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Mario Draghi

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Ognuno se la fabbrica e se la racconta da solo. Tanto sa che nessuno chiede conto. Tanto sa che nessuno controlla. Manca invece il racconto di ciò che nel Mezzogiorno è stato già fatto, non promesso. Come tutto quello che è stato stanziato e avviato per gli asili nido come nelle scuole, nella ricerca come nell’Università. Il porto di Gioia Tauro che può con un treno dedicato trasferire le merci all’interporto di Bologna e da qui raggiungere finalmente il cuore dell’Europa. Perché non scatta uno spirito di comunità che vede nel Pnrr del capitale umano e delle grandi reti immateriali e materiali voluto dal governo Draghi la bandiera della rinascita del Mezzogiorno prima ancora che della ripartenza dell’Italia? Perché non si sottolinea mai che gli investimenti privati sono cresciuti più nel Sud che nel Nord? E che, addirittura, è successo anche con l’occupazione? Perché si fa così fatica a rendere pubblico che con la legge di bilancio per la prima volta si sono fatti i livelli essenziali di prestazione per il welfare all’infanzia e agli anziani? Perché, mi chiedo, ci si vergogna di questi risultati strepitosi e si entra in competizione nella gara delle promesse dove chi la spara più grossa vince sempre? La vera sfida oggi è quella di impedire che il popolo meridionale si condanni per sempre all’assistenzialismo. Avremmo nuovi baratti, magari con l’autonomia differenziata, e avremmo spezzato l’incantesimo degli investimenti che ripartono e della fiducia che torna. Sarebbe il solito suicidio. Impediamolo costi quel che costi ricordandocelo nel segreto dell’urna

Siamo alla propaganda delle bugie. Ognuno se la fabbrica e se la racconta da solo. Tanto sa che nessuno chiede conto. Tanto sa che nessuno controlla. Soprattutto sa che in campagna elettorale ognuno crede a ciò che fa piacere credere. Dobbiamo avere il coraggio di dire che l’orgoglio della verità e il metodo del confronto comparativo-competitivo non appartengono all’agorà televisiva italiana, ovviamente con le dovute eccezioni, e questo misura come meglio non si potrebbe la distanza che separa la democrazia italiana da quelle spagnola, tedesca e francese.

C’è un tema vero non più eludibile che appartiene alla qualità del dibattito pubblico di un Paese perché la coscienza nazionale attraverso di esso si forma. Così come è bene rendersi conto che l’esercizio consapevole del primo dei diritti di una democrazia, che è quello di voto, passa attraverso la conoscenza dei fatti e il confronto nazionale e internazionale tra grandezze e comportamenti omogenei. A maggiore ragione in una stagione percorsa dai brividi di una guerra nel cuore dell’Europa che ridisegnerà l’ordine mondiale, in un conflitto mai risolto tra mondo autarchico e mondo occidentale. A maggior ragione se siamo all’apice di una serie concentrica di shock inflazionistici e monetari che mettono a dura prova il miracolo dell’Italia di Draghi facendo emergere le fragilità di un dualismo territoriale irrisolto che non appartiene più a nessun Paese europeo.

Per capirci, questa storica malattia italiana, aggravatasi di molto con le tv commerciali e l’inseguimento al ribasso dell’informazione pubblica, produce danni seri in tutti gli ambiti dell’economia e della società. Questo tipo di situazione vale per tutto, ma oggettivamente ancora di più per il nostro Mezzogiorno. L’assenza di un dibattito della pubblica opinione sano, che vuol dire prima di tutto veritiero, fa muro contro le forze sane dell’economia e della società spingendole a rimanere nei loro gusci e, di fatto, impedendole di uscire dalle secche dello stereotipo meridionale per farsi riconoscere e diventare comunità. In questo modo nella coscienza collettiva prevale sempre il solito stereotipo dell’impiego pubblico che è ovviamente un’altra cosa rispetto allo stipendio sottopagato nel turismo.

Quando invece la vera sfida da vincere è proprio quella di un’industria del turismo di livello internazionale che non ha più nulla a che vedere con qualche piccolo o grande datore di lavoro truffatore o logiche da rapina. Quando invece il vero vantaggio competitivo è quello di potere contare su un patrimonio unico al mondo che è la bellezza del territorio, del clima e della sua cucina. Tutte quelle cose, cioè, che non si inventano, ma vanno sfruttate in modo appropriato.

Manca totalmente il racconto di ciò che è stato già fatto, non promesso. Come tutto quello che è stato stanziato e avviato per la spesa negli asili nido come nelle scuole, nella ricerca come nell’Università. Il grande progetto di unire le due sponde del Mediterraneo attraverso una rete di eccellenze universitarie e il porto di Gioia Tauro che può finalmente con un treno dedicato trasferire le merci dall’hub marittimo all’interporto di Bologna e da qui raggiungere finalmente il cuore dell’Europa.

L’opportunità storica del Mezzogiorno di essere già e sempre più diventare l’hub energetico del Mediterraneo per l’Europa intera. Perché non se ne parla, mi chiedo? Perché non si dice tutto quello che è stato già fatto oltre al reddito di cittadinanza e al superbonus? Perché i partiti della coalizione di governo continuano a chiedere di investire ignorando quello che è già stato stanziato e appaltato con il Pnrr, dagli asili nido all’edilizia scolastica fino alla ricerca e all’università? Per non parlare di ospedali e medicina del territorio.

Perché non è scattato mai uno spirito di comunità che vede nel Pnrr del capitale umano e delle grandi reti immateriali e materiali la bandiera della rinascita del Mezzogiorno prima ancora che della ripartenza dell’Italia? Perché non si sottolinea mai che gli investimenti privati sono cresciuti più nel Mezzogiorno che nel Nord del Paese? E che, addirittura, anche l’occupazione, perfino in una stagione segnata dalla più iniqua delle tasse qual è l’inflazione, è cresciuta più al Sud che al Nord? Perché si fa così fatica a rendere pubblico che con la legge di bilancio del governo Draghi per la prima volta si sono fatti i livelli essenziali di prestazione per il welfare all’infanzia e agli anziani di modo che un cittadino di Cosenza non è più arbitrariamente di serie B rispetto a quello di Belluno di serie A?

Perché, mi chiedo, ci si vergogna di questi risultati strepitosi e si entra in competizione nella gara delle promesse dove chi la spara più grossa vince sempre? Forse, se vi ponete queste domande e ci pensate bene un attimo, capirete meglio perché la peggiore delle medicine possibili, che è l’assistenzialismo, incanta così tanta gente e perché la vera sfida è quella di impedire che il popolo meridionale si autocondanni per sempre all’assistenzialismo che domina la scena. Avremmo nuovi baratti, magari con l’assistenzialismo dell’autonomia differenziata, e avremmo spezzato l’incantesimo degli investimenti che ripartono e della fiducia che torna. Sarebbe il solito suicido. Impediamolo costi quel che costi ricordandocelo nel segreto dell’urna.


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