Uno degli aerei americani dell'attacco in Yemen
5 minuti per la letturaServe la nuova governance globale di Nord e Sud del mondo richiesta da una colonia italiana di padri inascoltati – Ciampi, Prodi, Draghi – e si fanno i conti con la svolta storica evocata da Mattarella nel discorso di fine anno. L’attacco è di deterrenza contro l’Iran, ma si rivolge a Putin, al suo capo che è il nuovo Mao cinese, e ai sodali perché cessi la retorica del declino dell’Occidente. Non hanno il controllo del mondo e non possono riscrivere la geografia del commercio globale. Il crollo storico delle esportazioni cinesi è figlio della follia putiniana e la Cina non ha una liquidità infinita per fare fronte alla caduta del suo maggiore punto di forza.
IL MONDO è ormai segnato da due guerre globali, una in Ucraina l’altra in Medio Oriente, che si intrecciano ogni giorno di più. Perché pezzo dopo pezzo si allargano in cerchi concentrici dove le contrapposizioni dirette e indirette dilatano la loro sfera di influenza. Il rischio capitale è che assistiamo ormai inermi a una scintilla di guerra dopo l’altra con il suo carico terribile di morti e di paura e nessuno sa se si riuscirà a spegnere la scintilla o se la scintilla attizzerà il fuoco della terza guerra mondiale. Sono scintille certo, qui e là, attacchi mirati qui e là in territori a molti europei fino ad oggi sconosciuti, ma non è detto che l’ultima di queste scintille attizzi il fuoco che nessuno vuole.
Un primo quadrante, quasi dimenticato, è l’Ucraina nel cuore dell’Europa, dove la democrazia è stata colpita dal potere autocratico russo ponendo le basi di un conflitto di civiltà tra l’Occidente e il nuovo dominio militare-mercenario-finanziario russo-cinese che ha acceso la sua ipoteca sui Sud del mondo e opera con spirito, cultura e strategia tipici delle oligarchie se non delle dittature. Più si incendia il Medio Oriente, più Putin ha mano libera in Ucraina, più emerge il problema del cambio degli equilibri internazionali.
Americani e inglesi attaccano nello Yemen perché avvertono che non si può rimanere spettatori davanti alle continue punture di spillo che arrivano dal fronte opposto e incentivano l’immagine che l’Occidente ormai non è più in grado di reagire e sopporta tutto. Questo attacco, quindi, ha funzioni di deterrenza ed è in prima battuta una risposta all’Iran. Né si può non pensare che due grandi democrazie decidano un raid di caccia e missili in Yemen per dare anche una risposta indiretta a Putin che deve almeno capire che non può continuare con la retorica che l’Occidente è una civiltà in declino, che gli europei sono rammolliti, che americani e inglesi non sono capaci di reagire. Il senso profondo dell’attacco anglosassone allo Yemen è quello di dire a Putin, al suo capo che è il nuovo Mao cinese, e a tutti i loro sodali minori più o meno ricchi sempre autocratici, che è bene che si tolgano dalla testa questa illusione. Che non possono pensare di avere in mano il controllo del mondo, di continuare a indebolire l’economia occidentale colpendo, a partire dal Mar Rosso, i traffici marittimi che sono a loro volta una componente essenziale di questa economia. Che non possono, per capirci, riscrivere la geografia del commercio globale e che riflettano piuttosto sul crollo delle esportazioni cinesi. Sono l’effetto diretto della follia putiniana e costringono anche Xi Jinping a fare i conti con il fatto che non esiste una liquidità infinita per fare fronte a una caduta di dimensioni storiche del loro tradizionale maggiore punto di forza.
Il messaggio che l’Occidente vuole mandare al nuovo blocco autocratico è che non si può tollerare oltre questa strategia incendiaria ormai globale e che se il gioco si fa duro l’Occidente c’è, esiste, è pronto a combattere. Avendo resa chiara questa cosa che misura la delicatezza massima della situazione e obbliga a usare l’arma ancora più delicata della deterrenza mondiale, è bene che a questo punto gli altri ci pensino bene, si fermino e mettano sotto controllo le schegge impazzite. Il punto da capire è se chi è dall’altra parte ha ancora una quota residua di razionalità per rendersi conto che sta scherzando con il fuoco. C’è una tendenza generale molto pericolosa che spinge a saggiare se è davvero finita un’epoca. Quella che Putin chiama la fine del dominio dell’Occidente. Tutti gli analisti più avveduti di geopolitica hanno colto questo punto. Perché dietro di esso si rende evidente che l’Europa, di certo nella interpretazione dell’altra parte del mondo, è la prova del declino dell’Occidente e il fatto stesso che l’Europa non sia più parte attiva primaria di questo Occidente come loro e il mondo hanno sempre conosciuto, significa che è finita l’era dell’Occidente e siamo entrati nell’età post-moderna.
D’altro canto, che l’Europa come player globale non esista è, purtroppo, un dato di fatto e tutto ciò si combina pericolosamente con la perdita di ruolo della Banca mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, oltre che con la crisi di credibilità e la perdita di peso specifico delle organizzazioni multilaterali. È gravissimo che sia accaduto tutto ciò nel sostanziale silenzio delle classi dirigenti europee, in particolare di quelle francese e tedesca degli ultimi venti anni che non sono state all’altezza dei loro predecessori. Chi aveva l’occhio lungo aveva già visto tutto e si è sentito rispondere che sarebbero passati secoli prima che le loro preoccupazioni si appalesassero. Se ne occuperà chi viene dopo di noi, si è sentito dire chi aveva capito tutto. Tra questi c’è una colonia italiana di padri inascoltati che sono Ciampi, Prodi, Draghi e se si legge con un minimo di attenzione il discorso di fine anno del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, si coglie con nettezza il dato più rilevante che è quello con cui avverte tutti che siamo di fronte a una svolta storica.
Una svolta storica che fa i conti con un problema globale in termini di popolazione e di economia, non di moneta, dove a tirare le fila sono lo squilibrio demografico tra sud e nord del mondo e lo sconto tra autocrazie e democrazie che c’è dietro. Un problema gigantesco che non si risolve con una nuova moneta, che peraltro i cinesi non accetterebbero mai, ma attraverso un nuovo ordine mondiale che porti a un riassetto globale della nostra civiltà con strumenti di governance politica e di gestione finanziaria all’altezza della delicatezza della sfida. È velleitario se si pensa che tutto ciò si possa fare in un attimo, ma bisogna pensarci subito e porre le condizioni perché il nuovo processo decisionale globale inizi e prenda corpo.
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