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Romano Prodi

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Pubblichiamo un estratto da “Il Cigno Nero e il Cavaliere Bianco” (edizioni La Nave di Teseo, dicembre 2017) di una conversazione tra Romano Prodi e Roberto Napoletano sui rapporti tra Europa e Putin, Libia, caso Onu e ruolo francese, da cui emergono l’errore fatale dell’Europa nei confronti della Russia e una previsione anticipata e ragionata su ciò che sarebbe accaduto che fa venire i brividi pensando a quello che sta avvenendo oggi. Riteniamo che meriti di essere segnalata per il suo contenuto di straordinaria attualità. Le parole di Prodi ci dicono di stare molto attenti a non rifare oggi l’errore di ieri.

Vado a casa del Professore. Arrivo in treno a Bologna in un giovedì di luglio poco prima delle tredici, esco dalla stazione centrale e una folata di caldo umido quasi mi taglia le gambe. Mi deposito, a passo spedito, in un taxi con aria condizionata dopo avere attraversato i 39 gradi all’ombra della piazza. “Via Gerusalemme, 7” dico al tassista. E lui: “Va a casa di Romano Prodi, vero? Una gran bella persona!” Mi succede spesso nelle mie visite bolognesi, ma questo non attenua la mia sorpresa, perché il valore della politica si riconosce dalle piccole cose, come il giudizio che hanno di un leader i suoi concittadini, e non credo che siano molti i politici italiani che abbiano conservato la simpatia e l’affetto della loro comunità. A casa l’ascensore finalmente funziona e, siccome è piuttosto stretto, provo una piccola soddisfazione perché mi ci muovo agevolmente e questo vuol dire che sono almeno un po’ dimagrito.

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Romano è in forma smagliante e mi accoglie con un sorriso, risponde su tutto ed entra nel merito. “Voglio essere chiaro,” esordisce, “io credo che la nostra situazione di debolezza politica sia anche stata utilizzata a scopo di potere dai nostri cari amici, dai nostri cari alleati. In troppi eventi di politica internazionale si è giustificato l’intervento come unico strumento per combattere una dittatura ma non si è agito nei modi appropriati per preparare il cambiamento. Non si è agito con i tempi necessari per costruire la democrazia, che non si costruisce in un attimo con le armi o con la sanzione, ma passo dopo passo, con fermezza. Non con comportamenti in cui lo strumento militare diventa quello esclusivo.”

“Mi riferisco in questo caso soprattutto alla Libia. Si era aperto in Germania uno spiraglio che sembrava privilegiare il dialogo sui conflitti ma poi, anche in Germania, non se ne fece nulla. Per quanto riguarda Putin, ho sempre pensato che dovevamo avere un rapporto strettissimo con l’America ma altrettanto con la Russia. Il rapporto di collaborazione con la Russia è stato praticato in modo positivo fino alla guerra in Iraq. Rompere il rapporto tra Russia e Europa è stato un errore strategico enorme, anche perché la Russia è stata poi costretta a vedere nella Cina la spalla per attuare la riforma industriale di cui ha vitale bisogno. Rifare un’edizione contemporanea di un nuovo muro di Berlino è l’errore più grave che possiamo commettere.”

“Scusi, presidente, non ha risposto alla domanda: c’è stato o no un complotto francotedesco per fare saltare Berlusconi?”

“Io non ne ho mai visto le prove, se le vedo ci credo se no no. Quello che noto è che l’attivismo francese interessato non ha fatto bene e vedo che America e Russia continuano a farsi dispetti reciproci senza un disegno strategico. Si guarda al rapporto con la Russia sempre e solo in termini di politica interna e non di interessi di lungo periodo. Questi comportamenti sono per gli europei il segno di una leadership zoppa, cieca, che dovrebbe rendere conto degli interessi di tutti gli alleati. Degli interessi e dei problemi di tutti. Invece ognuno va per conto suo e, come conseguenza, siamo a traino delle scelte di corto respiro degli americani e dei russi. Un’Unione europea sempre più divisa e solo tenuta insieme (per quanto poteva) dalla politica monetaria di Mario Draghi. Ha fatto tutto il possibile per salvare il salvabile dell’Unione europea in tempi di crisi, usando tutte le sue prerogative e, fortunatamente, forse qualcuna di più.”

Prodi non crede ai complotti dei quali non ha la prova ma solo alle nefaste conseguenze delle nostre divisioni e sa che l’Europa è stata tenuta insieme dall’azione di Draghi e dalla sua capacità politica di innovare la politica monetaria e di stimolare cambiamenti strutturali nella governance dei paesi e nella vita quotidiana dei cittadini europei. Sulla vicenda specifica della Libia, Prodi è stato un protagonista mancato e la sua storia merita di essere raccontata perché mette a nudo incongruenze nostre e degli altri e, soprattutto, disvela un fil rouge tutto francese di interessi e convenienze che devono far riflettere. Sentiamo il racconto del Professore.

“Vi è una lettera firmata da 25 capi di stato e autorevoli politici africani, datata il 20 agosto del 2011, che chiedono al segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon (con Gheddafi ancora in vita) di mandare il sottoscritto in Libia per mediare tra le fazioni e provare a ricomporre il puzzle. La prima di una serie di lettere (compresa quella del presidente dell’Associazione delle tribù) con motivazioni analitiche che concludono con ‘we strongly recommend’ di nominare Romano Prodi mediatore in Libia. Ban Ki-moon risponde a tutti i capi di stato dicendo che la cosa va considerata con attenzione, e che ne farà parola ai governi interessati. Poi non se ne fece nulla. Non so se sia stato per l’opposizione di Sarkozy o di Berlusconi o di tutti e due. So solo che non se ne fece nulla. Dopo, con Renzi premier, fui io a chiedere a Palazzo Chigi di mandarmi come mediatore. Renzi mi rispose che coltivava un’altra alternativa: farmi segretario dell’ONU. Risposi ovviamente che, non solo per l’età, questo era impossibile. Ed è ovviamente quello che avvenne.”

“Il nuovo segretario dell’ONU (l’ottimo portoghese Guterres) ha infi ne elaborato una dottrina formalmente credibile, e cioè che non si può designare come inviato in un paese un cittadino appartenente a un paese che aveva avuto un potere coloniale nel paese stesso. Dopo la bocciatura da parte americana di un candidato palestinese è stato poi nominato un ex ministro libanese. Se non che questa nomina, pur riferita a una persona di indubbio valore, riguarda sì un ex politico libanese ma che da molti anni vive in Francia, insegna in Francia dove è stato predecessore di Enrico Letta alla scuola di scienze politiche. È vero che la Francia non ha avuto alcun potere diretto sulla Libia ma certo è anche stata protagonista attiva (anzi troppo attiva) delle vicende libiche.”


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