Matteo Salvini e Giuseppe Conte
6 minuti per la letturaOggi Conte impone una questione meridionale sbagliata che è quella del reddito di cittadinanza, percepita come cultura di vita non come sostegno sacrosanto a chi non ha niente, e dell’assistenzialismo come forma di soddisfazione di ogni tipo di aspettativa, facendo debito all’infinito. Anche Bossi impose all’epoca una questione settentrionale sbagliata che gli consentì di barattare l’impossibile secessione con il cosiddetto federalismo fiscale all’italiana. Che si è trasformato nella più formidabile macchina pubblica di trasferimenti assistenziali alle nomenclature del Nord. Salvini da perdente vuole oggi ripetere lo schema bossiano con l’autonomia differenziata. Il vento assistenziale soffia forte nelle vele pentastellate al Sud e, in parte, anche al Nord, e produce effetti non irrilevanti ai fini della governabilità futura perché finirebbe con l’incidere sulla ripartizione dei seggi uninominali almeno in alcune regioni meridionali. La scommessa populista di cui si fa portatore Conte non reggerà l’urto della realtà e tra poco la stessa gente che lo ha votato si accorgerà che l’assistenzialismo non li salva, ma li condanna. Non vogliamo credere che la comunità meridionale non abbia un sussulto per fermare tutto ciò. Almeno lo auspichiamo.
CONTE ha imposto il ritorno della questione meridionale esattamente come Bossi impose in un’altra epoca la questione settentrionale. Sono entrambe le questioni profondamente sbagliate. Entrambe hanno raccolto e rischiano di raccogliere anche questa volta consensi ahinoi in misura copiosa. Hanno prodotto, producono e rischiano di produrre danni gravi. Oggi Conte impone una questione meridionale sbagliata che è quella del reddito di cittadinanza, percepita come cultura di vita non come sostegno sacrosanto a chi non ha niente, e dell’assistenzialismo come forma di soddisfazione di ogni tipo di aspettativa anche facendo debito all’infinito. È una risposta sbagliata a bisogni reali che i sondaggi fino a quando erano possibili e il sentiment che viene ora dai territori meridionali indicano come un movimento elettorale tellurico che si avvertirà nel segreto dell’urna.
Anche Bossi impose all’epoca una questione settentrionale sbagliata che gli consentì di barattare con gli alleati moderati della Destra l’impossibile secessione in cambio del cosiddetto federalismo fiscale all’italiana. Che si è trasformato nella più formidabile macchina pubblica di trasferimenti assistenziali alle nomenclature politiche, burocratiche e affaristiche del Nord. La rovina dell’Italia che pesa ancora sul nostro presente e sul nostro futuro nasce esattamente in quella stagione politica e da queste precise scelte clientelari-elettorali. Semplicemente sfruttando la caduta dello spread, da 600 a zero, dopo l’entrata nell’euro si sono risparmiati 30 miliardi di interessi l’anno nella spesa pubblica per collocare i titoli sovrani, sostenere il debito e continuare a pagare stipendi e pensioni.
La regola aurea di Ciampi di non usare mai questo tesoretto aveva consentito di portare il debito pubblico a un passo dalla soglia psicologica sotto il 100% del prodotto interno lordo (Pil), a un passo cioè dall’ equiparare la finanza pubblica italiana a quella francese, senza imporre alcun tipo di sacrifico agli italiani. Purtroppo arrivò la secessione lumbard dei mille trasferimenti assistenziali bossiani alle regioni ricche e alle loro corti burocratiche che bruciò quel tesoretto e fece anche nuovo debito. Riempí di regali i ricchi, danneggiò l’impresa produttiva del Nord e del Sud, allargò a dismisura le fasce di povertà delle regioni meridionali. Privò di un futuro all’altezza delle aspettative le giovani generazioni settentrionali e meridionali. Salvini, molto dopo, si rese conto dell’errore e provò a uscire da questo pantano ponendo il tema della questione nazionale non più settentrionale lanciando la sfida di una Lega partito non più legato solo ad alcuni territori. Ora è ritornato per motivi elettorali sul sentiero sbagliato abbandonato che è quello storico bossiano e che oggi si chiama autonomia differenziata.
Torna da perdente Salvini a ripercorrere un sentiero che, a questo punto, sarebbe addirittura devastante. Perché farebbe piazza pulita di quel che resta dell’unità del Paese e lo condannerebbe a una frantumazione recessiva che comporterebbe la sparizione dell’idea di Italia che il mondo e noi conosciamo. Questo è esattamente lo stesso itinerario che dovrà percorrere da qui a qualche anno Conte. Che, però, adesso capitalizza nell’urna la questione meridionale del reddito di cittadinanza e dell’assistenzialismo perché chi lo vota si sente più garantito nella salvaguardia dei suoi interessi. Ovviamente la scommessa populista di cui si fa portatore non reggerà l’urto della realtà e tra poco la stessa gente che lo ha votato si accorgerà che l’assistenzialismo non li salva ma li condanna.
Questo, però, accadrà dopo. Perché il problema vero è che i ceti dirigenti meridionali sono politicamente sempre “vittime” delle loro “plebi” e, quindi, o non capiscono o fanno finta di non capire. Al massimo, nelle loro espressioni di rango più elevato che sono i capi delle Regioni di Puglia e Campania entrambi del Pd, fanno concorrenza ai Cinque Stelle sul loro terreno dell’assistenzialismo e fanno chiaramente capire che sono pronti a fare nuovo assistenzialismo insieme purché si spartisca. Questo significa assegnare al Sud il futuro della Libia e, cioè, quello di un territorio diviso per bande in un Paese pieno di scheletri negli armadi dove tutti si metteranno a lottare per aprire gli armadi e vedere che cosa c’è dentro. Essendo l’Italia la seconda manifattura e la seconda o terza economia di un’Europa sempre più impegnata nella lotta mondiale con l’Oriente autarchico, si dovrebbe almeno capire che il grande avvantaggiato in termini competitivi dalla sua insostituibile posizione geopolitica sul mare che porta le merci del mondo è proprio il Mezzogiorno che decide di scommettere su se stesso e, di riflesso, l’Italia che attraverso il suo Mezzogiorno diventa uno dei grandi motori di sviluppo dell’Europa.
Capite da soli che qui l’assistenzialismo è proprio il classico dito che ti impedisce di vedere la luna. È qualcosa di veramente terribile che riguarda anche la scomparsa dei partiti nazionali, il peso crescente dei territori e le transumanze ministeriali e regionali da un blocco di potere all’altro, ma questo è un tema che merita un discorso a parte. Anche se è bene averlo a mente perché la malattia è la stessa e il rischio politico italiano che toglie il futuro ai nostri giovani si nutre di questo circuito elettorale perverso che salda gli interessi assistenziali di tutti. L’opposto di quello che serve e il contrario esatto della scelta del Piano nazionale di ripresa e Resilienza del governo Draghi che ha messo il Mezzogiorno in testa negli investimenti e nello sviluppo, non nell’assistenzialismo. Che ha puntato sugli asili nido e sulle grandi reti veloci materiali e immateriali rompendo lo storico isolamento geografico del porto di Gioia Tauro. Che scommette sul capitale umano, sulle economie produttive dei territori, e sulla capacità di attrarre capitali privati dal resto del mondo.
Purtroppo, questo vento assistenziale sembra soffiare forte nelle vele pentastellate al Sud e, in parte, anche al Nord se un uomo avveduto e esperto come Feltrin prevede addirittura il sorpasso grillino sul Pd a livello nazionale. Particolare non proprio irrilevante ai fini della governabilità futura perché finirebbe con l’incidere anche sulla ripartizione dei seggi uninominali almeno in alcune regioni meridionali. Sono fenomeni da non sottovalutare in un contesto globale che non permette di ripetere gli errori del passato perché non ci sarebbero più i margini per recuperare. Non vogliamo credere che la comunità meridionale non abbia un sussulto per fermare tutto ciò. Almeno lo auspichiamo.
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