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Giù le mani dal Pnrr…

Alla testa del processo riformatore compiuto e degli investimenti programmati e/o avviati dal Pnrr c’è una sola parola che viene prima di tutte: si chiama Mezzogiorno. Se a qualcuno dei nostri dilettanti della politica viene in mente di mettere mano al Pnrr per togliere risorse produttive al Sud e pagare con quei soldi progetti più o meno assistenziali del Nord, o magari compensare i costi del caro bollette che è doveroso fare ma facendolo finanziare da un altro Recovery energetico europeo, allora vorrà dire che la caduta di Draghi coinciderebbe non solo con la fine della nostra credibilità europea e la perdita dei soldi assegnati, ma anche con un danno gravissimo per il Mezzogiorno e avrà un impatto devastante sull’intera economia nazionale. Se si torna alla logica di rapina ai danni del Sud come è stato prima di Draghi con una salda alleanza di interessi tra leghisti e sinistra padronale si danneggia la rinascita possibile del Mezzogiorno, ma si fa anche molto male al Nord

C’è un solo punto vero sul quale i partiti devono fare chiarezza prima del voto che riguarda il Mezzogiorno. Bisogna che rispondano nero su bianco perché gli elettori meridionali possano esercitare il loro diritto elettorale in piena consapevolezza. Il punto riguarda il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), che rappresenta al momento il primo atto di coerenza meridionalista degasperiana dopo mezzo secolo di latitanza della politica. Succube nei fatti dei mille federalismi all’italiana che significano essenzialmente violazione dei diritti di cittadinanza di venti milioni di persone e sottrazione sistemica di ogni genere di investimento pubblico produttivo per fare fronte all’emergenza di turno dei territori del Nord.

Tutto questo, sia chiaro, indipendentemente dalle colpe gravissime delle amministrazioni meridionali che hanno faticato perfino con il massimo di assistenza nazionale a sintonizzarsi sul processo di modernizzazione e di riunificazione delle due Italie avviato con il Pnrr nei settori strategici del capitale umano e delle infrastrutture materiali e immateriali, a partire dalle grandi reti. Senza contare il vizio altrettanto antico della politica meridionale, da questo punto di vista i Cinque stelle hanno raggiunto vette mai toccate da altri, di privilegiare sempre la ricerca del sostegno assistenziale rispetto a quello produttivo.

Che non vuol dire affatto, è l’esatto contrario, non doversi occupare di chi soffre e ha sempre meno. Garantire a queste persone un reddito di sopravvivenza è un dovere assoluto che appartiene agli obblighi morali prima ancora che politici. Scambiare i due piani e scambiare le priorità significa lavorare per togliere il futuro al Mezzogiorno e ai suoi giovani di talento. Detto tutto ciò per ragioni di completezza, veniamo al sodo. Nel suo ultimo discorso alle camere il presidente del consiglio, Mario Draghi, è stato chiarissimo e ha indicato Sud, giovani e donne come le priorità strategiche del Piano italiano finanziato con fondi europei frutto di debito comune (Next Generation Eu), risorse nazionali confluite nel Fondo complementare con le stesse procedure di spesa, nuova programmazione coordinata dei fondi di sviluppo e coesione.

Quelli del passato colpevolmente non utilizzati e quelli del futuro da impiegare e utilizzare all’interno del quadro unitario di sviluppo. Su questo punto non si scherza più. Solo sul Pnrr stiamo parlando di 80 miliardi, di interventi come non si erano mai visti nell’edilizia scolastica, a partire dagli asili nido, fino alla ricerca nelle università del Mezzogiorno che sono all’avanguardia, solo per fare un esempio. Allora, chiariamoci bene. Noi dobbiamo fare la riforma della concorrenza se vogliamo essere credibili in Europa e non perdere le risorse che ci sono state date con molta generosità.

Dobbiamo fare tutti gli interventi di struttura che fanno parte del processo riformatore compiuto se vogliamo svolgere un ruolo politico effettivo di co-leadership nella battaglia europea contro il ricatto putiniano del gas e nella costruzione della nuova Europa che assicuri agli europei il posto che meritano alla testa del nuovo ordine mondiale.

Attenzione, però, alla testa del processo riformatore compiuto e degli investimenti programmati e/o avviati dal Pnrr c’è una sola parola che viene prima di tutte e questa parola si chiama Mezzogiorno. Se a qualcuno dei nostri dilettanti della politica che discutono ogni giorno di togliere le sanzioni a Putin o oscillano pericolosamente nel nostro posizionamento internazionale viene in mente di mettere mano al Pnrr per togliere risorse produttive al Sud e pagare con quei soldi progetti più o meno assistenziali del Nord, o magari compensare i costi del caro bollette che è doveroso fare ma facendolo finanziare da un altro Recovery energetico europeo, allora vorrà dire che la caduta di Draghi coinciderebbe non solo con la fine della nostra credibilità europea e la perdita dei soldi assegnati, ma anche con un danno gravissimo per il Mezzogiorno e avrà un impatto devastante sull’intera economia nazionale.

Perché quella del Pnrr è l’unica grande occasione che è rimasta al Mezzogiorno perché finalmente riparta la sua economia debole e si mobilitino lo spirito di intrapresa della sua comunità e si tornino ad attrarre sia capitali internazionali sia i nostri cervelli emigrati in massa. Se il Mezzogiorno perde questa occasione, prima che se ne ripresenti un’altra passano altri vent’anni. Se si torna alla logica di rapina ai danni del Sud come è stato prima di Draghi con una salda alleanza di interessi tra leghisti e sinistra padronale si danneggia la rinascita possibile del Mezzogiorno, ma si fa anche molto male al Nord.

Bisogna che ci si renda conto che in un sistema molto integrato come è quello dell’economia oggi non si può più avere una parte di Paese che va bene e una altra che va male senza che ci siano reciproche influenze. Per cui non va a rotoli solo il Sud, ma si porta dietro anche chi sta meglio. Ignorando peraltro che i segnali che vengono dal Sud sono molti di segno contrario e che il nuovo quadro geopolitico globale, nell’interesse dell’Italia e dell’Europa, rilancia in modo strategico il Mezzogiorno come terminale comune dell’energia che arriva dall’Africa e dall’Asia e come capitale dei nuovi grandi traffici commerciali del mondo. Mi pare che ce ne sia abbastanza per evitare errori grossolani e tornare a infilarsi nella storia di prima che fa peraltro a pugni anche con la nuova globalizzazione corta che è un asset primario a nostro favore


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