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Emmanuel Macron e Giorgia Meloni

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L’Europa ha già fatto troppo per l’ambiente rispetto a Cina e Stati Uniti, e continuerà a fare, ma deve cambiare strategia se non vuole che i due grandi inquinatori mettano la sua industria fuori mercato. Macron capisce che il vento anche in casa sua sta cambiando e comincia a dire una verità assoluta che gli italiani da mesi ripetono in Europa. Fa i conti con Popolari e conservatori che avvertono che il mega investimento americano a debito e la visione egemonica manifatturiera cinese con le sue scorribande in Africa e in India ci condannano. Anche in Francia sta salendo il tasso di consapevolezza che senza un freno alla bulimia normativa ambientalista l’industria si spacca

Nel frastuono del dibattito mediatico del nulla di casa nostra che riesce perfino a abolire dall’informazione elementare il più grande miracolo economico italiano dopo quello del Dopoguerra in atto ormai da tre anni, è passato ovviamente sotto silenzio qualcosa di molto concreto che riguarda le nuove tesi di Macron e il lavoro silenzioso del governo italiano in Europa sulla partita del futuro dell’industria europea e, di riflesso, della sua intera economia.

Pronti a raccogliere tutti gli insulti propagandistici a uso di politica interna di questo o quello degli esponenti di governo francese e del suo partito contro la Presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, per giudizio unanime squalificati e squalificanti oltre che irricevibili, siamo riusciti a fare passare praticamente sotto silenzio perfino parole di peso assoluto pronunciate da Macron la settimana scorsa nel giorno in cui annunciava il “suo amato piano” per la reindustrializzazione della Francia.

Parole di peso pronunciate in una sede pubblica raccolte da Politico.Eu, voce ormai sempre più autorevole del dibattito europeo per il rigore e la puntualità di resoconti e news analysis che sono le seguenti: “Abbiamo già approvato molte normative ambientali a livello europeo, più dei nostri vicini. In termini normativi siamo davanti agli americani, ai cinesi, o a qualsiasi altra potenza del mondo. Ora dovremmo implementarli, non apportare nuove modifiche alle regole o perderemo tutti i giocatori”.

Con queste parole Macron sta chiedendo all’Unione europea di frenare su un ambientalismo talebano e, per di più, fluido nel senso di continuo avanzamento teorico e burocratico che non porta alla terra promessa di una chiara agenda verde, che è il Green Deal, ma alla chiusura dell’economia reale europea anche nelle sue eccellenze più innovative e sostenibili. Perché schiacciata dalla tenaglia di una produzione normativa ambientale europea che determina paralisi su paralisi, da un lato, e da una doppia opposizione, dall’altro, che viene dalla Cina come visione competitiva nei confronti dell’Unione europea e dagli Stati Uniti che si muovono con la forza dell’Inflation Reduction Act interamente sovvenzionato dal bilancio pubblico di una potenza federale con un debito gigantesco che pesa come un’incognita sugli equilibri globali. Questi sono i fatti nudi e crudi.

I funzionari francesi si sono ovviamente affrettati a chiarire che Macron non ha mai parlato di abrogazione o di moratoria di regole che già esistono o sono in fase di negoziazione, ma è chiaro che queste precisazioni riguardano il dito di un dogmatismo incompatibile con la vera transizione ecologica di cui tutti blaterano e la luna dimenticata di un conflitto di intenzioni di cui il mondo produttivo italiano, tedesco e ora anche francese hanno piena consapevolezza.

Che è essenzialmente una: sulla carta perseguo l’ortodossia verde,  che noi difendiamo come scelta strategica fondamentale su basi realistiche, e nei fatti pongo le condizioni perché l’economia reale europea di qualità che persegue e realizza progetti di elevata sostenibilità ambientale non possa più continuare il suo cammino su questa strada virtuosa.

Tutto questo avviene a prescindere da ciò di molto importante che si sta muovendo sul quadrante politico europeo con popolari e conservatori che si muovono all’insegna di un programma di realismo che persegua il green deal, ma non permetta che la visione egemonica manifatturiera cinese con le sue campagne di acquisizioni in Africa e in India  condanni l’Europa a un declino globale sempre più accentuato della sua manifattura.

Ci sono stati già interventi sul packaging come su altri settori vitali per la nostra economia, penso all’automotive, che sono portatori di quei sani principi di ammodernamento qualitativo delle produzioni incompatibili con la masochistica scelta di portare l’industria europea fuori mercato. Il sistema italiano delle imprese a livello europeo e il governo italiano hanno svolto un lavoro importante in questa direzione. Anche in Francia sta salendo il tasso di consapevolezza che senza un freno l’industria si spacca e, sul piano politico, emerge sempre più il contrasto tra una componente liberale orientata al sostegno di un’economia sempre più sostenibile e componenti più ideologiche verdi e socialiste,  alla Timmermans per capirci, che premono in senso diametralmente opposto.

Un discorso divisivo di livello analogo, anche se in misura più sfumata, taglia trasversalmente la famiglia europea socialista, mentre c’è un blocco popolare, conservatore e dell’Est complessivamente molto più freddo. Macron ha capito che si sta maneggiando con troppa leggerezza qualcosa di troppo delicato sul piano economico come su quello politico, anzi, di qualcosa che incide ancora prima sul piano della leadership nella produzione globale che non su quello della politica. Perché la piccola Europa può essere sempre più marginalizzata dall’azione “sovranista” dei due più grandi inquinatori. Che sono la Cina e la sua corte di territori occupati e gli Stati Uniti che a nostra differenza fanno debito senza dovere rendere conto a nessuno e hanno almeno un unico mercato di capitali e finanziario.

Macron ha capito che il vento sta cambiando e comincia a dire una verità assoluta che gli italiani da mesi ripetono. L’Europa ha già fatto troppo per l’ambiente rispetto a Cina e Stati Uniti, e ovviamente deve assolutamente continuare a fare, ma ora è arrivato il momento di pensare prima allo sviluppo sostenibile dell’industria europea. Macron dimostra di avere il fiuto e l’intelligenza politica per capire ciò che serve ora all’industria europea. Che per lui ovviamente è francese, ma fa niente visto che la scelta vale anche per l’industria italiana e tedesca. Perché la partita è una. Si vince o si perde. Tutti insieme.


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