per respingere e combattere l’aggressione illegale della Russia”.
Dal canto suo, il governo tedesco ha chiarito che le armi fornite dalla Germania all’Ucraina, dal momento della loro cessione, diventano proprietà dell’Ucraina e possono essere utilizzate come Kiev ritiene necessario e corretto.
Per Berlino, pertanto, non c’è alcun dubbio sulla legalità delle azioni sul territorio della regione di Kursk: il diritto internazionale prevede infatti la possibilità di condurre operazioni militari sul territorio del paese aggressore per proteggere il proprio Stato. Addirittura, secondo il capo della commissione difesa del Bundestag, Markus Faber, “l’aiuto militare tedesco all’Ucraina è il miglior investimento per la sicurezza dell’Europa, in quanto riduce ogni giorno il potenziale della minaccia russa”, né sussiste “alcun problema nell’utilizzo di veicoli blindati tedeschi sul territorio russo”.
La stessa chiarezza di pensiero si trova nelle dichiarazioni del premier della Polonia Donald Tusk. “Le azioni ucraine sono difensive. Quello che l’esercito e l’aeronautica russe stanno facendo in Ucraina reca i segni del genocidio e di crimini disumani. L’Ucraina ha tutto il diritto di fare la guerra in modo tale da paralizzare la Russia nelle sue intenzioni aggressive nel modo più efficace possibile”, ha detto il leader polacco.
KIEV E I DON ABBONDIO DELLA POLITICA ITALIANA
Alla resa dei conti, di fronte al rigore e al nitore delle posizioni europee e americane sulla questione, il governo italiano e la maggioranza di governo scelgono la postura più disonorevole, ispirata più dalla ricerca del consenso che dal rispetto del diritto internazionale.
In fondo, la radice della viltà di don Abbondio risiede nell’egoismo di chi si concentra sul proprio “particulare” mentre la stessa ipocrisia del personaggio letterario (in questo caso applicata alle armi difensive che non possono colpire il territorio russo) stabilisce, per dirla con Leonardo Sciascia, un “sistema di servitù volontaria” che si esercita a favore dei prepotenti (in questo caso, Vladimir Putin).
I partiti di governo sanno che molti italiani non vogliono spendere risorse pubbliche per regalare armi a Kiev e ancor più della “pace” in Ucraina, preferiscono “essere lasciati in pace”, anche a costo di cedere spicchi di libertà ai dittatori. Frasi come “il prezzo della guerra lo stiamo pagando noi”, oppure “non esiste la pace giusta”, oppure “negoziare è sempre possibile, basta stabilire il prezzo” sono tutte manifestazioni del medesimo fenomeno.
Ma in proposito bisognerebbe fare una domanda: qual è il ruolo di chi governa? Assecondare gli istinti particolaristici con una risposta populista o spiegare il senso di una scelta etica adulta?
LA VOCE DELL’OPPOSIZIONE NON SPICCA PER RAZIONALITÀ
Purtroppo, bisogna dire che in tutto ciò non spicca per razionalità nemmeno la voce dell’opposizione. Ad esclusione di alcuni casi isolati – per esempio, Lorenzo Guerini, ex ministro della difesa, o Carlo Calenda, leader di Azione – il centrosinistra appare timido e diviso sul punto.
Giuseppe Conte, presidente del M5s, rinnova la classica postura irresponsabile e antiatlantica del suo movimento: non è una novità. Stupisce piuttosto l’atteggiamento ipocrita del Pd, che da un lato proclama la necessità di sostenere l’Ucraina, e dall’altro, attraverso le terze file, condanna il governo di Kiev quando si difende come uno scenario di guerra prevede. Evidentemente pure Elly Schlein ama indossare i panni di don Abbondio.
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Frasi come “il prezzo della guerra lo stiamo pagando noi”, oppure “non esiste la pace giusta”, oppure “negoziare è sempre possibile, basta stabilire il prezzo” sono tutte manifestazioni del medesimo fenomeno.
E invece sono frasi che faccio convintamente mie. A dimostrazione della giustezza e buon senso di queste basta solo ricordare, riferendosi alla prima, che noi cerealicoltori e particolarmente noi del sud, stiamo pagando i mezzi di produzione (carburanti e fertilizzanti) tre volte più di quanto pagavamo prima delle sanzioni alla Russia e vendiamo il prodotto (grano duro) alla metà di quanto lo vendevamo per l’enorme afflusso nei porti pugliesi di grano duro di produzione russa veicolato tramite la Turchia.