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LA FRANCIA si è espressa e una certezza è uscita da questo secondo turno delle elezioni legislative: non ci sarà una coabitazione tra il presidente Macron e un governo a guida Rassemblement National. Niente coabitazione Macron-Bardella. Da qui in poi si può riavvolgere il nastro e fare qualche considerazione a caldo. Quando la sera del 9 giugno scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha deciso, praticamente in solitudine, di sciogliere l’Assemblea nazionale e indire per il 30 giugno e 7 luglio successivo un nuovo voto legislativo, tra le molte incognite era presente anche un’unica certezza: si stava entrando in un terreno ignoto, per Parigi e più in generale per la stabilità e il futuro del processo di integrazione europeo.
Ora a 28 giorni di distanza qualche certezza in più la si può individuare. La prima di queste è la massiccia partecipazione elettorale con la quale il Paese ha risposto alla decisione, da molti giudicata assurda se non azzardata, dell’inquilino dell’Eliseo. E quando quasi sette francesi su dieci, in piena estate, decidono di recarsi al voto, dopo aver in un discreto numero già votato per le elezioni del Parlamento europeo tre settimane prima, sfido chiunque a parlare di crisi della democrazia nel contesto transalpino. È vero che il livello di democrazia di una nazione non si misura soltanto dal suo tasso di partecipazione elettorale, ma è certo che l’alto tasso di astensionismo è uno dei sintomi della sua scarsa salute. Più 20% rispetto alle legislative del 2022, una partecipazione che riporta agli anni Novanta del secolo scorso, è un dato con un significato da non trascurare.
Il secondo elemento è quello che si ricordava in apertura. Come amava affermare il compianto storico della politica René Rémond, al primo turno si sceglie e al secondo si elimina. Il verdetto è evidente: nella maggior parte dei duelli e dei triangolari i francesi, al secondo turno, hanno eliminato il candidato del Rassemblement National. Né maggioranza assoluta per il partito di Marine Le Pen e nemmeno maggioranza relativa. In attesa dei dati definitivi, quasi sicuramente il RN avrà il gruppo parlamentare più cospicuo dell’Assemblea nazionale, tra i 120 e i 150 deputati che, anche con il piccolo drappello di transfughi dalla destra gollista, sarà comunque lontano anni luce dalla maggioranza assoluta (289 seggi), ma anche dalla maggioranza relativa con la quale si è presentato a questo voto il governo Attal (250 seggi). Dunque, se vi è un perdente di questo secondo turno è certamente il Rassemblement National.
Il terzo elemento riguarda chi può legittimamente intestarsi la vittoria. Il Nouveau Front Populaire è la prima forza come numero di seggi e senza dubbio ha trainato la strategia di desistenze che è alla base della frenata del RN. I seggi del NFP oscillano tra i 170 e i 200, ma su questo punto una precisazione è d’obbligo. Siamo di fronte ad una coalizione di partiti, all’interno della quale i rapporti di forza tra l’estrema sinistra de La France Insoumise e la parte socialdemocratica e riformista (socialisti ed ecologisti) pende a favore di questi ultimi. LFI dovrebbe avere poco più di 70 eletti, il PS tra i 65 e i 70 e almeno 30 dovrebbero essere gli ecologisti. Tale dato potrebbe essere importante in vista della formazione di un governo di centro-sinistra o addirittura di un esecutivo che comprenda dai socialisti sino ai gollisti, passando per l’ex maggioranza macroniana. Il richiamo alla maggioranza uscente ci porta al quarto elemento distintivo di questo secondo turno, inatteso almeno quanto il flop del RN: la coalizione macroniana Ensemble (che ha al suo interno anche i centristi di Bayrou e dell’ex Primo ministro Philippe) è accreditata di un numero di deputati tra i 150 e i 170. Un netto arretramento rispetto al 2022, ma nel complesso un buon risultato considerati i dati del primo turno. Allo stesso modo inaspettato, quanto potenzialmente importante, è il numero dei seggi raccolti da Les Républicains. Ciò che resta della destra gollista, che non ha scelto l’accordo con Le Pen, è accreditato di un numero di seggi tra i 50 e i 60, che potrebbero essere determinanti per la futura maggioranza di governo.
Se questi sono i dati più rilevanti, si possono anche avanzare tre prime parziali considerazioni politiche. La Francia non è disposta a farsi governare dal Rassemblement National, un partito che metterebbe in discussione il contributo francese al bilancio comunitario, così come il sostegno a Kiev e il contrasto all’aggressione russa al modello liberal-democratico. Emmanuel Macron è un presidente con un basso livello di gradimento, rieletto in maniera già stentata nel 2022 e che ora dovrà fare i conti con una centralità parlamentare inedita per le istituzioni della V Repubblica. Ma è anche un Presidente che il 9 giugno 2024 ha osato rispondere ad una chiara vittoria del RN alle elezioni europee andando a verificare questa vittoria con un voto nazionale: il verdetto è stato chiaro. Non una vittoria per la sua maggioranza parlamentare, ma una sconfitta certa per il nazional-populismo rappresentato dal RN.
Ultima considerazione: quella che si delinea è un’Assemblea divisa, all’interno della quale occorrerà lavorare di cesello per costruire una maggioranza in grado di affrontare i molti dossier aperti. Quel processo di decostruzione della V Repubblica avviato proprio dal presidente Emmanuel Macron nel 2017 è tutt’ora in corso. Le prossime settimane ci diranno verso quale direzione evolverà.
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