Giorgia Meloni
5 minuti per la letturaLa premier gioca con lucidità le carte dell’Africa e del Medio Oriente sapendo che è il Mediterraneo la sfida della nuova Europa che fa del nostro Sud il primo di tutti i Sud del mondo. Si è visto il protagonismo italiano che fa bene a noi e all’Europa. A patto, però, che si riconosca che ciò che noi mettiamo a sorpresa sul tavolo a favore dei Paesi africani è niente di fronte a ciò che mettono gli Stati Uniti per tutti. La governance italiana ricostituisca il senso della solidarietà e trovi nella nuova Europa politica una collocazione di testa con una squadra di alleati storici il più possibile allargata su scelte e contenuti condivisi.
Siamo nel mezzo di una grande trasformazione che è appena cominciata e che richiede player che capiscono questo tipo di giochi, la dimensione e la qualità delle sfide in atto. Tutti quelli che non capiscono o fanno finta di non capire sono coloro che hanno fatto il loro nido e lo difendono. I player sono quelli che fanno parte del grande gioco del nuovo mondo dove si incrociano pericolosamente ideologia e transizione ecologica, guerra mondiale delle materie prime, rallentamento globale da conflitti nel cuore dell’Europa e in Medio Oriente, scontro di civiltà e nuova governance mondiale da costruire. I player sono coloro che hanno capito qual è la vera partita del futuro che vede i Sud del mondo riuniti in un miscuglio di autocrazie, dittature, democrazie e finte democrazie, ma comunque capaci di mobilitare un peso in termini di popolazione, quota di economia globale, risorse finanziarie predatorie che li pone tutti insieme per la prima volta come un baricentro alternativo a quello storicamente dominante di Stati Uniti e Europa dell’Occidente.
Dentro uno scenario globale segnato da un’India che ha un Pil che vola e un’economia cinese di cui si capisce poco, ma che resta centrale per il volume delle esportazioni globali e ha conquistato quasi tutta l’Africa con prestiti usurari. Siamo ormai di fronte all’evidenza che i capi dei Paesi del Sud in salute finanziaria o al tracollo, penso agli Emirati arabi e all’Argentina, in bilico come Brasile e Turchia, più o meno autocratici più o meno democratici, sono tutti player che giocano la loro partita e costruiscono il loro risultato.
Purtroppo, l’Europa continua ad essere un gruppo frammentato, dove alcuni giganti nani continuano a farsi gli sgambetti tra di loro e dove almeno la premier italiana, Giorgia Meloni, sembra volere giocare con lucidità le carte dell’Africa e del Medio Oriente avendo capito che è il Mediterraneo la sfida della nuova Europa e che è la posizione geografica, coniugata con la rivoluzione delle catene della logistica globale e le conseguenze della guerra mondiale delle materie prime, a fare del nostro Sud il primo di tutti i Sud del mondo. Si è visto anche a Cop28 questo protagonismo italiano che fa bene a noi e all’Europa. A patto che si abbia la lucidità di constatare che i 100 milioni che giustamente il governo italiano mette a sorpresa sul tavolo a favore dei Paesi africani sono niente di fronte ai 3 miliardi messi sullo stesso tavolo ieri dagli Stati Uniti ovviamente per tutti.
Siamo come Italia un’avanguardia in sede europea, ma serve l’avanguardia dell’intera Europa che faccia tesoro delle nostre intuizioni e produca insieme la sua forza di fuoco finanziaria. Perché la meritoria azione del governo Meloni si traduca in risultati concreti, c’è oggi bisogno di una governance italiana che ricostituisca il senso della solidarietà che ci porti fuori dall’individualismo esasperato che ha stroncato ogni legame sociale interno e trovi nella nuova Europa politica una collocazione di testa con una squadra di alleati storici il più possibile allargata su scelte e contenuti condivisi. C’è almeno bisogno di una governance italiana del Sud globale che esprima il passaggio da un individualismo di singolarità a un individualismo di appartenenza per cui io sono un individuo in quanto operaio, in quanto ceto medio, in quanto membro di una comunità regionale.
Si tratta di uscire per sempre da una società in cui io sono io e basta, ma dove la mia individualità si esprime nell’essere parte di un corpo sociale, non di me stesso. Bisogna avere il coraggio di affrontare il cambiamento determinato dal passaggio da un’epo – ca storica all’altra in modo cooperativo e consapevole. Questa è la sfida reale che Giorgia Meloni ha davanti a sé. Prendiamo l’esempio di Moro che di fronte al cambiamento obbligato della modernizzazione conduce il Paese verso il centrosinistra che aveva capito la portata della sfida e svolgeva una funzione di pedagogia per portare un corpo elettorale democristiano a vivere la modernizzazione del Paese come qualcosa da cui non si poteva tornare indietro.
La funzione pedagogica, che pagò con la vita, era quella di fare capire che senza la modernizzazione del Paese sarebbero stati travolti tutti. Segnando nei fatti la differenza con Fanfani che aveva capito l’importanza strategica della modernizzazione, ma suggeriva di non spiegare niente a nessuno e di andare avanti facendo le cose. Si trattava, però, almeno per l’epoca, di una sfida davvero complessa perché non c’era più solo la civiltà agricola, ma le città e le famiglie che sono fatte in modo diverso. Fin da allora si impostò un discorso sul cambiamento della situazione femminile, della mobilità, della grande trasformazione industriale e della nuova crescita, del Mezzogiorno da fare correre, della televisione italiana che faceva scuola e dell’industria culturale americana che aveva cambiato il contesto oggi come allora con grandi angosce.
Arrivarono in Italia le inquietudini giovanili delle gang americane, che non si riusciva a mettere sotto controllo, ci furono allora la crisi dei costumi e i sermoni dei vescovi, e toccò a Moro pagare tutto ciò con il prezzo più ingiusto. La sua pedagogia è, però, sopravvissuta e oggi come allora non si può tornare indietro. Non si può fermare il mondo, ma governare il cambiamento.
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