Un gasdotto dell'Eni
6 minuti per la letturaIl primo esame da superare riguarda proprio la Germania di Scholz. Che non può rompere quella solidarietà europea, oggi più urgente di ieri, illudendosi di fare da sola. Non ce la farebbe di sicuro per sé e recherebbe un danno agli altri aumentando il carico di distorsioni che pagano tutti. Non si può continuare in ordine sparso. Anche perché le performance tedesche così modeste della manifattura e dell’azione di governo nella diversificazione energetica, da quando Scholz ha preso il posto della Merkel, a fronte di esempi di segno opposto come quello italiano, ci dicono che è proprio la Germania ad avere più bisogno di tutti della solidarietà europea. Prima lo capisce, meglio è. Per sé e per gli altri. La Commissione europea deve essere in grado di formulare la sua proposta e si deve muovere nel solco tracciato da Roma e Parigi perché le risposte alle economie europee tartassate dalle manovre di guerra putiniane, dalle golosità finanziarie olandesi e norvegesi, dalle miopie tedesche, e dagli infiltrati sovranisti della politica europea amici di Putin, devono essere date oggi, non domani. Questo esige la storia
L’Europa degli egoismi ha i giorni contati. Perché le lancette della storia segnalano complessità inflazionistiche (8,9% in Italia, 10% eurozona) e monetarie (fine dei grandi acquisti della Bce, tutti i tassi in rialzo) entrambe di origine bellica che non consentono all’Europa di fare diversamente. I compiti della storia questa volta li devono fare prima di tutti olandesi e tedeschi che fanno i bulli. I primi con gli introiti indebiti della speculazione finanziaria sul ricatto putiniano del gas e i secondi con gli spazi di manovra che i loro bilanci pubblici consentono a differenza di quelli di altri Paesi come l’Italia. Fanno i bulli anche polacchi e ungheresi per ragioni differenti che riguardano le fondamenta giuridiche dell’Europa.
Hanno tutti e quattro i giorni contati perché la Germania ha un’economia che si è rivelata messa molto peggio della nostra. Può fare debito oggi, ma in una prospettiva di medio lungo termine nemmeno avrà più le risorse per fronteggiare il ciclone della prima grande guerra mondiale delle materie prime. Soprattutto, perché la Germania, ricordiamocelo, nell’ultimo anno e mezzo ha fatto il contrario dell’Italia e continua a perdere colpi: non ha saputo diversificare le sue fonti di approvvigionamento energetiche, è piombata in stagnazione e viaggia verso la recessione prima degli altri, non dopo gli altri. Tutto questo, per capirci ancora meglio, è avvenuto mentre il nostro Paese conquistava il podio della crescita europea dimostrando che un’altra storia era possibile. L’Olanda ha un’economia di cartapesta, potremmo dire di moderni rentier con la puzza sotto il naso, che lucra sulla finanza speculativa e sulle polizze senza porsi minimamente il problema che né l’una né le altre possono sopravvivere sulle macerie delle economie e dei redditi europei che le alimentano.
Per Polonia e Ungheria il problema nemmeno si pone perché se passa l’idea che la giurisdizione nazionale possa prevalere su quella europea l’Europa federale è finita sul nascere e ci occupiamo, quindi, del nulla. Discorso a parte merita la Norvegia che ha decuplicato gli incassi dal gas ed è diventato il Paese Nato con più benefici dalla guerra di Putin. Anche questo è un segno evidentissimo delle distorsioni economiche che la mancata compattezza dell’Europa sta producendo mettendo a rischio se stessa e parificando di fatto i comportamenti norvegesi a quelli di puro egoismo tenuti fin qui da olandesi e tedeschi. Una piccola grande vergogna che viene da fuori dell’Unione europea e si aggiunge alle molte altre che la hanno preceduta all’interno dell’Unione europea.
Viceversa proprio la delicatezza del quadro internazionale obbliga l’Europa – queste sono le ragioni della storia che rispondono ai bisogni dei popoli e, se perdono, sono guai per tutti – a fare un passo in avanti nella integrazione delle politiche monetarie demandate a livello di Banca centrale europea (Bce) ma anche parallelamente nelle politiche di bilancio a livello di Commissione europea. Da qui non si scappa. Il problema per le imprese e le famiglie italiane è sopravvivere in questi giorni contati senza dovere chiudere e senza mandare in default i bilanci familiari allargando a dismisura le fasce di povertà a causa di un ulteriore aumento del 59% delle bollette energetiche. Prima, cioè, che l’Europa faccia l’Europa e ponga finalmente questo tetto al prezzo del gas, con o senza forchetta per Putin e tutti gli altri a partire dai norvegesi, colpisca davvero gli extraprofitti e ripeta il Recovery della pandemia con un nuovo Recovery energetico.
Prima del vertice dei capi di stato e di governo che si terrà a Praga tra il 6 e il 7 ottobre la Commissione europea deve essere in grado di formulare la sua proposta e si deve muovere nel solco tracciato da Roma e Parigi perché le risposte alle economie europee tartassate dalle manovre di guerra putiniane, dalle golosità finanziarie olandesi e norvegesi, dalle miopie tedesche, e dagli infiltrati sovranisti della politica europea amici di Putin, devono essere date oggi, non domani. Questo esige la storia.
Le dichiarazioni positive del cancelliere tedesco Scholz sul nuovo governo italiano a guida Meloni, di cui lui è certo che rispetterà le regole europee, vanno accolte con favore perché mostrano consapevolezza sulla qualità e quantità dei compiti fatti in casa in Italia e su un tasso di serietà acquisito che consentirà di proseguire sempre meglio sulla strada tracciata, ma non impedisce di osservare che chi ha fatto molto male i compiti a casa è proprio la Germania e che anche il maxi intervento in deficit da 200 miliardi da loro annunciato è figlio di quegli errori e della volontà di perseverare in quegli errori.
Questo è il punto strategico che va colto. La nota di aggiornamento di economia e finanza (Nadef) del governo Draghi mostra che l’Italia è riuscita a dare oltre 60 miliardi di aiuti a imprese e famiglie senza fare scostamenti di bilancio e abbassando deficit e debito in rapporto al Pil in misura di gran lunga superiore alle previsioni. La Nadef segnala altresì, cosa forse ancora più importante, che la nostra bilancia dei pagamenti, al netto dell’uscita da 60 miliardi della bolletta energetica che è di sicuro straordinaria e si presume transitoria, evidenzia un surplus di 46 miliardi di manifattura e servizi.
Questa eccezionale performance è italiana, non tedesca, e indica quanto sia vitale per noi l’apertura internazionale rispetto alle tentazioni sovraniste, ma anche quanto sia decisivo una volta per tutte che la Germania cominci a ragionare come gli italiani e i francesi sulla necessità di fissare subito un tetto al prezzo del gas e di tornare a fare debito comune – un altro Recovery – tanto più necessario oggi perché la politica monetaria non può o non vuole fare quello che fece nei giorni della crisi pandemica. Quel sostegno all’economia che venne allora dalle politiche monetarie deve venire oggi dalle politiche di bilancio europee. Che sono chiamate a fare più di quello che fecero ai tempi della pandemia. L’Italia ha tutte le carte in regola per chiederlo. Perché Draghi ha fatto alla grande il suo e perché la Meloni, premier in pectore, non si è mai discostata neppure di un millesimo da questo tracciato di responsabilità.
Tutto sarà ovviamente verificato alla prova dei fatti, ma il primo esame da superare riguarda proprio la Germania di Scholz. Che non può rompere quella solidarietà europea, oggi più urgente di ieri, illudendosi di fare da sola. Non ce la farebbe di sicuro per sé e recherebbe un danno agli altri aumentando il carico di distorsioni che pagano tutti. Non si può continuare in ordine sparso. Anche perché le performance tedesche così modeste della manifattura e dell’azione di governo nella diversificazione energetica, da quando Scholz ha preso il posto della Merkel, a fronte di esempi di segno opposto come quello italiano, ci dicono che è proprio la Germania ad avere più bisogno di tutti della solidarietà europea. Prima lo capisce, meglio è. Per sé e per gli altri.
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