Devastazioni in Ucraina
6 minuti per la letturaDobbiamo avere il coraggio di dire che dopo la prova sanitaria e economica della pandemia c’è la prova dell’espansionismo russo e della crisi delle relazioni internazionali e che di fronte a questo nuovo uragano globale civile, militare, economico noi europei e noi italiani dobbiamo chiederci in termini ultimativi se siamo capaci di cambiare oppure no. Che cosa ci impedisce di avere un esercito comune, una politica estera comune, una politica economica comune con un solo ministro dell’economia europeo? Siamo pronti a fare in Italia quello che avremmo dovuto fare negli ultimi venti anni e non lo abbiamo fatto perché questo avrebbe comportato la redistribuzione dei poteri e delle aree di influenze intaccando i privilegi diffusi? Se non saremo capaci di farlo noi, verranno da fuori a farlo. Se non altro per non avere più l’anello debole che fa saltare la catena. Pensiamoci bene finché siamo in tempo
Siamo veramente al nuovo ’29 mondiale. La crisi pandemica globale. La crisi economica globale che significa il mondo chiuso tutto insieme. Il nuovo espansionismo russo e il nuovo quadro delle relazioni internazionali.
Siamo al grido di dolore che entra dentro. Zelensky non ha più tempo. L’Ucraina non ha più tempo. Lui e la sua famiglia sono l’obiettivo. La maledetta guerra del capo autocrate della violenta superpotenza russa alla conquista di Kiev tocca i cuori delle persone e ci impone di superare l’esame più difficile come europei e come italiani.
Ci obbliga a uscire per ragioni minime di dignità dalla nostra quota parte di responsabilità nel copione estremo delle lacrime di coccodrillo di un’Europa che “combatte” per la libertà di Kiev mentre riceve il doppio di gas russo attraverso il solito canale ucraino. Solo l’America con i suoi pasticci sulla Nato è riuscita a prevalere in ipocrisia sull’Europa.
Dobbiamo avere il coraggio di dire che dopo la prova sanitaria e economica della pandemia c’è la prova dell’espansionismo russo e della crisi delle relazioni internazionali e che di fronte a questo nuovo uragano globale civile, militare, economico noi europei e noi italiani dobbiamo chiederci in termini ultimativi se siamo capaci di cambiare oppure no. Dobbiamo, soprattutto, dimostrare non di chiedere ma di fare ciò che avremmo dovuto fare da tempo.
Che cosa ci impedisce di avere un esercito comune, una politica estera comune, una politica economica comune con un solo ministro dell’economia europeo? Che cosa ci impedisce di mettere in comune i nostri debiti e di investire tutti insieme sulla grande tecnologia? Perché non facciamo tutto ciò e obblighiamo gli Stati Uniti a condividere i primati dell’economia e della tecnologia oltre che a ripartire le spese militari come impone un mondo globalizzato dove le potenze autocratiche, Cina e Russia, fanno molto più gioco di squadra di noi?
In Italia, poi, c’è da sottolineare che nel momento dell’emergenza ti fidi di uno che sa fare e, quindi, tutto il Parlamento è con Draghi e con il suo governo, ma proprio questa vicenda ci insegna che bisogna pensarci prima. Chi è che per correre dietro alla demagogia e al populismo ha fatto chiudere le centrali a carbone e ha fatto sudare le classiche sette camicie per fare partire la Tap in Puglia e ridurre la nostra dipendenza energetica dalla Russia? Inneggiamo al futuro ma burocrazia e azzeccagarbugli bloccano anche rinnovabili e eolico e, soprattutto, facciamo finta di non capire che con gli ideologismi non si va da nessuna parte, che il mondo non va avanti per linee rette ma a zig e zag. Dopo avere parlato a vanvera di globalizzazione, ci si è accorti che esiste e bisogna tenerne conto.
Prima di tutto, per evitare luoghi comuni e banalizzazioni pericolose del tipo “di che parlate? La globalizzazione impedisce la guerra?”.
Nei primi anni del secolo scorso, già nel ’13 /14, si parlava di interdipendenza economica che avrebbe impedito la guerra. C’era la marina militare britannica, ma i binocoli li facevano i francesi, e tedeschi e italiani facevano altro. Stanno tutti insieme, non si faranno mai la guerra, sostenevano le élite liberali, ma arrivarono due guerre mondiali. A maggiore ragione oggi che l’interdipendenza è davvero globale, dove ci sono protagonisti autocrati come la Russia, potenze mondiali autocratiche come la Cina, e poi l’India, i Paesi emergenti dell’America Latina ed è evidente che lo scenario per la vecchia cara Europa e l’alleato a corrente alternata americano è molto più complesso.
Gratta gratta se ci troviamo nelle condizioni in cui siamo è perché l’Europa unita ancora non c’è e se vai a trattare scopri che è ancora un’Europa delle nazioni. In queste condizioni, aggravate da un’alleanza con gli Stati Uniti non corroborata né da comuni spese militari né da alleanze strategiche di business, siamo a contare le ore e i giorni per vedere se i russi si impadroniscono dell’Ucraina e mettono su un governo fantoccio o se la guerra lunga in Ucraina diventa il Vietnam della Russia. Se diventa un focolaio di guerra permanente che rimane acceso sul lungo periodo che cosa facciamo noi? Che cosa fa l’Europa con le sue anime belle? Che cosa fa l’Italia se è costretta a fare nuovo debito per pagare nuovi rincari di materie prime energetiche e alimentari? E con questo ulteriore debito potremo mantenere il Next Generation Eu come lo abbiamo concepito anche se non brilliamo ancora in esecuzione?
Teniamoci Draghi fin che si può a patto, però, che l’unità nazionale non sia più solo un’unità nazionale di buoni sentimenti. Perché di buoni sentimenti è lastricata la strada dell’inferno. Adesso in casa nostra anche chi in passato è stato amico di Putin dice che è brutto, cattivo, ma dopo lo dirà ancora, sarà conseguente? Parliamoci chiaro. Siamo capaci o no di accelerare l’adeguamento del Paese a queste sfide e siamo consapevoli che questo si può fare solo smontando le lobby che hanno bloccato tutto almeno negli ultimi venti anni? Abbiamo coscienza che non possiamo più permetterci di non smontare l’impianto ideologico populista che deve dare sempre tutto a tutto e che mette sullo stesso piano chi non può permettersi di comprare le caramelle e chi la pasta, chi ha fame e chi non può permettersi il di più?
Tanto paga Pantalone che è poi il futuro sacrificato dei nostri figli e dei nostri nipoti aumentando sulle loro spalle il fardello di debiti assistenziali contratti per difendere privilegi indifendibili. Ci rendiamo conto che dobbiamo avere un Paese che funziona perché dovremo affrontare una prova suprema? O credete che si possa fare tutto con un Paese slabbrato o magari fare gestire un momento come questo alla Conferenza Stato-Regioni? Diciamocela tutta fino in fondo. Siamo pronti a uscire dal giogo paralizzante dei piccoli interessi? Perché questa trama che alla fine tiene in pugno tutti ci porta disarmati ad affrontare una sfida pericolosa e ci porta anche a diventare l’anello debole della catena europea.
Siamo almeno consapevoli che questo significherebbe la fine dell’Italia perché rimarremmo prigionieri del mal funzionamento della macchina pubblica, della giustizia civile e penale e del potere delle corporazioni? Siamo pronti a fare quello che avremmo dovuto fare negli ultimi venti anni e non lo abbiamo fatto perché questo avrebbe comportato la redistribuzione dei poteri e delle aree di influenze intaccando i privilegi diffusi? Siccome veniamo da vent’anni in cui lo Stato è diventato un luogo dove ciascuno si è costruito la propria piccola riserva indiana, è evidente che se vuoi cambiare davvero lì dentro avrai sempre un’opposizione ma è altrettanto evidente che queste resistenze vanno superate. Anche perché se non saremo capaci di farlo noi, verranno da fuori a farlo. Se non altro per non avere più l’anello debole che fa saltare la catena. Pensiamoci bene finché siamo in tempo.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA