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Il Mezzogiorno, per ragioni geografiche, geopolitiche e economiche, non è solo la grande occasione della crescita italiana ma la porta dell’Europa nel Mediterraneo e nel Continente del futuro. Questa opportunità si coglie con una struttura centrale e un capo all’altezza che fa filare tutti e attua gli investimenti del Pnrr a partire dal capitale umano non moltiplicando le kermesse e affidandosi a tuttologi che sanno di tutto e quindi di nulla. Così come non è più ammissibile che il ministero della Agricoltura diretto da Patuanelli, esponente di quell’ala grillina che reclama ogni giorno scostamenti di bilancio, non abbia non dico speso ma neppure impegnato un euro degli 1,3 miliardi assegnati dal Fondo Complementare perché venissero redistribuiti entro la fine dell’anno scorso proprio per quelle filiere agroalimentari che maggiormente patiscono il morso della guerra delle materie prime

LA STORIA combatte per il Mezzogiorno. La pandemia ci dice di accorciare le catene di produzione e di fare investimenti nei territori meridionali per assicurarci in sicurezza materie prime e mano d’opera di qualità. La brutta guerra nel cuore dell’Europa è la guerra del gas, dell’energia vecchia degli idrocarburi e di quella nuova delle rinnovabili e dell’eolico, ma è anche la guerra dei grani e dei frumenti, la base della catena dei nostri allevamenti e del Made in Italy agro-alimentare.

Allora il messaggio che ne viene fuori ancora più forte e chiaro è che il Mezzogiorno, se non altro per ragioni geografiche e di esposizione al sole, non è solo la grande occasione della crescita economica italiana ma la porta dell’Europa nel Mediterraneo e nel continente del futuro. È al centro del nuovo ordine europeo degli affari e della geopolitica mondiale.

Abbiamo uno straordinario strumento perché questa opportunità strategica venga colta al meglio. Si chiama Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Rappresenta il  test di un fondo europeo di investimenti comuni (Next Generation Eu) che dovrà ripetersi per almeno dieci anni (il secondo dovrà riguardare l’energia), ma che avrà o meno futuro se l’Italia e il suo Mezzogiorno si dimostreranno all’altezza della sfida. Viviamo drammaticamente tempi elettorali in cui si insegue il consenso dei cittadini su cose secondarie anziché operare per affrontare i problemi veri che abbiamo davanti. Dobbiamo dimostrare sul campo di essere capaci di usare i soldi europei come moltiplicatore di valore della nostra logistica, dell’industria del mare, di un nuovo modo di approvvigionarsi energeticamente nel Sud del mondo frazionando il rischio di dipendenza, di allargamento della base manifatturiera, agro-alimentare, turistico-culturale delle due Italie riunite da una strategia europea obbligata per misurarsi con una nuova stagione economica, geopolitica e culturale.

La doppia botta, pandemia-guerra, ha determinato l’aumento dei costi dell’energia che resterà. È tutta roba che è difficile gestire anche perché non puoi aumentare troppo il debito pubblico in quanto la BCE smetterà presto di comprare i nostri titoli pubblici per continuare a finanziare in disavanzo la nostra spesa dovendo prima di tutto abbattere il mostro inflazione. È difficile per l’Italia il cammino da fare anche perché se si opera con un eccesso di disavanzo facendo nuovi scostamenti e nuovo debito si rischia di rotolare a valle ancora prima della implosione dell’economia reale a causa del rischio mercati.

Il sacrosanto appello del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, alle forze politiche della coalizione di rivendicare ciò che è stato fatto e di procedere sulla strada delle riforme, dei fatti non delle chiacchiere, necessita di un salto di qualità politico per evitare di disperdere il patrimonio dell’occasione storica che l’Europa ci ha offerto. Questo è il punto di fondo, non le decisioni dentro questa o quella maggioranza per questa o quella regola presuntamente di favore elettorale.

Ciò che oggi non è più ammissibile è che il ministero della Agricoltura diretto da Patuanelli, esponente di quell’ala grillina che reclama ogni giorno scostamenti di bilancio, non abbia non dico speso ma neppure impegnato un euro uno degli 1,3 miliardi  assegnati dal Fondo Complementare perché venissero redistribuiti entro la fine dell’anno scorso proprio per quelle filiere agroalimentari che maggiormente patiscono il morso della guerra delle materie prime e della nostra doppia dipendenza dallo Stato aggressore, di tipo energetica, e dallo Stato aggredito, di tipo agro-alimentare.

Queste vergogne etiche, prima ancora che economiche, non sono più tollerabili così come bisogna anche smetterla di fare sempre finta di prendersela con la Ragioneria generale dello Stato quando non si è neppure capace di spendere ciò che politicamente si è attribuito al proprio dicastero sfruttando l’aggancio europeo.

Così come non si può continuare a pensare di attuare il Pnrr per il Mezzogiorno moltiplicando il numero dei convegni affidandosi peraltro a tuttologi esperti di tutto alla De Molli, inteso come Valerio, e al decadente The European House – Ambrosetti che grazie proprio a De Molli non ha più nulla del valore dei suoi stimati fondatori. Non si fa molta strada se non si capisce preliminarmente che solo una struttura centrale di progettazione e di esecuzione guidata da uomini di visione e di capacità operativa, con lo stesso carattere e la stessa intelligente determinazione del Pescatore della prima Cassa che è quella del miracolo economico italiano, può consentire di cogliere l’opportunità strategica che viene dalla storia di una stagione geopolitica che è figlia di un nuovo inevitabile ordine mondiale e di un’occasione storica europea irripetibile. Altrimenti inevitabilmente molto si annuncerà, qualcosa comunque  si farà, ma di certo l’investimento prioritario  che è quello del capitale umano su cui va ricostruita l’unità del Paese non potrà che soffrire facendo cadere tutto il castello di carte perché manca chi aiuta a fare bene le cose.

Non servono passerelle di persone estranee alla cultura d’impresa dell’economia reale del Mezzogiorno e dei mezzogiorni del mondo e lontane dalla conoscenza dei problemi effettivi dei divari territoriali italiani che riguardano il Nord e il Sud, ma anche i Sud del Nord. Bisogna operare fattivamente perché si privilegino, come sta meritoriamente facendo il governo Draghi, l’investimento nella scuola e nella ricerca partendo dai banchi degli asili nido, ma anche perché emergano  l’intraprendenza e la capacità di fare sistema del Mezzogiorno e delle sue economie private territoriali  in termini di crescita interna e di attrazione di capitali produttivi e finanziari internazionali. Che sono, messi insieme, l’unica concreta  possibilità di un futuro storicamente possibile.

Il resto sono chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere. Sulle quali Draghi farebbe bene a fare sentire il peso della sua forza pragmatica che la storia europea gli ha riconosciuto, che è quella che permette di moltiplicare il valore altrui, e di cui soprattutto oggi più che mai il suo Paese ha vitale bisogno.


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