Un cartello contro la Russia in una manifestazione per la pace in Ucraina
5 minuti per la letturaNon è venuta meno la fiducia, è arrivata la paura. Abbiamo una guerra brutta in Europa. Quando l’esercito dello Stato aggressore, la Russia, decide di buttare via i telefonini dei soldati perché ha paura che raccontino quello che vedono ai loro familiari e l’esercito dello Stato aggredito, l’Ucraina, decide invece di fare il video sui soldati russi catturati e imprigionati perché si fortifichi la resistenza del popolo libero alle violenze russe, allora la situazione non promette nulla di buono.
La guerra di Putin all’Ucraina viene dopo la pandemia e dopo la grande crisi globale che rappresentano insieme il nuovo ’29 mondiale. Che a sua volta è stato preceduto da due grandi crisi internazionali, quella finanziaria del 2008 e quella dei debiti sovrani del 2011, che l’Europa è riuscita a moltiplicare in altrettanti crisi politiche e sociali portando in dote ai Paesi del Sud Europa come l’Italia la doppia recessione e l’aumento degli squilibri territoriali. Questo, per dire che non stiamo parlando di un raffreddore o di un mal di testa, ma di una broncopolmonite dalla quale stavamo provando a uscire con la cura da cavallo del governo Draghi nel 2021 che dopo venti anni di crescita zero ha fatto volare il prodotto interno lordo (Pil) con tassi da miracolo economico (+6,6%) assicurando un trascinamento cospicuo (+2,4%) nel 2022.
Un tesoretto prezioso in quest’anno procelloso che si aggiunge all’altro tesoretto che la forte crescita del 2021 ha determinato nel rapporto debito/Pil, facendolo scendere da una previsione del Conte2 del 160% al 150,4% con una performance positiva di oltre 9 punti percentuali. Sono risultati storici che appartengono a quelle cose concrete che possono cambiare la vita delle persone o il destino di un’economia. Visto che nessuno sembra accorgersi dell’eccezionalità di questo evento per un Paese super indebitato come il nostro, vogliamo ricordarlo subito perché la credibilità di un sistema nazionale è fatto di cose che si possono toccare e riscontrare. Che si possono toccare e riscontrare non per un anno ma per tanti anni. Non facendo demagogia sul vizio italico quarantennale delle accise su benzina e molto altro o sulla speculazione finanziaria che fa solo il suo mestiere.
Nessuno vuole ammettere che siamo in una delle contingenze peggiori perché Dio solo sa che cosa può succedere e sbaglia chi immagina di sapere già come va a finire. Chi non ha esperienza di guerra, ma ha gestito grandi crisi finanziarie, che sono le guerre moderne, si muove con i piedi di piombo. Perché bisogna valutare bene gli effetti di ogni singola idea di intervento, guai se si annunciasse un’iniziativa al giorno alla Salvini o uno scostamento di bilancio più o meno al giorno alla Conte. Perché i contraccolpi sulla fiducia dei consumatori possono essere ancora più gravi delle distorsioni dei mercati finanziari sulle commodity che fanno chiudere aziende e ne mettono in crisi molte altre.
Perché la sacrosanta guerra finanziaria di Europa e Stati Uniti a Putin ha prodotto in casa sua il default sovrano, una fuga inarrestabile di capitali con i russi che prendono i loro soldi e scappano dalle banche russe, ma ha avuto come effetto collaterale l’esplosione dei costi delle materie prime energetiche e agro-alimentari italiane che per un Paese importatore, trasformatore e esportatore come l’Italia sono tutto o quasi. A causa di un circolo nefasto di sfiducia e di normale speculazione finanziaria sono situazioni da fare tremare vene e polsi.
Siamo davanti a un sistema di materie prime, gas e petrolio certo ma non da meno grano tenero, mais, girasole, per non parlare di acciaio, carta, alluminio nichel, che presenta un conto insostenibile per l’economia e l’agricoltura italiane. Bisogna avere consapevolezza di ciò per capire con quanta cura va maneggiata l’arma della politica economica. Perché da una parte c’è in gioco il prodotto interno lordo (Pil), la ricchezza di un Paese, e dall’altra, la sostenibilità di lungo termine di un debito pubblico di 2700 miliardi che grava su di esso. Perché bisogna che l’Europa prenda consapevolezza non solo di dovere dire “daremo una risposta forte”, ma di darla per davvero e tutti insieme in quanto la partita complessa che si sta giocando esige come taglia minima un giocatore di standard europeo. Che restituisca ai singoli Paesi gli extra-costi che essa stessa Europa ha determinato con le sue sacrosante sanzioni a Putin e che a loro volta stanno determinando contro-sanzioni. Tutto in una spirale di doppia crisi militare-economica e di spirale inflazionistica dentro un quadro geopolitico dove non si è ancora trovata la misura giusta tra globalizzazione ingenua e sovranismo cieco.
Meno male che Draghi e Franco sanno di che parlano e vogliono correttamente anticipare il documento di economia e finanza (Def) a fine marzo quando si avrà un quadro più compiuto con una previsione di crescita presumibilmente tagliata dal 4 e passa al 3% o un po’ più sotto e, a quel punto, se necessario si farà un altro scostamento. Tenendo conto ovviamente che il teatro di guerra può portare scenari economici di guerra di intensità massima pari a quello di una nuova pandemia. Tutto questo deve avvenire dentro un piano di breve e di medio termine. Per cui dopo avere ridotto l’IVA al 5%, avere fatto tagli per 16 miliardi sul caro bollette, si farà ancora altro, ma ciò che conta davvero è finalmente “investire, investire”, “scavare e estrarre” in casa e fuori. Il ministro Cingolani se l’è presa con la speculazione e ha parlato addirittura di truffa. Riferendosi a fenomeni che sono i normali procedimenti speculativi di un mercato capitalista. Dalla bolla dei tulipani olandesi del Seicento ai mercati finanziari di oggi, passando per il mercato del bestiame di Modena.
I consumatori si lamentano ora della speculazione ma non si lamentavano quando i mercati facevano efficienza e facevano quindi scendere i prezzi. Altri chiedono di tagliare le accise su benzina e molto altro che sono davvero troppe e si moltiplicano con i rincari ma esprimono poste di bilancio pubblico non proprio trascurabili.
Il punto è che la risposta al problema reale della dipendenza energetica italiana non può essere sempre solo la demagogia contro il mercato dei capitali o fare debito, nuovo debito, sempre debito, come un Paese cosiddetto socialista sudamericano. Al posto di pensare a fare gli investimenti e di aumentare il Pil, vogliamo tutti solo aumentare il debito. Abbiamo fatto sempre così e vedete come siamo finiti!
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