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Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, candidato per un nuovo mandato

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Il declino fisico di Biden agita i Dem. Ma la ricerca di candidati alternativi è un rompicapo e così la campagna elettorale spaventa il mondo

IL VERTICE Nato di questa settimana consegna al mondo un messaggio definitivo. Il “mondo libero” non è disponibile a concedere alle autocrazie l’ultima parola sugli assetti geopolitici. Con una nuova dotazione di missili per Kiyv, necessari per intercettare e limitare i bombardamenti della Russia, i paesi dell’Alleanza dicono a Vladimir Putin che non potrà fare quel che vuole dell’Ucraina. Finora il despota russo ha puntato sulla stanchezza dei paesi europei e dell’America, certo che, dopo una prima reazione, le opinioni pubbliche avrebbero chiesto ai loro capi di governo di abbandonare l’Ucraina al proprio destino.

In realtà, salvo poche eccezioni come le destre europee filorusse riunite da Viktor Orbán nell’eurogruppo dei Patrioti per l’Europa (ma molto di più per Putin), la risposta del vecchio continente è stata compatta a difesa del popolo ucraino che ambisce a liberarsi del giogo di Mosca, del diritto internazionale violato dal Cremlino e dei valori della civiltà europea. Svezia e Finlandia hanno addirittura scelto di uscire dalla loro tradizionale neutralità per aderire alla Nato. Inoltre, ben 23 paesi aderenti (ma l’Italia non è tra questi) hanno raggiunto o perfino superato la famigerata soglia del 2% del pil come contributo alle spese dell’Alleanza atlantica. Non c’è alcun dubbio che il ruolo di Joe Biden in questo frangente storico così rilevante sia stato determinante. Il presidente americano, infatti, è stato il primo, nel corso della campagna presidenziale del 2020, a parlare del nuovo confronto globale tra democrazie e autocrazie. All’inizio in pochi gli diedero retta, ma i fatti degli ultimi anni, primo tra tutti l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, gli hanno dato ragione. E il modo di aiutare la resistenza ucraina e di condurre la coalizione dei sostenitori del governo di Kiev ha evitato finora una escalation del conflitto da parte occidentale, proprio mentre Mosca non si fa scrupoli a compiere atti criminali contro la popolazione civile, compresi i bambini.

Adesso però gli Stati Uniti si trovano di fronte a un bivio. E con loro tutto l’Occidente. Il declino fisico del presidente, purtroppo sempre più evidente, sta erodendo ogni giorno di più la sua credibilità con il rischio di avere alla fine un candidato inidoneo a ricoprire l’incarico più complesso e gravoso che esista nel mondo. L’eventuale successo a novembre di Donald Trump potrebbe comportare uno stravolgimento significativo delle attuali relazioni tra gli Usa e l’Europa. Il candidato repubblicano ha più volte annunciato che, in caso di vittoria, metterà fine alla guerra in Ucraina prima ancora di insediarsi alla Casa Bianca. Il che significa molto probabilmente il ritiro dagli impegni assunti fin qui dagli Stati Uniti a tutto vantaggio di Vladimir Putin. È proprio per questo motivo che gli stati europei hanno capito la necessità di aumentare le spese militari nell’ambito della Nato. Tuttavia, non è soltanto una questione di risorse. L’Europa resta un sistema confederale e non può ancora vantare l’unità politica che caratterizza gli Usa. Il ritiro degli Usa dal vecchio continente sarebbe pertanto una novità traumatica.

Ecco perché il tema della candidatura democratica alle presidenziale tocca da vicino le cancellerie europee e le loro società civili. Il rischio di una crisi di legittimazione del candidato dem e di una paralisi del sistema decisionale del suo partito in un anno cruciale come questo può comportare un effetto a catena formidabile. Subito dopo le ultime gaffe di Biden alla conferenza di chiusura del summit della Nato, un altro deputato democratico, Jim Himes del Connecticut, gli ha chiesto di farsi da parte. “Dobbiamo presentare il candidato più forte”, avverte Himes. La stessa richiesta viene da Eric Sorensen dell’Illinois e da Scott Peters della California. L’onda dei democratici che hanno perso la fiducia nel presidente – che nel frattempo ha stravinto le primarie – si ingrossa: ieri mattina, diventano in tutto 19 i membri democratici della Camera – più un senatore – che chiedono al presidente di farsi da parte. Intanto, dopo il disastroso dibattito televisivo, il vantaggio di Donald Trump nella corsa presidenziale del 2024 si è ampliato: il timore che Biden sia troppo vecchio per governare efficacemente ha raggiunto nuovi vertici tra gli elettori democratici e gli elettori indipendenti. Secondo l’ultimo sondaggio del New York Times e del Siena College, Trump è in vantaggio su Biden con il 49% contro il 43% tra i probabili elettori a livello nazionale, con un’oscillazione di tre punti a vantaggio del candidato repubblicano: è il vantaggio maggiore che Trump registra dal 2015. Crescono i dubbi sull’età e la lucidità del presidente. Nel sondaggio, la maggioranza di ogni gruppo demografico, geografico e ideologico, compresi gli elettori neri e coloro che hanno affermato che voteranno ancora per lui, ritiene che Biden, 81 anni, sia troppo vecchio per essere efficace. In generale, il 74% degli elettori lo considera troppo anziano per il suo compito, con un aumento di cinque punti percentuali dopo il famigerato dibattito. Le preoccupazioni sull’età del presidente in carica sono aumentate di otto punti percentuali tra i democratici e ora sono al 59 percento. La quota di elettori indipendenti che hanno affermato di pensarla così è salita al 79 percento, quasi pari a quella degli elettori repubblicani.

La sfiducia nei confronti di Biden cresce anche tra i donatori della campagna presidenziale democratica. Mark Pincus, imprenditore miliardario nel settore della tecnologia e dei videogiochi, sostiene che il partito ha bisogno di organizzare una competizione per sostituire Biden con un candidato più giovane con maggiori possibilità di battere Trump a novembre. “Non vedo a questo punto come il presidente possa mai aggirare la domanda di affidabilità per via dell’età”, dichiara Pincus al Financial Times. E propone “una convention aperta in cui qualcun altro possa subentrare”. Molti democratici cominciano a pensare che una competizione riaperta potrebbe scatenare nuove energie permettendo ai membri del partito di selezionare un candidato più giovane e affidabile. Un’ipotesi che Biden continua ad escludere. “Domani, se all’improvviso mi presentassi alla convention e tutti dicessero che vogliono qualcun altro, beh, questo è il processo democratico. Ma non accadrà”, ha assicurato il presidente. Allo stato attuale, in effetti, Biden è l’unico candidato riconosciuto con 3.949 delegati attualmente impegnati per sostenerlo. “Formalmente, secondo le regole del partito, potrebbe essere sostituito in qualsiasi momento fino all’appello nominale alla convention. Politicamente, è molto difficile sostituirlo, perché, a parte il suo vicepresidente, nessuna delle persone menzionate ha raggiunto una statura nazionale”, spiega alla Cnn Elaine Kamarck, ricercatrice senior presso la Brookings Institution e componente del Rules and Bylaws Committee del Partito Democratico americano. In queste settimane si fanno i nomi di diversi governatori democratici che però hanno il limite di essere molto forti nei loro stati ma poco conosciuti sul livello federale a questo punto del processo di candidatura. I quasi 4mila delegati nemmeno li conoscono.

L’unica figura che può godere della stessa notorietà del presidente è la sua vice Kamala Harris, che però dai sondaggi risulta di gran lunga perdente nel confronto con Trump. Dal 1984 la regola della convention dispone che i delegati devono “in tutta coscienza votare per la persona in rappresentanza della quale sono stati scelti”. Non sappiamo come potrebbe succedere diversamente perché, aggiunge Kamarck, “non abbiamo mai avuto una convention in cui molti delegati hanno votato contro la persona con cui sono stati eletti”. È molto difficile, in questa fase, capire come potrebbe funzionare una convention ribaltata, salvo che nel caso in cui fosse lo stesso Biden a scegliere di ritirarsi. A quel punto, ovviamente, i circa 4mila delegati dovrebbero necessariamente ripiegare su altri candidati. I giornali americani rivelano che il partito si sta interrogando sul da farsi a tutti i livelli. L’ex presidente Barack Obama e l’ex speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi hanno parlato in privato di Joe Biden e del futuro della sua campagna del 2024, condividendo le medesime preoccupazioni ma pare che nessuno dei due sappia cosa fare. Di sicuro stanno ricevendo molte pressioni dagli eletti democratici che vogliono far arrivare a Biden un invito esplicito a ritirarsi.

Per molti esponenti del partito la fine della candidatura di Biden sembra chiara e a questo punto si tratta solo di capire come andrà a finire. Qualcuno pensa che il ticket ideale per sostituire i candidati attuali sia composto da Gretchen Withmar, governatrice del Michigan, per la presidenza e da Sherrod Brown, senatore dell’Ohio, per il ruolo di vice. Entrambi sarebbero espressione di due swing states, cruciali perché il loro voto è volatile. Ma è ancora troppo presto per avere certezze sui nomi e per capire come finirà davvero la crisi dei democratici americani. Mentre l’allarme cresce tra i paesi alleati dell’America.


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